ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 28 novembre 2019

Lo spirito di includenza

La “Puttana di Belluno” è un Vescovo che come pastore ha preso delle pecore l’odore più tipico: l’odore della merda. Si tratta della merda peggiore, quella degli invertitori satanici: domandare perdono a chi offende la Chiesa di Cristo e bastonare a sangue chi la ama, la serve e la difende dalle insidie del male



L’interessato può solo rivolgersi alla Congregazione per la dottrina della fede e al Tribunale Ecclesiastico, per chiedere eventualmente che siano irrogate sanzioni canoniche a mio carico, dopo avere dimostrata, con la dottrina cattolica alla mano, la insussistenza delle accuse che gli ho lanciato, a partire proprio dal titolo di “puttana”, che è un lemma squisitamente biblico, usato dai Profeti in situazioni e con persone più o meno analoghe al Vescovo di Belluno, che per ciò che ha detto e per come lo ha detto, potrebbe essere un cittadino onorario della grande Puttana di Babilonia, dentro la quale sarebbe accolto come un asino trionfante con la mitria in testa da Satana in persona.

raffigurazione iconografica della Grande Puttana di Babilonia

Con una lettera del 22 novembre che è un vero atto di apostasia dalla fede e di spregio alla dottrina cattolica, il vescovo di Belluno S.E. Mons. Renato Marangoni, domanda scusa ai divorziati risposati che alla Comunione Eucaristia non sono ammessi dalla carità della Chiesa, al fine primo e ultimo di preservare la salute delle loro anime [si veda il testo integrale QUI].
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Negare di ricevere il Santissimo Corpo di Cristo in stato di peccato mortale, non comporta essere “moralisti” e “cupi legalisti” dal “cuore arido”, bensì mettere in pratica ciò che insegna con un severo monito il Beato Apostolo Paolo:
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«[…] chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» [I Cor 11, 27-29].
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A questo punto è necessario essere molto chiari, tornando anzitutto a spiegare ciò che spesso ho ribadito nel corso di questi ultimi anni riguardo i mezzi e gli strumenti di salvezza. Esistono mezzi ordinari, che sono i Sacramenti dati da Cristo Dio alla propria Chiesa, i quali hanno una sostanza e una loro forma accidentale esterna e che sono regolati da discipline ecclesiastiche sulla rigorosa base della Rivelazione e del Deposito della Fede Cattolica. La Chiesa, che dei Sacramenti di grazia è dispensatrice e attenta custode, non può incidere in alcun modo sulla sostanza dei Sacramenti, che non sono regolati da mere leggi ecclesiastiche, ma dalla Rivelazione che ci è stata data. E la Chiesa non può esimersi in alcun modo dall’insegnare che «Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato» [Sap 1,4].
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La Chiesa non può incidere su sostanza e natura fondante dei Sacramenti, neppure di fronte a una società che cambia e all’interno della quale, eserciti di laicisti che non sanno farsi neppure il segno della croce, osano tuonare in modo imperativo la fatidica frase: «La Chiesa deve …». Imperativo al quale seguono le istanze più assurde, dalla sacra ordinazione sacerdotale delle donne sino alla benedizione di quel così detto “amore” del tutto “naturale” delle coppie omosessuali. Ebbene, la società può mutare come e quanto vuole, ma la Chiesa di Cristo non ha alcun potere di adeguare alle più assurde istanze e ai peggiori vizi di questo mondo il proprio essere ed esistere; perché il suo essere ed esistere non è lo spazio temporale del mondo, ma lo spazio eterno di Cristo Dio. Motivo questo per il quale a suo tempo, il Santo Pontefice Giovanni Paolo II, chiuse il discorso sul sacro ordine alle donne affermando:
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«[…] al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli [cf. Lc 22, 32], dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» [cf. Ordinatio Sacerdotalis, vedere testo QUI].
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Chiariamo ai non addetti ai lavori che l’espressione «questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo», implica l’esercizio del magistero infallibile, che non vincola solo il presente dell’allora Pontefice regnante Giovanni Paolo II, ma tutti i suoi successori.
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La Chiesa non può, né mai potrà accettare, tanto meno riconoscere come cosa buona e giusta, quindi benedire il “matrimonio” di due persone dello stesso sesso, perché ciò è per noi un sovvertimento inaccettabile della creazione:
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«Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”» [Gn 1, 27-28].
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Oltre ai mezzi ordinari esistono anche dei mezzi straordinari di salvezza che sono imperscrutabili e non conoscibili dall’uomo. La divina grazia si serve infatti di quei Sacramenti di cui abbiamo bisogno noi, ma non Dio, che non è affatto vincolato ad essi e che può usare molte altre vie per portare a compimento il progetto di salvezza dell’uomo. Vie che noi non possiamo neppure conoscere, neppure immaginare. Proverò allora a chiarire il tutto con un paradosso apparente, però concreto e reale: per salvare un’anima Dio potrebbe servirsi persino dei “buoni” uffici di uno stregone che dirige la esecuzione dei sacrifici umani in una tribù di cannibali che poi si cibano delle carni delle povere vittime. Siamo noi che non possiamo dire che lo stregone in questione, tramite i sacrifici umani e il pasto delle carni delle vittime, porta a termine un piano di salvezza. Noi dobbiamo dire che ciò è male e malvagio e che quello stregone, con tutta la sua tribù di cannibali, vanno evangelizzati e guidati alla verità e alla fede in Cristo, con buona pace del Sinodo Panamazzonico. Insomma: i mezzi straordinari della grazia di Dio possono salvare interi eserciti di indigeni che venerano la Pachamama, ma noi non possiamo portare la Pachamama in Vaticano e nella Chiesa metropolitana di Santa Maria in Traspontina e proporla come un mezzo di salvezza, perché ciò è una sacrilega violazione del primo comandamento del Decalogo: 
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«Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me» [cf. Es 20, 2-17; Dt 5, 6-21].
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È presto detto: nessuno di noi può sapere quanti divorziati risposati che hanno vissuto una vita intera in stato di peccato mortale, saranno trattati dal giudizio di Dio in modo molto più benevolo di coloro che ― mi riferisco proprio a preti, frati e suore ― hanno vissuto invece una vita di autentica castità, mancando però nei peggiori dei modi, nel corso di tutta la loro esistenza, della fondamentale virtù teologale della carità. È Cristo Dio stesso che ci mette in tal senso sull’avviso dicendoci:
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«In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli» [Mt 21, 31-32].
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Quelle delle prostitute e dei pubblicani sono due categorie che racchiudono al proprio interno molte altre categorie di persone, compresi adulteri, divorziati e persone che come la Samaritana al pozzo [cf. Gv 4, 1-26] vivono situazioni di grave peccato, ma che pur malgrado potrebbero passarci avanti nel Regno dei Cieli, perché a nessuno di noi è dato sapere che cosa potrà accadere – semmai anche negli ultimi minuti di vita – tra la grazia di Dio e la coscienza dell’uomo vissuto in uno stato di peccato. Proprio la scorsa domenica, per la festa di Cristo Re, i Padri de L’Isola di Patmos hanno commentato in due diverse omelie la figura del buon ladrone, che negli ultimi due minuti di vita si è guadagnato il Paradiso [testi delle omelie: QUIQUI].
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Si presti però attenzione al fatto che Cristo Dio, nel corso della sua intera predicazione, non ha mai mancato di indicare il peccato come tale, invitando a fuggire il peccato ed a purificarsi dal peccato. Cristo Dio, a tal fine non ha mai mancato di fare ripetuti richiami a due realtà: l’esistenza di Satana, che è persona, quindi l’esistenza dell’Inferno, il luogo di eterna dannazione richiamato numerose volte e raffigurato in modo drammatico nella Parabola del ricco epulone che stava «nell’Inferno tra i tormenti» [Lc 16,19-31].
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Gesù Cristo è il Divino Redentore, non è il precursore episcopale della salvezza emotiva che procede dai capricci e dallo spirito lassista dell’uomo che ha deciso di piacere al mondo, sino a giungere  a quella aberrazione sacrilega che connota tutti i tratti della vera e propria apostasia messa nero su bianco e firmata dal povero Vescovo di Belluno: chiedere perdono ai peccatori per la Chiesa che ha osato chiamare e indicare come peccato mortale le loro condotte di vita peccaminose, spesso rese particolarmente disordinate dalle peggiori forme che realizzano materialmente il peccato capitale della lussuria. Né manca Cristo Dio di ammonirci dicendo a chiare lettere:
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«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» [Mt 7, 13-14].
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La verità è che l’uomo del nostro tempo non intende rinunciare a niente e meno che mai vuole dinanzi a sé delle porte strette, tutt’altro: tende a rendere ogni peggiore espressione di peccato come cosa legittima, anche per quanto riguarda la sessualità umana, le relazioni tra uomo e donna, le relazioni di convivenza al di fuori del matrimonio e via dicendo.
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Un Vescovo cattolico, ad un campionario di persone di questo genere, dovrebbe ricordare che la Chiesa ha ricevuto da Cristo Dio il comando imperativo e assoluto di accogliere proprio i peccatori, come ha fatto lo stesso Verbo di Dio fatto Uomo, che però ha sempre chiamato il peccato col suo nome: peccato. Idicando con parole chiare e non passibile di smentita che il destino del peccatore ostinato è la dannazione eterna della sua anima immortale.
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Non solo i peccatori non devono essere esclusi, ma curati in modo particolare, è infatti Cristo Dio che ci spiega:
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«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» [Mt 9, 12-13].
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Il povero Vescovo di Belluno esordisce invece affermando:
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«Scusate […] abbiamo anche per un lungo tempo dichiarato che non potevate essere pienamente ammessi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia».
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Domanda: ma questo asino posto in cattedra con la mitria in testa, le Sacre Scritture, a partire dalle Lettere Apostoliche, le ha mai lette? Perché delle Sacre Scritture dovrebbe essere fedele servitore, custode e supremo maestro. Stando infatti alle parole di Cristo Dio, il malato va accolto, accudito e sanato dalla grande malattia del peccato, non gli si può dire: scusa, se sino ad oggi, la Chiesa, ha osato considerare la malattia della tua anima come peccato.
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La lettera del povero Vescovo di Belluno è un tale concentrato dei peggiori sentimentalismi emotivi, al punto da equivalere al lancio del Santo Vangelo e della Dottrina della Chiesa dentro il pozzo nero di una fossa biologica. Mai avrei immaginato, neppure in questi tempi di decadenza e di devastazione ecclesiale ed ecclesiastica, di ritrovarmi alla tenera età di 56 anni davanti a un Vescovo italiano che domanda scusa alle persone che permangono in stato di peccato mortale — con l’aggravante per molti del peccato pubblico —, dopo che la Chiesa ha osato considerare per lungo tempo il peccato mortale come peccato mortale.
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Dichiarando ciò, il Vescovo di Belluno ha profanata la dignità sacramentale del proprio ministero apostolico. A questo punto dovrebbe essere coerente fino in fondo e procedere ad abolire nella propria Diocesi ― ammesso che ne abbia uno ―, l’ufficio e il ministero dell’esorcista diocesano. Poi, con un’altra apposita lettera, domandare pubblicamente scusa a Satana per essere stato ripetutamente cacciato da quella che invece dovrebbe essere la Chiesa accogliente e includente che non espelle nessuno, a partire dal peccato e dai peccatori che rivendicano il diritto a vivere in stato di pubblico peccato. Non si capisce infatti perché mai Satana dovrebbe essere escluso, come in modo del tutto erroneo facciamo proclamare ai genitori dei battezzandi, quando durante il Santo Battesimo si chiede loro di rinunciare a tutte le sue opere e seduzioni. Vi pare forse giusto, escludere dalla Chiesa una degna persona come Satana?
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Con questa sua lettera, il Vescovo si è prostituito come la puttana di Babilonia ai peggiori capricci e peccati di questo mondo. Un mondo che non solo chiama il male bene e il bene male, ma che rivendica il diritto decisamente luciferino di piegare la Chiesa stessa, maestra e dispensatrice di grazie, a compiere questa diabolica inversione.
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Concludo ricordando che Cristo Dio si è incarnato, è vissuto, è morto attraverso il sacrificio redentore della croce, è risorto dalla morte e asceso al cielo per la salvezza dell’uomo. Cristo Dio non ha sparso il proprio sangue per la salvezza delle istituzioni clericali allo sfacelo, non è morto per salvare questa clericale Chiesa visibile che domanda scusa ai peccatori per avere considerato peccato certe loro condotte di vita contrarie agli insegnamenti del Santo Vangelo, contrarie a quella morale cattolica che prende vita dalla Parola di Dio. La nostra morale non prende vita dai capricci di un manipolo di “aridi” Santi Padri e Dottori della Chiesa “duri di cuore” e “poveri” di misericordioso spirito di includenza, a partire dal “povero” San Giovanni Crisostomo che nei “tempi cupi” osava scrivere:
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«Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa Sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi».
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Sino a giungere attraverso i secoli al Santo Pontefice Giovanni Paolo II, che da una parte hanno voluto canonizzare in tempi record, ed al tempo stesso, proprio i suoi canonizzatori, erano i più solerti e feroci distruttori del suo sommo magistero, a partire dalla sua enciclica dedicata alla Santissima Eucaristia nella quale ha scritto:
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«Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, “si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale”» [Ecclesia de Eucharistia, 36].
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Chi di noi può avere facoltà di assolvere un uomo o una donna che vivono un legame cristianamente illecito, convivendo con un compagno o una compagna che non è il legittimo consorte e dal quale tornerebbero per proseguire quello stile di vita un’ora dopo avere ricevuta una assoluzione sacramentale del tutto inutile e dopo avere ricevuta la Santissima Eucaristia per soggettivo “diritto” al sacrilegio? Capisco che al Vescovo asino di Belluno prema chieder loro perdono per far impazzire di giubilo la stampa laicista, ma a me, che sono un sacerdote di Cristo e non un asino, preme invece la salvezza e la salute eterna delle loro anime. E per la suprema salute delle anime non dirò mai a costoro che la Chiesa deve chiedervi scusa, tutt’altro: li esorterò a chiedere scusa a Dio e supplicare il suo perdono per avere offeso Dio e la sua Santa Chiesa e per avere dato scandalo ai fedeli con il loro pubblico peccato.
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Questa Chiesa visibile deve quanto prima “morire”, affinché possa risorgere, semmai anche in un piccolo gregge sparuto disperso ai quattro angoli del mondo, la Chiesa di Cristo, colei che non morirà mai e che il Redentore troverà ancora nel giorno in cui tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti.
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In conclusione: Sua Eccellenza Rev.ma il Vescovo Bellunese eviti di rivolgersi con strepiti da vergine vilipesa al mio Ordinario Diocesano, perché il mio Vescovo ha molti impegni pastorali a cui adempiere ma soprattutto è un uomo di Dio e un uomo di fede che non ha mai smarrito la percezione del bene e del male. Sicché, il massimo che potrebbe fare, sarebbe dirmi amabilmente che forse ho usata una forma espressiva forte. In tal caso gli risponderei però che il tutto non è stato casuale ma scientificamente voluto, perché ho fatto deliberato uso di quel linguaggio biblico duro e deciso che è tipico del lessico dei diversi profeti vetero-testamentari. Mai proferirebbe invece gemito sulla sostanza del mio scritto, perché se lo facesse rinuncerebbe a essere sé stesso, vale a dire un Vescovo cattolico, un maestro e custode della fede e della dottrina. E questo, qualsiasi Vescovo che non sia un perfetto ateo devoto alla decadenza satanica di questo potere clericale gestito spesso da autentici non credenti, non può proprio permettersi di farlo, perché se lo facesse si dannerebbe l’anima. Quindi l’interessato può solo rivolgersi alla Congregazione per la dottrina della fede e al competente Tribunale Ecclesiastico, per chiedere eventualmente che siano irrogate sanzioni canoniche a mio carico, dopo avere dimostrata, con la dottrina cattolica alla mano, la insussistenza delle accuse che gli ho lanciato, a partire proprio dal titolo di “puttana”, che è un lemma squisitamente biblico, usato dai Profeti in situazioni e con persone più o meno analoghe al Vescovo di Belluno, che per ciò che ha detto e per come lo ha detto, potrebbe essere un cittadino onorario della grande Puttana di Babilonia, dentro la quale sarebbe accolto come un asino trionfante con la mitria in testa da Satana in persona.
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Resto comunque in attesa di vedere, dinanzi a un Vescovo che l’ha sparata così grossa, chi oserà attaccarsi alla forma, perché in tal caso andrebbero riabilitati, dal primo all’ultimo, tutti quanti gli antichi farisei.
AutoreAriel S. Levi di Gualdo

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dall’Isola di Patmos, 27 novembre 2019


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