ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 14 febbraio 2020

Lo stigma dell’opera del Diavolo

«SE PARLIAMO ESPLICITAMENTE...» - QUERIDA AMAZONIA COME AMORIS LAETITIA



Anche Querida Amazonia è stata resa pubblica. L’Esortazione Apostolica dell’ultimo Sinodo - com’era ampiamente prevedibile - conferma la volontà della setta di Santa Marta di proseguire verso la trasformazione della Chiesa in un amorfo contenitore delle ideologie mainstream. 

Il pensiero rivoluzionario ereditato dai Modernisti non ha nulla di nuovo rispetto alle eresie condannate a suo tempo dal Magistero: esso trova la propria origine in quel depositum hereseos che è custodito gelosamente dal Principe di questo mondo, omicida sin dal principio. E come la Verità emerge nelle parole e negli scritti dei battezzati e dei Sacri Pastori attraverso la Storia, perché essa ha l’essenza stessa di Dio come propria fonte e proprio fine; così la menzogna riaffiora dalla cloaca infernale nelle parole e negli scritti dei ministri dell’Antichiesa, perché essa è intrinseca al Demonio e ad essa inevitabilmente si abbeverano. Una gran trovata, quella di abolire il Celibato e ordinare le donne: ci avevano pensato già tutti gli eresiarchi, e basterebbe questo per guardare con orrore alla sola ipotesi di seguirne le orme. 

Non ho perso tempo a leggere Querida Amazonia, così come non ho letto per intero Amoris Laetitia: assumere una dose di veleno per capire se provoca la morte è un inutile esercizio di autolesionismo, e finisce col fare un favore a chi quel veleno lo vuol diffondere, indipendentemente dal fatto che chi lo assume ne sia consapevole o meno. E Querida Amazonia è un veleno a prescindere dal contenuto, perché come Amoris Laetitia esso non è nocivo soltanto negli errori che formula, ma anche e soprattutto nel modo in cui ne dissimula altri ben più insidiosi. 

La deliberata formulazione equivoca dello pseudomagistero bergogliano è infatti indice infallibile dell’opera del Nemico, soprattutto quando l’incauto interlocutore crede di poter instaurare un confronto basato sulla condivisione di un linguaggio, sul riconoscimento comune della sua validità e sulla persuasione che l’avversario col quale ci si confronta sia leale, onesto ed animato da retta intenzione. Questa premessa viene data per scontata dai Cattolici, e proprio su questa frode si basa la disonestà della controparte. Poiché il Cattolico che si appresta a ricevere un insegnamento dall’Autorità ecclesiastica suppone che questa autorità sia animata dalla volontà di indicare al fedele la Verità salvifica, e non osa credere che un pastore persegua come proprio fine la strage del gregge affidatogli, né che egli abusi della fiducia che le pecore gli accordano proprio in ragione del suo esser pastore. Un tradimento di chi si fida.

Eppure i tempi in cui viviamo ci dimostrano che l’inganno funziona principalmente perché vien data per sottintesa la bontà dell’interlocutore, assieme alla sua autorità, che gode pure del carisma di esser vicaria dell’indiscussa autorità di Dio.

Dopo la promulgazione di Amoris Laetitia, mons. Bruno Forte ha riportato le parole di Bergoglio: «Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto, ma in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io». Non stupisce né la disinvoltura del Segretario del Sinodo nel riferire le confidenze del Satrapo, né tantomeno l’eloquio ben poco ecclesiastico di quest’ultimo. Ma il contenuto è evidentissimo: l’affermazione di una dottrina chiaramente eterodossa avrebbe suscitato una reazione nei Vescovi ortodossi -   «questi non sai che casino che ci combinano» - rendendo vano il tentativo di adulterare la Fede della Chiesa nell’indissolubilità del Matrimonio e di diffondere la pratica della Confessione e della Comunione sacrilega tra i fedeli che si trovano in una situazione di peccato grave e pubblico. 

Qui non stiamo parlando di un politico che cerca di far passare un emendamento nella legge finanziaria all’ultima votazione, ma di un Romano Pontefice che, consapevole di proporre una disciplina contraria all’insegnamento della Chiesa, cerca di introdurla con il dolo, traendo in inganno i Vescovi. Un Romano Pontefice che vien meno al divino mandato di confermare i fratelli nella Fede, e che anzi si adopra con i suoi congiurati per promuovere un tradimento a Cristo che mette a repentaglio la salvezza eterna delle anime. Un Romano Pontefice che parla dei custodi della dottrina come di «questi», trattandoli come dei fanatici pronti a denunciare l’errore. Fanatici impietosi e crudeli, che chiudono le porte della misericordia bergogliana, alzando muri e non costruendo ponti. 

Le parole di Bergoglio riferite da mons. Forte - verosimili nella loro agghiacciante lucidità, specialmente per chi conosce bene l’Argentino - sono rivelatrici di un’intenzione dolosa che non è iniziata con questo infaustissimo Pontificato: essa è una costante tra i modernisti. Non c’è di che trasecolare: il nemico agisce nell’ombra per non esser scoperto, e nell’ombra rimane finché non è sicuro di aver ottenuto il proprio scopo. Ci sarebbe invece da trasecolare per l’inaudita sprovvedutezza dei più, per la loro pavidità, per la loro incapacità di esser in grado di opporsi all’errore e all’adulterazione della Fede e della Morale perseguita anzitutto per via liturgica e pastorale. L’ingenuità di tanti sacerdoti e Vescovi e Cardinali - più dei laici, direi - è quella di comunicande mandate a combattere contro il Turco, di esili monachelle cui sia chiesto di impugnare la spada, con i risultati prevedibili. 

Se l’orrido Bugnini avesse ammesso che le modifiche del rito della Messa introdotte con la pessima riforma liturgica della Settimana Santa dovevano preparare il terreno alla rivoluzione del culto ed alla protestantizzazione della Messa non appena fosse stato eletto Papa il desideratus dei modernisti, Pio XII non avrebbe mai autorizzato quelle modifiche, che gli furono viceversa presentate come innocue. Se al Concilio i novatori avessero confessato al Prefetto del Sant’Uffizio di voler sostituire gli schemi preparatori per consentire l’introduzione di dottrine eretiche, oggi Bergoglio non sarebbe nemmeno sacrestano in una remota pieve della periferia di Buenos Aires. É pur vero che la storia non si fa con i se, ma è altrettanto vero che dinanzi al dispiegarsi di un attacco astuto e perverso al cuore stesso della Religione nessuno si è voluto schierare coraggiosamente, nessuno ha voluto usare quelle doti di fortezza che dovrebbero esser peculiari in chi è costituito in autorità. Poiché è proprio dell’episcopus il saper sorvegliare (ἐπίσκοπος), come un generale deve conoscere le mosse del nemico per potersi difendere ed attaccarlo. 

Non stupiamoci se il nemico usa mezzi disonesti e fraudolenti per colpirci; stupiamoci che quanti hanno denunciato e denunciano oggi i congiurati siano rimasti inascoltati, quando non sono stati derisi, screditati, ridotti al silenzio, allontanati come se fossero loro i nemici della Chiesa e del Papato. 

Stupiamoci di dover riconoscere che il nemico non sta assediando la Cittadella da fuori come ha fatto per secoli, ma che vi è entrato e si è assiso sul trono del Re, dal quale imparte ordini per demolire la rocca ed aprire le porte ad altri eserciti incalzanti. Quelli che con irrisione furono liquidati come profeti di sventura da Roncalli, siederanno alla destra di Nostro Signore per giudicare i pastori infedeli, i mercenari e gli ignavi. 

Quanti oggi subiscono la stessa sorte dovrebbero avere il coraggio di non abdicare alla propria intelligenza limitandosi a denunciare gli eccessi del Satrapo, quand’è evidente che le sue azioni non sono che la logica conclusione delle premesse poste da altri complici arrivati prima di lui. Complici che non si vuol riconoscere come tali solo perché la loro azione è stata ben più devastante in quanto dispiegata nel corso dell’ultimo Concilio Ecumenico con l’avvallo dei Papi e dell’Episcopato.  

Anche mons. Bugnini, con espressioni analoghe a quelle di Bergoglio confermava il dolo del proprio operato, quando non riusciva ad ottenere questa o quella formulazione nel testo ufficiale in latino: «L’aggiusteremo nelle traduzioni», diceva. Questo non è agire da persone oneste, né tantomeno da Ministri di Dio. Non furono onesti i progressisti che stravolsero il ventunesimo Concilio Ecumenico facendone il primo Concilio della setta che oggi è infeudata in Vaticano. Non sono onesti quanti oggi infieriscono sul martoriato corpo ecclesiale per compiacere i nemici di Dio, quanti dimostrano una ripugnante libido serviendi nei confronti di un mondo che rinnega e odia il Salvatore. 

Leggere con un approccio neutrale Querida Amazonia è impossibile, così com’è impossibile leggere Amoris Laetitia, gli Atti Conciliari o qualsiasi documento romano dopo la morte di Pio XII senza percepire l’assenza di quella chiarezza di esposizione che caratterizza invece l’insegnamento della Chiesa di sempre. 

Chi vuole difendere la Verità cattolica usa parole inequivocabili, affermando la proposizione ortodossa e condannando quella eterodossa che ad essa si oppone. Lo scopo è salvare anime, non trarre in inganno i Sacri Pastori e il popolo fedele. 

Ma dal Concilio in poi, chi difende la Verità cattolica, per un incomprensibile senso di inferiorità non ricorre al Magistero perenne, ma alla sua parodia conciliare o postconciliare, che è ontologicamente equivoca, volutamente dialogante, ipocritamente melliflua proprio quando nega la Verità, la tace, la dissimula per lasciar insinuare l’errore. Ed è questo, in definitiva, che rende tutta la produzione di documenti magisteriali, disciplinari o pastorali della Curia Romana un cumulo di carta destinata al macero. Poiché quel che di cattolico c’è in uno di quegli sproloqui fumosi e prolissi era già stato detto in modo perfetto dal Magistero precedente al Vaticano II, mentre quel che vi è di nuovo è da respingere integralmente sine glossa. Perché è sempre pretestuoso: dalla presunta incomprensiblità dei riti in latino per ottenere la protestantizzazione della Messa, alla carenza di sacerdoti in Amazzonia per abolire il Celibato o al crollo delle Vocazioni per ordinare le diaconesse. 

Le rarissime volte in cui un Papa del postconcilio ha usato della propria Apostolica Autorità per impartire un insegnamento cattolico in continuità con il Magistero dei Predecessori - si pensi all’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI o alla Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II - proprio quelli che idolatrano lo pseudomagistero conciliare insorgono sdegnati, e si ribellano apertamente a quello stesso Vicario di Cristo che ha avuto l’ardire di comportarsi da Papa. Strano concetto dell’obbedienza alla Sede di Pietro, quello dei novatori: ricorda il senso delle istituzioni della Sinistra, che esalta il Presidente della Repubblica quando elogia il multiculturalismo, ma lo ignora o lo critica se commemora le vittime delle Foibe, uccise dai Comunisti di Tito. 

Oggi i menestrelli di Santa Marta, inebriati dalle conquiste ottenute grazie al Tiranno, pensano che l’abolizione del Sacro Celibato o l’introduzione del Sacerdozio alle donne possano esser oggetto di discernimento come è avvenuto con Amoris Laetitia per l’abolizione del divorzio e l’ammissione dei concubinari ai Sacramenti. E non si può dar loro torto: il sistema è sempre lo stesso e funziona, dal Concilio ai nostri giorni. 

Dall’Esortazione postsinodale qualche irriducibile ottimista riuscirà forse ad estrapolare un velato, implicito accantonamento di questi sciagurati propositi. Ma se grazie all’equivocità del testo è possibile dare un senso cattolico ai vaniloqui di Santa Marta, quell’equivocità consentirà anche l’operazione opposta, come già vanno dicendo padre Spadaro e gli altri cortigiani. E possiamo star certi che sarà sempre la versione lassista a prevalere, come è sempre avvenuto. 

Il problema è che - per usare le alate parole del Papa - il vero «casino» non lo fanno i pochi Vescovi conservatori più o meno legati al Vaticano II, ma il documento in sé, pensato deliberatamente per generare confusione, per prestarsi ad interpretazioni opposte. E questo è lo stigma dell’opera del Diavolo.

Copyright MMXVIII - Cesare Baronio

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