La laicità non è un’estensione della natura e delle sue leggi ai fenomeni e ai corpi sociali. È un concetto filosofico di conio anticristiano che solo dei cattolici senza midollo possono prendere per buono mettendosi al riparo della tranquillizzante reminiscenza che il termine laico appartiene in origine al linguaggio della Chiesa e indica la persona non consacrata.
Mercoledì 2 marzo 2016 È pervenuta in redazione:
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Gentilissimo dottor Gnocchi,
davanti allo scempio della morale che sta passando a colpi di legge, mi pare che non serva essere cattolici per capire che siamo al disastro. Basta ragionare da persone normali. Per questo mi chiedo se tutto il dibattito, senza essere ricondotto alla fede, non si possa affrontare in modo più efficace dentro il quadro di una sana laicità in cui si accettino regole condivise da parte di tutti i protagonisti.
La ringrazio per l’attenzione
Osvaldo Caroli
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Caro Osvaldo,
la risposta è molto semplice ed è composta da sue sole lettere: no. E il motivo è altrettanto facile da esprimere: la “laicità” non può essere “sana” o “malata”, è laicità e basta, una visione della vita sociale che pretende, quanto meno, di mettere Dio tra parentesi. Che possa esistere una laicità buona è un’illusione, forse anche pia, maturata in quel cattolicesimo che, tagliati i ponti con il passato, vorrebbe abbracciare il mondo rimanendo in sacrestia, abbandonando l’altare ma senza perdere la raccolta delle elemosine all’offertorio, dimenticandosi dell’eternità senza mollare l’otto per mille quaggiù.