ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 4 giugno 2017

Noi cattolici glielo lasceremo fare…?

L’inferno? È soltanto un simbolo; che credevate? Parola di gesuita



Padre Arturo Sosa Abascal, gesuita venezuelano, classe 1948, è preposito generale della Compagnia di Gesù dal 14 febbraio 2016, in piena sintonia con gli indirizzi pastorali di papa Francesco, anche lui gesuita e anche lui sudamericano,
Il 18 febbraio 2017, in una intervista al giornalista ticinese Giuseppe Rusconi, per il sito www.rossoporpora.org, ha polemizzato duramente, anche se indirettamente, fra le altre cose, con il cardinale Müller, il quale, in una intervista alla rivista Il Timone, a proposito del matrimonio, aveva affermato che nessun potere in Cielo o in Terra, né un angelo, né il papa, né  un concilio, né una decisione dei vescovi, hanno la facoltà di modificare il Magistero che lo stabilisce come sacramento e, perciò, lo rende indissolubile. Le sue precise parole erano state queste:

Intanto bisognerebbe cominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù… a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito…
DOMANDA: Ma allora, se tutte le parole di Gesù vanno esaminate e ricondotte al loro contesto storico, non hanno un valore assoluto…
RISPOSTA: Nell’ultimo secolo nella Chiesa c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente cosa volesse dire Gesù… capire una parola, capire una frase… le traduzioni della Bibbia cambiano, si arricchiscono di verità storica… Pensi un po': per me, venezuelano, una stessa parola può avere un significato diverso se detta da uno spagnolo… Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla Chiesa che è fatta di persone umane. Sa che cosa dice san Paolo? “Non ho ricevuto il Vangelo da nessuno degli Apostoli. Sono andato a trovare Pietro e Giacomo per la prima volta tre anni dopo la conversione. La seconda, dopo dieci anni e in quell’occasione abbiamo discusso di come va compreso il Vangelo. Alla fine mi hanno detto che anche la mia interpretazione andava bene, ma una cosa non dovevo dimenticare: i poveri… “: Perciò è vero che nessuno può cambiare la parola di Gesù… ma bisogna sapere quale è stata!
DOMANDA: È discutibile anche l’affermazione (cfr. Matteo 19, 3-6) “Non divida l’uomo ciò che Dio ha congiunto”?
RISPOSTA: Io mi identifico con quello che dice  papa Francesco: non si mette in dubbio, si mette a discernimento…
DOMANDA: cioè si mette in dubbio, poiché il discernimento è valutazione, è scelta tra diverse opzioni… Non c’è più un obbligo di seguire una sola interpretazione…
RISPOSTA: No, l’obbligo c’è sempre, ma di seguire i risultati del discernimento. Non è una qualsiasi valutazione…
DOMANDA: Però la decisione finale si fonda sul giudizio relativo a diverse ipotesi… Prende in considerazione dunque anche l’ipotesi che la frase “l’uomo non divida…” non sia esattamente come appare… insomma mette in dubbio la parola di Gesù…
RISPOSTA: Non la parola di Gesù, ma la parola di Gesù come noi l’abbiamo interpretata… Il discernimento non sceglie tra diverse ipotesi ma si pone in ascolto dello Spirito Santo, che – come Gesù ha promesso – ci aiuta a capire i segni della presenza di Dio nella storia umana.

Una riflessione specifica su questa straordinaria intervista richiederebbe un articolo a parte, anzi, un saggio a parte: un saggio dedicato a mostrare come questi gesuiti modernisti e progressisti stiano scientemente e sottilmente sfruttando tutte le arti della loro consumata dialettica per rivoltare come n guanto la dottrina cattolica, e per mettere in bocca a Gesù Cristo
tutto quel che piace a loro, cioè  tutto quel che piace al nostro secolo: il progresso, la scienza, l’edonismo, l’immanenza, la totale distruzione del senso della trascendenza, della spiritualità, del misticismo, dell’unione profonda con Dio mediante la preghiera, la fede e l’abbandono dell’io, con tutte le sue brame e la sua alterigia, a cominciare da quella di capire tutto e spiegare tutto: cioè la distruzione del Mistero, in nome di un razionalismo esasperato e di uno storicismo che, con la scusa di contestualizzare, toglie, di fatto, o cloroformizza, o neutralizza, la dimensione dell’Assoluto nella stessa Parola di Dio, riducendola, di fatto, alle modeste proporzioni di una parola umana, bisognosa di continue revisioni, aggiornamenti, puntualizzazioni, precisazioni, interpretazioni (proprio come nel protestantesimo e nel modernismo).
Il tutto con la suprema ipocrisia di negare una relativizzazione della Parola di Dio, proprio nell’atto di operarla, anzi, d’imporla; e di nascondersi dietro un dito, di fronte all’evidenza di un rovesciamento totale del senso delle Parole di Gesù.  Sosa Abascal dice che bisogna contestualizzare, che bisogna vedere in che senso Gesù ha detto che l’uomo non deve dividere ciò che Dio ha congiunto? Benissimo: il senso viene ulteriormente precisato dal seguito del discorso di Gesù stesso: Mosè ha ammesso il divorzio per la durezza di cuore degli uomini; ma, dice Gesù, chiunque anche soltanto guarda una donna con desiderio, ha già commesso un adulterio con lei, nel suo cuore. Pertanto, aggiunge sempre Gesù, se il tuo occhio ti dà scandalo, strappatelo; se il tuo piedi o la tua mano ti danno occasione di scandalo, tagliateli: è meglio entrare ciechi, zoppi e monchi nel Regno di Dio, che essere gettati nel fuoco dell’inferno. Più chiaro di così. Altro che registratori. Bisogna che Sosa Abascal s’inventi qualcosa di meglio della faccenda dei registratori, se vuol portare avanti il suo disegno di storicizzazione e razionalizzazione del Vangelo, cioè il suo progetto gnostico-massonico per trasformare il cattolicesimo in una religione a due livelli: quello popolare, delle vecchiette credulone, e quello dei dotti, i quali, avendo studiato e rettamente interpretato il Vangelo (finalmente, dopo duemila anni di equivoci ed errori!) hanno capito che Gesù ha detto e fatto delle cose ben diverse da quello che appariva ad una prima, “ingenua” lettura.
Ma padre Sosa Abascal non era che all’inizio del suo progetto di sovversione della Scrittura (della Tradizione non parla, perché, evidentemente, a lui non interessa: non interessa ai protestanti e ai modernisti); non gli bastava aver negato che si possa leggere il Vangelo, così com’è, semplicemente con fede, e fidandosi della interpretazione che il Magistero ne ha dato per due millenni. No, la sua opera di sovversione deve andare avanti, sempre più avanti: ora se la prende con la credenza nel diavolo, roba per vecchine sempliciotte e un po’ deboli di mente (di nuovo!) e per fanatici e ignoranti, insomma roba da medioevo. Come riportato dal giornalista Matteo Matzuzzi sul Il Foglio del 2 giugno 2017, padre Abascal, nel corso di un’intervista (ma non ne rilasciano un po’ troppe, d’interviste, questi preti progressisti e modernisti? è diventata questa la loro forma di comunicazione privilegiata, come per i divi dello spettacolo, o per i politici?), rilasciata al supplemento Papel del quotidiano spagnolo El mundo, dopo essersi diffuso su svariate questioni di portata mondiale, non tutte precisamente di carattere religioso, a cominciare dalla situazione politica della sua patria, il Venezuela, a un certo punto ha affermato, con la massima nonchalance, lasciando di stucco l’intervistatore, e soprattutto i lettori, specie se fedeli cattolici:

Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male. Anche i condizionamenti sociali rappresentano questa figura, ci sono persone che si comportano così perché c’è un ambiente dove è molto difficile fare il contrario.

Ecco quel che si dice prendere due piccioni con una sola fava: il diavolo non esiste, è solo una figura simbolica (metodo Bultmann; e neppure i malvagi esistono, sono solo dei disadattati sociali (buonismo), che non possono sottrarsi all’influenza deleteria del loro ambiente, il quale è la sola causa apprezzabile del male che essi commettono (Rousseau, mito della bontà originaria dell’uomo, nonché pelagianesimo e negazione degli effetti del Peccato originale; inoltre, negazione del libero arbitrio, come avviene per i luterani). Pertanto, ci sono almeno quattro componenti ereticali in quelle poche parole di padre Abascal. Il quale, evidentemente, si è dimenticato, oltre che di due millenni di sacro Magistero, nonché delle parole di Gesù stesso (Io non ti prego, Padre, di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal maligno), anche delle parole di un poeta laico e assai poco credente, Charles Baudelaire: La vittoria più bella del diavolo è quella di far credere che non esiste.
Così, se padre Abascal al diavolo non ci crede, ci crediamo noi; e ci sembra che nel suo sorrisetto beffardo, compiaciuto, da: ascoltatemi-bene-che-so-tutto-io, nella sua aria sorniona, con quei baffetti ben curati e un po’ rétro, e con quell’aria vagamente, beatamente idiota, che ricorda certi ritratti di La Mettrie e di altri philosphes savants illuministi, i quali, proprio come lui, avevano capito tutto, e soprattutto avevano capito che tutti gli altri non avevano capito nulla, se ne possano, forse, riconoscere alcuni caratteristici tratti. Del resto, ci sentiremmo di scommettere che costui, quando insegnava in seminario, era di quei professori modernisti e progressisti che minacciavano rudemente i seminaristi che osassero indossare la talare: la talare, si sa, è roba d’altri tempi, tempi di clericalismo e di oscurantismo. Ma ora i Sosa Abascal, elegantissimi nel loro clergyman di buon taglio, e sempre graditi ospiti nei salotti che contano, non ammettono simili cadute di stile.
Un’ultima osservazione su papa Francesco. Il papa, si dirà, non la pensa così, almeno riguardo al diavolo (e ci mancherebbe altro…); il papa ci crede, eccome, visto che ne ha parlato in diverse occasioni, ricordando che si tratta di un essere personale, non di una semplice astrazione concettuale. Resta il fatto che, oltre ad essersi felicitato della sua elezione, e, probabilmente, ad averla favorita, vista la perfetta sintonia dottrinale e pastorale fra i due,  il papa non lo ha ripreso, né in occasione della precedente intervista, quando aveva affermato che non si sa cosa abbia realmente detto Gesù, perché ai suoi tempi non c’era qualcuno che registrasse le sue parole, né, a quanto pare, in occasione di quest’ultima, in cui dice chiaro e tondo che il diavolo non esiste. Forse il papa tace per una forma di delicatezza? Forse lo ha ripreso, o lo riprenderà, ma in privata sede? Difficile crederlo. Quando deve far capire che non è d’accordo con qualcuno, o che non ha stima di qualcuno, il papa Francesco sa farlo molto bene, con la massima pubblicità, e senza alcun riguardo: anzi, mirando deliberatamente a screditarlo e umiliarlo. Lo ha fatto con le parole, con i gesti, con il tono della voce, con lo strizzare o lo sgranare e roteare gli occhi, con tutta la mimica di un consumato attore. Però, quando monsignor Vincenzo paglia elogia il defunto Marco Pannella come un campione della spiritualità, e quando lo addita a modello ed esempio per tutti quanti, quale maestro di vita; o quando monsignor Galantino dice che Dio ha risparmiato i sodomiti, contraddicendo frontalmente la parola di Dio contenuta nella Bibbia, allora il papa che parla sempre e che parla di tutto, in qualsiasi occasione gli si offra, diventa muto come un pesce: non proferisce verbo, né muove un muscolo. Tace; e chi tace,  se non andiamo errati, e specialmente in una struttura gerarchica come la Chiesa cattolica (struttura gerarchica che Bergoglio non ha per niente alleggerito, anzi, sta centralizzando al massimo, così da avere ogni cosa sotto controllo), acconsente. Qui tacet, consentire videtur. L’unica possibile spiegazione di tutto ciò non è che il papa, su certe cose, come l’esistenza del diavolo quale essere personale, la pensa in maniera diversa, più tradizionale e più ortodossa, di come la pensino certi suoi troppo impetuosi pupilli, come padre Sosa Abascal, bensì che lui e loro stiano facendo un gioco di squadra. Qualche volta tira la palla uno, qualche volta la tira un altro, e pare che siano due  soggetti e due volontà diversi; invece il fine è lo stesso, la strategia è la stessa, ma ben mascherata: si tratta di portare la Chiesa cattolica fuori di se stessa, di trasformarla in un’altra cosa, che non vogliamo neppure nominare, e di giungere ad un tale risultato senza che i credenti se ne accorgano; insomma, la strategia della rata bollita, o, se si preferisce, della “finestra” di Overton.
Resta una sola cosa da vedere, a questo punto, dal momento che i loro giochi si stanno facendo abbastanza chiari: si tratta di vedere se noi cattolici glielo lasceremo fare…
di Francesco Lamendola del 04-06-2017
http://www.liberaopinione.net/wp/?p=14773

Le opere del maligno

dal Numero 22 del 4 giugno 2017
di Padre Angelomaria Lozzer, FI
Con il Santo Battesimo l’anima dell’uomo è strappata al dominio di satana e riconquistata a Cristo. Tuttavia, il diavolo non si dà per vinto e cerca in tutti i modi di riacquistare quell’anima, lungo il corso della sua vita terrena, servendosi di tante esche insidiose che toccano la psiche umana per inclinarla al peccato.

Non è la terra il vero obbiettivo del diavolo. La sua arroganza punta a distruggere soprattutto quella che è l’impronta più perfetta e più alta di Dio nel creato, ossia l’uomo: «Satana ha preteso che gli foste consegnati per vagliarvi come il grano» (Lc 22,31).
Agli albori dell’umanità, satana aveva raggiunto, possiamo dire, questo obiettivo con il peccato di Adamo, e l’umanità era divenuta sua proprietà: «Come effetto del peccato dei Progenitori questo angelo caduto ha conquistato in certa misura il dominio sull’uomo. Questa è la dottrina costantemente confessata e annunziata dalla Chiesa» (Giovanni Paolo II). Tuttavia tale vittoria non era destinata a perdurare: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). Nella pienezza dei tempi sarebbe venuto infatti “il più forte” di lui che gli avrebbe strappato il bottino: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino» (Lc 11,21-22). Per questo il diavolo grida e geme: «Che abbiamo a che fare noi con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?» (Mc 1,24). Ed ecco che nell’approssimarsi della Passione Gesù dichiara: «Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori» (Gv 12,31). Gesù, con la sua Passione e Morte, «ci ha strappato dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio suo diletto» (Col 1,13). Così – chiarisce Giovanni Paolo II – «il Cristo crocifisso e risorto si è rivelato come quel “più forte” che ha vinto “l’uomo forte”, il diavolo, e lo ha spodestato».
Gesù attraverso la sua Passione diventa il prezzo del nostro riscatto e della nostra liberazione, il pegno della nostra rigenerazione. Attraverso il Battesimo l’anima rigenerata dalla Grazia viene incorporata a Cristo e divine partecipe della sua Vita divina. L’anima lascia la pianta bacata e malata di Adamo ed Eva, appartenente al diavolo, per innestarsi alla pianta nuova che è Cristo. Questo ci fa capire che fin tanto che l’anima non è rigenerata dalle acque vivificanti del Battesimo è schiava del diavolo. Ecco perché la Chiesa, nell’amministrare questo augusto Sacramento, compie prima una preghiera di esorcismo. Nel vecchio libro liturgico del Battesimo la Chiesa si rivolgeva al diavolo con questa formula molto eloquente: «Ti comando, o spirito impuro, nel Nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo di uscire e di allontanarti da questo servo di Dio. O maledetto reprobo, te lo comanda Colui che ha camminato sull’acqua ed ha porso la mano a Pietro che stava per affondare. Riconosci, diavolo maledetto, la tua condanna! E non osare mai danneggiare questo segno della santa Croce che ora tracciamo sulla fronte di questo bambino». Parole dure, se si pensa che erano pronunciate su un inerme bambino, ma esse ci rivelano quanto triste sia la schiavitù a cui l’umanità è andata soggetta a causa del peccato dei nostri Progenitori e che ci conferisce giustamente l’appellativo di “figli dell’ira” (cf. Ef 2,3). Ecco perché il diavolo cerca di frenare a tutti i costi l’ondata missionaria all’interno della Chiesa onde non perdere anime al suo dominio. Tuttavia anche qualora gli siano state sottratte dal Sangue di Cristo, non manca ugualmente di inseguirle nel tentativo di tender loro agguati e di adescarle nuovamente con il peccato mortale.
San Pietro mette in guardia i cristiani: «Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare» (1Pt 5,8). E san Paolo rincalza: «Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6,11-12). Occorre dunque vigilanza e preghiera se non si vuole soccombere, tanto più che egli non manca di travestirsi persino «da angelo di luce» (2Cor 11,14).
La Chiesa, consapevole di tutto ciò, pregava: «O Signore, dona al tuo popolo il modo di evitare i diabolici contagi». Sappiamo, infatti, che «il demonio può insinuarsi fino alle giunture dell’anima col corpo, esplorare le influenze e le reazioni che intercorrono fra le due parti dell’essere nostro, conoscere a fondo le nostre attitudini, propensioni, simpatie, antipatie, difetto predominante, lato debole, la via da seguire per insinuare un sentimento che ci dominerà al momento opportuno. Inoltre l’immaginazione offre un vasto campo all’influenza demoniaca: sogni, ricordi, immagini insidiose o tormentose sono esche tanto più pericolose, in quanto il demonio si nasconde dietro il gioco normale delle leggi psicologiche; ci pone in uno stato fisiologico favorevole allo scatenarsi delle nostre passioni e alla capitolazione della nostra volontà» (A. Piolanti). Ecco perché il diavolo, non potendo entrare direttamente nell’anima, la cui porta è riservata a Dio, cerca altre vie: quella dei sensi, della fantasia e della concupiscenza, o come afferma san Tommaso «per motum locale spirituum et humorum», affinché attraverso delle scosse impresse agli spiriti vitali ed agli umori, la volontà, sebbene non costretta, si inclini pian piano ad aprirgli la strada. Così si ripete la storia del peccato di Eva, la quale «osservò che il frutto era buono a mangiarsi e piacevole all’occhio e gradevole d’aspetto» (Gen 3,6). Con questa sua tattica diabolica ipnotizzante e ammorbante s’introduce nell’anima a passi vellutati e guai a colui che entra in dialogo con questo astuto serpente, perché, senza un intervento speciale della Grazia divina, soccomberà certamente. «Pregate e vegliate», dunque, perché la battaglia possa coronarsi con la vittoria contro colui che è il mentitore, il tentatore, il persecutore, il ciarlatano, il predone che vuole impossessarsi delle anime.
Tra le opere prodotte dal diavolo va menzionata non per ultima la morte. Il diavolo infatti è chiamato l’omicida, perché è a causa di lui se la morte ha fatto il suo ingresso nel mondo: «La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 1,13; 2,23). E, «quando il respiro si fa sempre più difficile, ansimante e roco; quando la bocca si spalanca; quando lo sguardo è perduto lontano; quando le forze ci abbandonano allora l’omicida ha nuovamente compiuto la sua opera. In fondo però non gli è riuscita, giacché v’è anche una resurrezione per mezzo del Nostro Signore Gesù Cristo» (O. Hophan). Ma se oltre la morte fisica, chiamata anche “prima morte”, fa seguito anche la “seconda morte”, ossia quella dell’anima con il peccato grave, allora l’opera del diavolo è completa e l’anima gli appartiene di diritto. L’anima morta in disgrazia di Dio, alla fine dei tempi, seguirà il suo padrone anche col corpo in quel luogo terribile e soffocante che gli stessi demoni temono, come lo dimostra il fatto di preferire ad esso l’abitazione dei porci: «Prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione» (Mc 5,10) e, «lo pregavano affinché permettesse loro di andare nei porci» (Lc 8,31).

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