ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 18 giugno 2017

Parrebbe una cosa logica e naturale vero?

L’inganno modernista: un trucco da quattro soldi



Verrebbe quasi da ridere, se la serietà, anzi, la drammaticità dell’argomento, lo consentisse, di fronte all’incredibile semplicità, alla banalità, alla semi stupidità del trucco fondamentale sul quale si regge tutto l’inganno modernista, che affligge, avvelena e devasta la Chiesa cattolica, o quel che ne rimane, ai nostri giorni. E fa rabbia pensare a come sarebbe facile vedere il trucco, rendersi conto di che cosa si tratta, se solo si avessero occhi ancora capaci di vedere, e orecchi ancora capaci di udire, e una mente ancora capace di pensare. È la genialità del male: servirsi di strumenti semplici, semplicissimi, talmente semplici e poveri, talmente rozzi, talmente banali, da parer quasi inoffensivi: chi andrebbe a pensare che un piano talmente vasto, un disegno così terribile, perseguito fin dalla notte dei tempi, il diavolo lo sta portando avanti per mezzo di idee così povere e di uomini tanto meschini? Eppure è così; senza ombra di dubbio, è proprio così. Da qualunque parte lo si consideri, il piano è di una semplicità tremenda, perfino disarmante. E la sua diabolica efficacia sta proprio in questo: che nessuno, di primo acchito, andrebbe a pensare che il nemico, per distruggere la Chiesa, si stia servendo di un materiale così dozzinale e di personaggi così scadenti.

Sì, è vero: Gesù stesso ci ha raccomandato di vegliare e pregare, di stare sempre in guardia, di non lasciarsi mai cogliere impreparati: ma ciò non significa che l’avvicinarsi del nemico dovrà essere segnalato da squilli di tromba e rulli di tamburi. No, al contrario: perché il nemico è furbo, è intelligente: e qualunque nemico intelligente sa che il miglior piano strategico consiste nello sferrare l’attacco in maniera tale che esso non venga riconosciuto per ciò che è se non all’ultimo momento, quando ormai è troppo tardi per organizzare una difesa. E la semplicità consiste in questo: che gli argomenti del modernismo si fondano su una premessa terribilmente semplice e, in apparenza, perfettamente legittima e ortodossa: cioè che si deve portare il Vangelo agli uomini nella maniera più adatta alle condizioni del momento storico in cui ci si trova. Dunque, agli uomini moderni bisogna portare il Vangelo in maniera moderna. Parrebbe una cosa logica e naturale vero? Se si vuole portare il Vangelo a una tribù della foresta amazzonica, si dovrà prima imparare la sua lingua, in  modo da farsi intendere da quegli uomini: giusto? E se si vuole portare il Vangelo agli operai di una fabbrica, bisogna che il prete si faccia operaio e vada anche lui a lavorare alla catena di montaggio, come tutti gli altri: non è vero? Parrebbe puro buon senso. E invece no, non è vero, né nel primo, né nel secondo caso: tuttavia, sembra vero. Sembra terribilmente, palesemente, inoppugnabilmente vero, e ragionevole, quasi lapalissiano. Tuttavia, non lo è: è solamente storicismo, un modo di pensare che resta all’interno del mondo; mentre il cristianesimo guarda all’Assoluto e all’Eterno, e spalanca agli uomini orizzonti sconfinati.
Per portare il Vangelo, uno solo è il requisito essenziale e irrinunciabile: la fede. Se c’è la fede, tutto il resto si risolve, per qualunque difficoltà si trova il rimedio; se non c’è quella, tutto il resto non serve a un bel niente. Se avrete fede quanto un granello di senape, potrete dire alle montagne di spostarsi e gettarsi nel mare, ed esse vi obbediranno. Non sono parole nostre: sono le Parole di Gesù. Gesù non scherzava, non parlava per modo di dire. Però, diranno i modernisti, bisogna interpretare: quelle parole esprimono un simbolo, sono parole simboliche. Niente affatto: sono parole tremendamente realistiche. Lo si capisce dall’insieme del Vangelo: prima di risanare gli infermi, i ciechi, i sordi, gli zoppi, i paralitici, gli indemoniati (sissignori, gli indemoniati: niente simboli, niente”figure”, caro padre Sosa Abascal: Gesù guariva i posseduti dal demonio), Egli domandava loro, o ai loro parenti, che li avevano condotti da Lui: Credi tu che Dio possa risanarti, credi che possa renderti la vista, o l’udito, o che possa liberarti? E solo dopo che avevano confessato: Sì, Signore, io credo; oppure dopo che avevano supplicato: Io credo, Signore: aiuta la mia poca fede!,  solo allora li guariva, li risanava, li esorcizzava e li liberava dal maligno. Questo voleva Gesù, questo Egli vuole da noi, la fede in Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ma come farà il missionario, se non conosce la lingua? Rispondiamo: la imparerà. La imparerà stando presso quegli uomini. Il missionario non è, né deve essere, un etnologo, o un antropologo o un linguista, e neppure un sociologo: deve essere, semplicemente, un uomo di Dio, pieno di fede e di amore: amore per Dio e amore per i suoi simili. Ma come farà, al principio, se non conosce la loro lingua? Rispondiamo: il linguaggio della fede è più forte di qualunque linguaggio verbale; e gli uomini lo vedono, lo capiscono, lo sentono. Padre André Dupeyrat, un missionario francese che passò venti anni della sua vita presso i papua della Nuova Guinea, evangelizzando alcune tribù che, sperdute nella foresta equatoriale, non avevano neppure mai visto un uomo bianco, quando si presentò loro per la prima volta, non aveva altro bagaglio che quello della fede. Lo accolsero scagliandogli contro delle frecce: lui continuò ad avanzare. Lo sosteneva una forza soprannaturale, quella forza che i cristiani chiamano Grazia. Non ebbe paura, non indietreggiò; o, se la ebbe, non lo diede a vedere: e con quel coraggio, con quella intrepidezza, conquistò e disarmò gli indigeni, i quali, sia detto fra parentesi, praticavano ancora la guerra tribale e il cannibalismo, nonché la caccia alla teste. Se non avesse avuto la fede, a nulla gli sarebbe valso conoscere la lingua delle tribù papua delle montagne. Se lo accolsero fra di loro, se lo rispettarono fin dall’inizio, se lo stettero ad ascoltare, mano a mano che egli imparava la loro lingua e i loro usi e costumi; se non si ribellarono neppure quando egli predicò loro l’amore di Gesù Cristo e proibì la guerra tribale, la caccia alle teste e i banchetti di carne umana: se accettarono da lui tutto questo, da lui, un uomo solo ed inerme, loro che conoscevamo soltanto la forza bruta, e lo pregarono, alla fine, di ricevere il Battesimo e la santa Comunione, non fu perché egli si era presentato loro fornito di un corredo di conoscenze etnologiche, ma perché riconobbero in lui, di primo acchito, un uomo mandato da Dio, da un Dio potente e misericordioso, che valeva la pena di ascoltare.
Un discorso perfettamente analogo, mutatis mutandis, si può fare per quel moderno missionario che è il prete desideroso di portare il Vangelo agli operai. Non è affatto necessario che egli si faccia operaio e che vada a lavorare in fabbrica: nove volte su dieci, così facendo, egli introietta la loro mentalità, che è una mentalità del mondo, e non attira gli operai a Cristo, ma è lui a farsi attirare dalle ideologie che regnano in quell’ambiente: il materialismo, il marxismo, la lotta di classe, la rivendicazione dei diritti. Potrà anche accadere che alcuni di quegli operai apprendano qualche rudimento del Vangelo, ma lo apprenderanno male: terranno per buona solo la parte che pare dar loro ragione, e lasceranno da parte tutto il resto, cioè l’essenziale: la trascendenza e l’amore di Dio. Crederanno di essere diventati cristiani, invece avranno strumentalizzato il cristianesimo secondo la loro prospettiva: immanente, materiale, rivendicativa.  Penseranno di aver sempre ragione, in ogni caso, contro tutto e contro tutti, per il fatto di essere “gli ultimi”: ma Gesù, quando parlava degli ultimi, non intendeva solo una categoria socio-economica di persone. E a trarli in errore saranno stati proprio i preti operai. Di fatto, questa è la fotografia di ciò che è accaduto: i preti operai si sono imbevuti di marxismo e di lotta di classe, e hanno predicato un Vangelo comunista e classista, provocando un danno immenso alle anime. Ora quei preti operai sono diventati vescovi e cardinali, e stanno seguitano a fare un danno, se possibile, ancora più grande, dato che molto più grande è l’autorità di cui dispongono, e molto più facile, per loro, l’accesso ai grandi mezzi di comunicazione. Grazie ad essi, il cattolicesimo si è svuotato del suo contenuto essenziale, la fede, e si è riempito di zavorra o di autentico veleno: il rancore sociale, tipico del marxismo e di tutte le ideologie egualitarie e rivendicative. E quel veleno è rimasto, lo hanno inoculato ovunque, e sta infettando tutta la Chiesa. Non sarà facile bonificare il terreno: ci vorranno anni, decenni, generazioni, prima di porre rimedio ai danni che hanno fatto questi monsignori imbevuti di marxismo, questi cattivi pastori che hanno abbassato il Vangelo al livello di una ideologia di questo mondo, fatta da certi uomini contro altri uomini.
di Francesco Lamendola del 18-06-2017
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