ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 15 giugno 2017

Un sacerdote della Chiesa fondata da Gesù Cristo?

Non sappiamo che farcene di preti come questi


La puntata di Cartabianca del 13 giugno scorso, su Raitre, a cura di Bianca Berlinguer, aveva come tema l’eventuale legge sullo ius soli e la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri che nascono in Italia; le due tesi contrapposte, contraria e favorevole, sono state rappresentate dal direttore del quotidiano Il Giornale, Alessandro Sallusti, e da un sacerdote, Fabio Corazzini, esponente del movimento cattolico Pax Christi, la cui storia comincia in Francia nel 1945, ma che viene introdotto in Italia nel 1954 ad opera dell’allora arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI.
Non abbiamo mai visto prima quel programma, così come, in generale, non guardiamo quasi mai un tal genere di programmi, dai quali non c’è praticamente nulla da imparare, se non misurare fino a che punto arrivi la sfacciataggine del sistema politico e mediatico nel voler imporre la cultura del politically correct, e la stupidità del pubblico nel subirla, perfino ringraziando per il servizio ricevuto (e pagato profumatamente, attraverso il canone televisivo). Eravamo davanti alla televisione per puro caso e abbiamo sentito, un po’ distrattamente, le argomentazioni del direttore Sallusti, le quali erano basate sul semplice buon senso e peccavano, semmai, di eccessiva timidezza, dato che la più grande paura, per un giornalista italiano, è quella d’incorrere nella taccia di razzismo e di subire, di conseguenza, il bando perpetuo dai circuiti della telecomunicazione pubblica e privata. Stavamo per alzarci, quando la parola è toccata a un personaggio che non sapevamo ancora chi fosse, non avendo seguito il programma fin dall’inizio, con le debite presentazioni degli ospiti. Si trattava di un giovanotto, vestito in borghese, anzi, in tenuta balneare, con la maglietta con le maniche corte, e portava un casco di capelli lunghi e ricci, più la barba e i baffi, il che lo rendeva simile, in tutto e per tutto, a tanti altri giovanotti già visti, nella nostra infanzia, ai tempi del ‘68: gli studenti di Scienze politiche o di qualche altra facoltà universitaria “rossa”, tutti debitamente marxisti e rivoluzionari, tutti debitamente barbuti e rancorosi, tutti debitamente ironici e pieni di disprezzo per il miserabile uditorio borghese, e col ditino alzato a mo’ di profezia, per declamare le massime fatali dei rivoluzionari d’ogni tempo e latitudine: State attenti, stiamo per arrivare: verrete spazzati via e così noi potremo instaurare finalmente il paradiso in terra, un ordine mondiale più giusto e più bello, dove non ci saranno più le sanguisughe come voi e dove lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo sarà solo un triste ricordo del passato.
Questo signore, peraltro, aveva – se possibile – un’aria ancor più arrogante, ancor più tonta, ancor più allucinata dei leader marxisti e maoisti e leninisti e castristi e guevaristi di sessantottesca memoria: nello sguardo gli brillava una luce stranissima, quasi da folle; e dalla mimica facciale, nonché dai gesti, traspariva un senso di sicurezza, di superiorità morale, un disdegno verso i filistei che non capiscono, né vogliono capire le sue ottime ragioni, che ne faceva la versione rivista e corretta di un predicatore millenarista, ma con qualche sfumatura giocherellona, come di chi non sa se abbia voglia di parlar sul serio oppure di buttarla in vacca, di farsi beffe dell’interlocutore e di aver solo l’intenzione di metterlo in ridicolo, non certo di discutere seriamente, tanto meno di soppesare con un minimo di onestà e di obiettività le sue tesi, le sue possibili obiezioni. Insomma, aveva l’aria del felice depositario della Verità, che ascolta divertito e vagamente annoiato lo squittio insignificante e irrilevante di chi non è d’accordo con lui, ma che si consola pensando – e a ragione, in effetti – che la ruota della storia va nella direzione che piace a lui, non in quella dei suoi eventuali contraddittori: insomma, la quintessenza dell’arroganza del politicamente corretto. Dopo cinque o sei secondi che stava parlando, su invito della giornalista Berlinguer, per replicare agli argomenti di Sallusti, ne avevamo già più che  a sufficienza per non avere alcun motivo di restare ad ascoltarlo, e infatti ci siamo alzati e siamo andato in un’altra stanza; a richiamarci davanti a televisore è stata l’esclamazione stupita di un’altra persona, che diceva: Ma guarda! Questo è un prete! E così abbiamo potuto appurare che era vero, si trattava proprio di un prete, peraltro mai sentito né visto prima: don Fabio Corazzini, appunto, di Pax Christi. Che fosse un prete, comunque, non lo si poteva capire da nulla: non solo non portava l’abito, ma neppure un crocifisso; noi, almeno, non l’abbiamo visto. Supponiamo che non lo porti perché, come dice sempre il papa Francesco, bisogna evitare come la peste l’orribile vizio del “clericalismo”; non bisogna offendere i membri delle altre religioni, o i non credenti, mostrando i simboli del cristianesimo; e poi, alla fin fine, sempre come dice il santo padre, Dio non è cattolico, e allora che bisogno c’è di qualificarsi come un sacerdote della Chiesa fondata da Gesù Cristo? Portava solo quel gran casco di capelli rossi e arruffati e quella maglietta a righe, come un personaggio comico di un film balneare di Carlo Vanzina; e, soprattutto, non parlava come un prete, non ragionava come dovrebbe fare un prete, non rispecchiava minimamente la spiritualità e la religiosità che dovrebbero sprigionarsi dalla persona di un uomo di Dio. No: parlava, ragionava e gesticolava proprio come un sindacalista, o come un sociologo, o meglio, come uno dei tanti fricchettoni delle marce per la pace, o per l’ambiente, o per gli animali: e vogliamo precisare subito che siamo sempre stati sensibili ai temi dell’ambiente, della pace e degli animali, per non parlare di una più equa ripartizione delle risorse terrestri fra tutti i sette miliardi di abitanti del pianeta. Ciò che ha reso, ultimamente, fastidiosi, per non dire insopportabili, tutti quei signori, è lo sfruttamento esasperato, banale, demagogico, assolutamente idiota e a senso unico, che essi hanno fatto, e stanno tuttora facendo, di quei temi così seri e importanti, in nome della loro cultura del politically correct: la cultura di sinistra, oggi rappresentata, politicamente, dal Partito Democratico e da altre piccole formazioni ancora più a sinistra: la cultura impersonata da personaggi come Laura Boldrini o Nichi Vendola, o come Monica Cirinnà e Ivan Scalfarotto, nei quali è ben rappresentata la triste parabola discendente di quella che fu una sinistra impegnata, bene o male (piuttosto male, secondo noi; ma, comunque, impegnata, forse anche in buona fede) per i diritti dei più deboli, e cioè dei lavoratori, dei pensionati, dei nullatenenti, e adesso è diventata la sinistra al caviale, la sinistra radical chic, femminista, omosessualista, immigrazionista, massonica e radicaleggiante, che continua a predicare dei diritti, sì, ma che ha perso di vista chi siano i più deboli, oggi: e che difende, in realtà, non i più deboli, ma i più prepotenti; non i più bisognosi, ma i più sfacciati; non i più dimenticati, ma i più cialtroni.
di Francesco Lamendola del 15-06-2017
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