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domenica 2 luglio 2017

Forse sì, forse no?

In Vaticano si apre il nuovo fronte: i preti anglicani
L’ultima della serie – in attesa di nuovi immancabili aggiornamenti – è che fino a qualche settimana fa uno era prete o non lo era. Adesso può esserlo in parte. E' quanto sostiene il cardinale Francesco Coccopalmerio in una recente pubblicazione a proposito dei sacerdoti anglicani. Ma il Magistero lo smentisce. 

E’ diventata ormai l’attività più praticata – ed evidentemente più remunerativa in termini di prestigio ed accesso ai posti che contano - nell’ecumene cattolica quella di demolire ciò che si erge ritto e stabile, anche solo di qualche centimetro da terra, di rendere fluido ciò che è solido e gassoso ciò che è liquido.

Fino a qualche mese fa una persona che viveva more uxorio non poteva ricevere l’Eucaristia. Adesso dipende. Fino a qualche mese fa un luterano non poteva accostarsi al Sacramento del Corpo e Sangue di Cristo. Adesso decida un po’ lui. Fino a qualche mese fa gli atti omosessuali erano contro-natura. Adesso forse sì, ma meglio no.

L’ultima della serie – in attesa di nuovi immancabili aggiornamenti – è che fino a qualche settimana fa uno era prete o non lo era. Adesso può esserlo in parte.

Il 9 maggio scorso, The Tablet, a firma di Christopher Lamb (vedi qui), ha riportato delle affermazioni del Cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, presenti in una recente pubblicazione, non meglio specificata, contenente documenti e discussione di un forum ecumenico tenuto a Roma.

Questi alcuni virgolettati riportati nell’articolo:
«Quando nella chiesa anglicana qualcuno viene ordinato e diventa parroco in una comunità, non possiamo dire che non è avvenuto nulla, che è tutto “invalido”».

«Abbiamo avuto ed abbiamo ancora un modo molto rigido di comprendere la validità o l’invalidità: questo è valido e questo non lo è. Si dovrebbe invece dire: “Questo è valido in un certo contesto e questo è valido in un altro contesto”».

«Che cosa ha significato il gesto di Paolo VI di donare un calice all’Arcivescovo di Canterbury? Se era per celebrare la Cena del Signore, l’Eucaristia, ciò significa che veniva fatta validamente, no? Questo è più forte di una croce pettorale, perché un calice non è utilizzato solo per bere, ma per celebrare l’Eucaristia. Con questi gesti la Chiesa Cattolica già intuisce, riconosce una realtà».

Affermazioni piuttosto esplicite ed in linea con la più “prudente” intervista rilasciata nel marzo scorso a Edward Pentin sul National Catholic Register (vedi qui): «Noi diciamo: tutto è valido, niente è valido. Forse dobbiamo riflettere su questo concetto di validità e invalidità. Il Concilio Vaticano II ha affermato che c’è una vera comunione anche se non ancora definitiva o piena. Lei vede che hanno usato un concetto non così deciso, come tutto o niente […] Ci sono parti mancanti, ma c’è già una comunione, ma non è una piena comunione. La stessa cosa, o qualcosa di simile, può essere affermata circa la validità o l’invalidità delle ordinazioni. Io ho detto: pensiamoci. E’ un’ipotesi. Forse c’è qualcosa o forse non c’è nulla – uno studio, una riflessione».

Forse sì, forse no. Forse ci accorgeremo che in realtà i preti anglicani sono sacerdoti al 30% o forse al 50%. Chi lo sa? Il minimo che si possa dire è che una posizione del genere può aprire una falla molto preoccupante all’interno della Chiesa, non solo relativamente alla sacramentaria, ma anche per tutto quello che riguarda il Magistero ordinario.

Era il 18 maggio 1998 quando Giovanni Paolo II promulgò la Lettera Apostolica Motu Proprio data Ad Tuendam Fidem, con la quale, come si comprende dalle parole iniziali scelte, il Papa si premurava di apportare alcune aggiunte al Codice di Diritto Canonico per confermare e tutelare la fede del popolo cristiano. In particolare il Papa decise di aggiungere un paragrafo al can. 750, fino ad allora a paragrafo unico: «Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente».

Questo paragrafo inseriva nel Codice di Diritto Canonico quanto già veniva proclamato nella Professione di Fede del 1989, imposta a coloro che nella Chiesa ricoprono particolari ruoli di governo (per esempio, i parroci), dove nel secondo comma si affermava: «Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo». Così commentava Giovanni Paolo II: «È di massima importanza questo comma della Professione di fede, dal momento che indica le verità necessariamente connesse con la divina rivelazione. Queste verità, che nell’esplorazione della dottrina cattolica esprimono una particolare ispirazione dello Spirito di Dio per la comprensione più profonda della Chiesa di una qualche verità che riguarda la fede o i costumi, sono connesse sia per ragioni storiche sia come logica conseguenza».

Nemmeno due mesi dopo, la Congregazione della Dottrina della Fede andava a spiegare, con esempi concreti, questa Professione di Fede, alla luce di Ad Tuendam Fidem, e, guarda a caso, scriveva: «Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare […] la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera Apostolica Apostolicae Curae sulla invalidità delle ordinazioni anglicane». Leone XIII, nella menzionata Lettera Apostolica del 1896, diceva senza troppe tergiversazioni: «Confermando e quasi rinnovando, in forza della Nostra autorità, di nostra iniziativa, per sicura conoscenza, Noi proclamiamo e dichiariamo che le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle» (Denz. 3319). La ragione di questa assolutezza di giudizio si fondava, tra l’altro, nella pratica costante della Chiesa di ordinare absolute, cioè non sotto condizione, quei “sacerdoti” anglicani che si convertivano alla Chiesa cattolica. Prassi che è stata mantenuta anche nell’istituzione di ordinariati personali per gli anglicani che rientrano nella Chiesa cattolica con la Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus.

Il Cardinale Coccopalmerio ha scelto come motto episcopale Iustus ut palma florebit, forse a motivo del suo cognome; ma quanto al suo pensiero sarebbe stato più coerente scegliere Panta Rei… 
di Luisella Scrosati02-07-2017

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