ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 9 luglio 2017

"Moro perchè non moro"?

     


Meglio morire prima

Eugenio Scalfari è un notevole esempio di come ci si può ridurre in età senile. S’è fatto invitare da Jorge Mario Bergoglio a casa sua. Aveva due richieste da sottoporre al pontefice: far togliere la scomunica a Baruch Spinoza e perorare la beatificazione di Blaise Pascal. Questioni di grande momento in quest’epoca di ciechi guidata da pazzi, e che Scalfari ha posto da par suo, ossia in linguaggio teologico. Vanno così le cose nel regno del pensiero separato. La pizia pontificale gli ha risposto picche per quanto riguarda Spinoza, e per quanto concerne la beatificazione di Pascal si “riserva di far istruire la pratica necessaria”. 


Scalfari è immerso nel suo tormento esistenziale come una sardina sott'olio, e al birbo capo dei preti ovviamente la cosa non sfugge. Però anche in questo resoconto dell’incontro col papanon perde occasione per ribadire che lui non è credente. Excusatio non petita, accusatio manifesta. Ci sarebbe da chiedersi per quale cazzo di motivo si prenda tanta briga per queste cose.

Bergoglio, dal canto suo, ha prescritto a Scalfari di “bere due litri d’acqua al giorno e mangiare cibo salato”. Terapeuta non solo dell'anima ma anche del corpo. Evidentemente il fondatore del più importante distributore italiano di bufale ha problemi con i valori della creatinina, ma da ciò che va dicendo da tempo diventa manifesto che i suoi problemi di salute vanno ben oltre la funzionalità renale. Meglio morire prima di ridursi così.

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Eugenio Scalfari intervista Papa Francesco e lo definisce "rivoluzionario". Il fondatore di Repubblica spiega: "Non abbiamo mai avuto un pontefice come lui". Immigrazione 
Papa Francesco (Foto: LaPresse)


EUGENIO SCALFARI: "PAPA FRANCESCO È RIVOLUZIONARIO. NON ABBIAMO MAI AVUTO UN PONTEFICE COME LUI" Papa Francesco in prima pagina non è una novità, ma Repubblica l'ha dedicata tutta all'intervista che ha rilasciato a Eugenio Scalfari. Al fondatore del quotidiano il pontefice ha svelato le sue preoccupazioni per il vertice del G20: «Temo che ci siano alleanze assai pericolose tra potenze che hanno una visione distorta del mondo: America e Russia, Cina e Corea del Nord, Putin e Assad nella guerra di Siria». Per Bergoglio il pericolo riguarda l'immigrazione, un problema crescente nel mondo d'oggi che l'Europa può affrontare concretamente se assume una struttura federale. «I Paesi si muoveranno se si renderanno conto di una verità: o l'Europa diventa una comunità federale o non conterà più nulla nel mondo».
Si parla poi di Spinoza e Pascal. Il primo venne scomunicato dalla Chiesa perché considerava Dio immanente, non trascendente. E Papa Francesco non fa alcun passo indietro: «Il nostro Dio unico è trascendente. Anche noi diciamo che una scintilla divina è dovunque, ma resta immune la trascendenza, ecco il perché della scomunica che gli fu impartita». Tocca poi di Pascal, che secondo il pontefice merita la beatificazione: «Mi riserbo di far istruire la pratica necessaria e chiedere il parere dei componenti degli organi vaticani preposti a tali questioni, insieme ad un mio personale e positivo convincimento». L'intervista si chiude con l'interpretazione della Chiesa sinodale sotto forma di immagine: per Eugenio Scalfari può essere rappresentata proprio con una croce. La riga orizzontale per i vescovi che curano le anime affidate alla loro Diocesi; il vescovo di Roma, il papa, ha la primazia nel Sinodo, quindi sta sopra la linea orizzontale e allora il fondatore di Repubblica pensa ad una linea verticale. «È bellissima questa idea, a me non era mai venuto di fare un disegno della Chiesa sinodale, lei l’ha fatto, mi piace moltissimo», commenta il pontefice.
A sorprendere in realtà è proprio Bergoglio, che commuove il fondatore di Repubblica quando lo aiuta ad entrare in macchina. E Scalfari conclude il suo pezzo con una dichiarazione di stima nei confronti di Papa Francesco: «Ho scritto spesso che è un rivoluzionario. Pensa di beatificare Pascal, pensa ai poveri e agli immigrati, auspica un'Europa federata e — ultimo ma non ultimo — mi mette in macchina con le sue braccia. Un Papa come questo non l'abbiamo mai avuto».
08 LUGLIO 2017 SILVANA PALAZZO

”REPUBBLICA” DEDICA TUTTA LA PRIMA PAGINA ALL’INTERVISTA DI SCALFARI A BERGOGLIO E LANCIA UN SIMPATICO GIOCO DELL’ESTATE: CHI SI SENTE PIÙ PAPA TRA I DUE? – L’ATEO EU-GENIO (93) SPIEGA AL GESUITA BERGOGLIO (80) UN ALTRO MODO DI VEDERE LA CROCE: ”AH, NON CI AVEVO PENSATO, È UNA BELLISSIMA IDEA”, E ALLA FINE IL SANTO PADRE AIUTA IL FONDATORE A ENTRARE IN AUTO: ”È UN PAPA RIVOLUZIONARIO”

 Intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco, pubblicata da ‘la Repubblica
 Giovedì scorso, cioè l’altro ieri, ho ricevuto una telefonata da Papa Francesco. Era circa mezzogiorno e io ero al giornale, quando è squillato il mio telefono e una voce mi ha salutato: era di sua Santità. L’ho riconosciuta subito e ho risposto: Papa Francesco, mi fa felice sentirla. «Volevo notizie sulla sua salute. Sta bene? Si sente bene? Mi hanno detto che qualche settimana fa lei non ha scritto il suo articolo domenicale, ma poi vedo che ha ripreso».
Santità, ho tredici anni più di lei. «Sì, questo lo so. Deve bere due litri d’acqua al giorno e mangiare cibo salato». Sì lo faccio. Sono seguiti altri suoi consigli ma io l’ho interrotto dicendo: è un po’ che non ci parliamo, vorrei venire a salutarla, vado in vacanza tra pochi giorni ed è parecchio che non ci vediamo. «Ha ragione, lo desidero anche io. Potrebbe venire oggi? Alle quattro?». Ci sarò senz’altro.
 Mi sono precipitato a casa e alle tre e tre quarti ero nel piccolo salotto di Santa Marta. Il Papa è arrivato un minuto dopo. Ci siamo abbracciati e poi, seduti uno di fronte all’altro, abbiamo cominciato a scambiare idee, sentimenti, analisi di quanto avviene nella Chiesa e poi, nel mondo.
Il Papa viaggia incessantemente: a Roma, in Italia, nel mondo. Il tema principale della nostra conversazione è il Dio unico, il Creatore unico del nostro pianeta e dell’intero Universo. Questa è la tesi di fondo del suo pontificato, che comporta una serie infinita di conseguenze, le principali delle quali sono l’affratellamento di tutte le religioni e di quelle cristiane in particolare, l’amore verso i poveri, i deboli, gli esclusi, gli ammalati, la pace e la giustizia.
Il Papa naturalmente sa che io sono non credente, ma sa anche che apprezzo moltissimo la predicazione di Gesù di Nazareth che considero un uomo e non un Dio. Proprio su questo punto è nata la nostra amicizia. Il Papa del resto sa che Gesù si è incarnato realmente, è diventato un uomo fino a quando fu crocifisso. La “ Resurrectio” è infatti la prova che un Dio diventato uomo solo dopo la sua morte ridiventa Dio.
Queste cose ce le siamo dette molte volte ed è il motivo che ha reso così perfetta e insolita l’amicizia tra il Capo della Chiesa e un non credente.
Papa Francesco mi ha detto di essere molto preoccupato per il vertice del “G20”. «Temo che ci siano alleanze assai pericolose tra potenze che hanno una visione distorta del mondo: America e Russia, Cina e Corea del Nord, Putin e Assad nella guerra di Siria».
Qual è il pericolo di queste alleanze, Santità?
«Il pericolo riguarda l’immigrazione. Noi, lei lo sa bene, abbiamo come problema principale e purtroppo crescente nel mondo d’oggi, quello dei poveri, dei deboli, degli esclusi, dei quali gli emigranti fanno parte. D’altra parte ci sono Paesi dove la maggioranza dei poveri non proviene dalle correnti migratorie ma dalle calamità sociali; altri invece hanno pochi poveri locali ma temono l’invasione dei migranti. Ecco perché il G20 mi preoccupa: colpisce soprattutto gli immigrati di Paesi di mezzo mondo e li colpisce ancora di più col passare del tempo».
 Lei pensa, Santità, che nella società globale come quella in cui viviamo la mobilità dei popoli sia in aumento, poveri o non poveri che siano?
«Non si faccia illusioni: i popoli poveri hanno come attrattiva i continenti e i Paesi di antica ricchezza. Soprattutto l’Europa. Il colonialismo partì dall’Europa. Ci furono aspetti positivi nel colonialismo, ma anche negativi. Comunque l’Europa diventò più ricca, la più ricca del mondo intero. Questo sarà dunque l’obiettivo principale dei popoli migratori».
 Anch’io ho pensato più volte a questo problema e sono arrivato alla conclusione che, non soltanto ma anche per questa ragione, l’Europa deve assumere al più presto una struttura federale. Le leggi e i comportamenti politici che ne derivano sono decisi dal governo federale e dal Parlamento federale, non dai singoli Paesi confederati. Lei del resto questo tema l’ha più volte sollevato, perfino quando ha parlato al Parlamento europeo.
«È vero, l’ho più volte sollevato». E ha ricevuto molti applausi e addirittura ovazioni. «Sì, è così, ma purtroppo significa ben poco. I Paesi si muoveranno se si renderanno conto di una verità: o l’Europa diventa una comunità federale o non conterà più nulla nel mondo. Ma ora voglio farle una domanda: quali sono pregi e difetti dei giornalisti?».
Lei, Santità, dovrebbe saperlo meglio di me perché è un assiduo oggetto dei loro articoli.
«Sì, ma mi interessa saperlo da lei».
 Ebbene, lasciamo da parte i pregi, ma ci sono anche quelli e talvolta molto rilevanti. I difetti: raccontare un fatto non sapendo fino a quale punto sia vero oppure no; calunniare; interpretare la verità facendo valere le proprie idee. E addirittura fare proprie le idee di una persona più saggia e più esperta attribuendole a se stesso. «Quest’ultima cosa non l’avevo mai notata. Che il giornalista abbia le proprie idee e le applichi alla realtà non è un difetto, ma che si attribuisca idee altrui per ottenere maggior prestigio, questo è certamente un difetto grave».
 Santità, se me lo consente ora vorrei io porle due domande. Le ho già prospettate un paio di volte nei miei recenti articoli, ma non so come Lei la pensa in proposito. «Ho capito, lei parla di Spinoza e di Pascal. Vuole riproporre questi suoi due temi?».
Grazie, comincio dall’Etica di Spinoza. Lei sa che di nascita era ebreo, ma non praticava quella religione. Arrivò nei Paesi Bassi provenendo dalla sinagoga di Lisbona. Ma in pochi mesi, avendo pubblicato alcuni saggi, la sinagoga di Amsterdam emise un durissimo editto nei suoi confronti.
 La Chiesa cattolica per qualche mese cercò di attirarlo nella sua fede. Lui non rispondeva e aveva disposto che i suoi libri fossero pubblicati soltanto dopo la sua morte. Nel frattempo però alcuni suoi amici ricevevano copie dei libri che andava scrivendo. L’Etica in particolare, arrivò a conoscenza della Chiesa la quale immediatamente lo scomunicò. Il motivo è noto: Spinoza sosteneva che Dio è in tutte le creature viventi: vegetali, animali, umani. Una scintilla di divino è dovunque. Dunque Dio è immanente, non trascendente. Per questo fu scomunicato.
 «E a lei non sembra giusto. Perché? Il nostro Dio unico è trascendente. Anche noi diciamo che una scintilla divina è dovunque, ma resta immune la trascendenza, ecco il perché della scomunica che gli fu impartita». E a me sembra, se ben ricordo anch’io, su sollecitazione dell’Ordine dei Gesuiti. «All’epoca di cui parliamo i Gesuiti erano stati espulsi dalla Chiesa, poi furono riammessi. Comunque, lei non mi ha detto perché quella scomunica dovrebbe essere revocata».
 La ragione è questa: Lei mi ha detto in un nostro precedente colloquio che tra qualche millennio la nostra specie si estinguerà. In quel caso le anime che ora godono della beatitudine di contemplare Dio ma restano distinte da Lui, si fonderanno con Lui. A questo punto la distanza tra trascendente e immanente non esisterà più. E quindi, prevedendo questo evento, la scomunica si può già da ora dichiarare esaurita. Non le sembra, Santità?
«Diciamo che c’è una logica in ciò che lei propone, ma la motivazione poggia su una mia ipotesi che non ha alcuna certezza e che la nostra teologia non prevede affatto. La scomparsa della nostra specie è una pura ipotesi e quindi non può motivare una scomunica emessa per censurare l’immanenza e confermare la trascendenza».
 Se Lei lo facesse, Santità, avrebbe contro di sé la maggioranza della Chiesa?
«Credo di sì, ma se solo di questo si trattasse ed io fossi certo di ciò che dico su questo tema, non avrei dubbi, invece non sono affatto certo e quindi non affronterò una battaglia dubitabile nelle motivazioni e persa in partenza. Adesso, se vuole, parliamo della seconda questione che lei desidera pormi».
 Porta il nome di Pascal. Dopo una gioventù alquanto libertina, Pascal fu come improvvisamente invaso dalla fede religiosa. Era già molto colto, aveva letto ripetutamente Montaigne e anche Spinoza, Giansenio, le memorie del cardinale Carlo Borromeo. Insomma, una cultura laica e anche religiosa. La fede a un certo punto lo colpì in pieno. Aderì alla Comunità di Port-Royal des Champs, ma poi se ne distaccò. Scrisse alcune opere tra le quali i “Pensieri”, un libro a mio avviso splendido e religiosamente di grande interesse. Ma poi c’è la sua morte. Era praticamente moribondo e la sorella l’aveva fatto portare nella propria casa per poterlo assistere.
Lui voleva morire nell’ospedale dei poveri, ma il suo medico negò il permesso, gli restavano pochi giorni di vita e il trasporto non era fattibile. Chiese allora che un povero tratto da un ospedale che gestiva i poveri pessimamente, anche in fin di vita, fosse trasportato nella casa dove stava e con un letto come quello che aveva lui. La sorella cercò di accontentarlo ma la morte arrivò prima. Personalmente penso che uno come Pascal andrebbe beatificato.
 «Lei, caro amico, ha in questo caso perfettamente ragione: anch’io penso che meriti la beatificazione. Mi riserbo di far istruire la pratica necessaria e chiedere il parere dei componenti degli organi vaticani preposti a tali questioni, insieme ad un mio personale e positivo convincimento». Santità ha mai pensato di mettere per iscritto un’immagine della Chiesa sinodale? «No perché dovrei?». Perché ne verrebbe un risultato abbastanza sconvolgente, vuole che glielo dica? «Ma certo mi fa piacere anzi lo disegni».
Il Papa fa portare carta e penna e io disegno. Faccio una riga orizzontale e dico questi sono tutti i vescovi che Lei raccoglie al Sinodo, hanno tutti un titolo eguale e una funzione eguale che è quella di curare le anime affidate alla loro Diocesi. Traccio questa linea orizzontale poi dico: ma Lei, Santità, è vescovo di Roma e come tale ha la primazia nel Sinodo perché spetta a Lei trarne le conclusioni e delineare la linea generale del vescovato.
Quindi il vescovo di Roma sta sopra la linea orizzontale, c’è una linea verticale che sale fino al suo nome e alla sua carica. D’altra parte i presuli che stanno sulla linea orizzontale amministrano, educano, aiutano il popolo dei fedeli e quindi c’è una linea che dall’orizzontale scende fino a quello che rappresenta il popolo. Vede la grafica? Rappresenta una Croce. «È bellissima questa idea, a me non era mai venuto di fare un disegno della Chiesa sinodale, lei l’ha fatto, mi piace moltissimo».
 Si è fatto tardi. Francesco ha portato con sé due libri che raccontano la sua storia in Argentina fino al Conclave e contengono anche i suoi scritti che sono moltissimi, un volume di centinaia di pagine. Ci abbracciamo nuovamente. I libri pesano e li vuole portare lui. Arriviamo con l’ascensore al portone di Santa Marta, presidiato dalle guardie svizzere e dai suoi più stretti collaboratori.
 La mia automobile è davanti al portico. Il mio autista scende per salutare il Papa (si stringono la mano) e cerca d’aiutarmi a entrare in automobile. Il Papa lo invita a rimettersi alla guida e ad accendere il motore.
 «L’aiuto io» dice Francesco. E accade una cosa che secondo me non è mai accaduta: il Papa mi sostiene e mi aiuta a entrare in macchina tenendo lo sportello aperto. Quando sono dentro mi domanda se mi sono messo comodo. Rispondo di sì, lui chiude la portiera e fa un passo indietro aspettando che la macchina parta, salutandomi fino all’ultimo agitando il braccio e la mano mentre io — lo confesso — ho il viso bagnato di lacrime di commozione.
Ho scritto spesso che Francesco è un rivoluzionario. Pensa di beatificare Pascal, pensa ai poveri e agli immigrati, auspica un’Europa federata e — ultimo ma non ultimo — mi mette in macchina con le sue braccia.
Un Papa come questo non l’abbiamo mai avuto.
da Dagospia, 8 luglio 2017
Testi e sottotesti 
rubrica gazzetta santa marta, mensile jesus 
(Iacopo Scaramuzzi) Incubo del vaticanista, che alle sette del venerdì sera si accorge per caso che ne è uscita una nuova all’altro capo del mondo, l’intervista di Papa Bergoglio è più di un genere letterario. Certo, da Leone XIII in poi non c’è Pontefice che non abbia risposto a qualche giornalista. Ma le parole consegnate da Francesco ai microfoni e ai taccuini dei cronisti di tutto il globo – e meritoriamente raccolti dalla Libreria Editrice Vaticana in due volumi, l’ultimo appena uscito – non hanno precedenti. 
Quando Bergoglio ha deciso di non andare in Francia ha però voluto parlare ai francesi – facendo trasecolare testate più blasonate – tramite un colloquio con il popolare Paris Match. Continua a telefonare a Eugenio Scalfari senza scomporsi – o più probabilmente divertendosi – per i sobbalzi che ciò provoca in più di un monsignore di Curia. Se non era ancora chiaro, ha voluto rispiegare alla Chiesa italiana, con doppia intervista ad Avvenire e a Tv2000, il senso del giubileo della misericordia quando è giunto al suo termine. Ha aperto il dibattito sui viri probati con la Zeit, giornale di quella Germania dove le sue aperture non vengono boicottate. Ha commentato il populismo di Trump evocando il nazismo, non, frontalmente, con un quotidiano Usa, ma con lo spagnolo El Pais, molto letto nelle Americhe. Ha aperto alla Cina con un’intervista ad un quotidiano, Asia Times, con base a Hong Kong e proprietà israeliano-statunitense. Prima del Conclave, ha detto al gesuita Ulf Jonsson che lo ha intervistato sui 500 anni della riforma di Lutero, i cardinali hanno anch’essi caldeggiato una «riforma». Che Francesco attua anche scegliendo attentamente testi e sottotesti delle sue interviste.

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