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Crisi della Chiesa: "Linee di lettura filosofica di testi dell'attuale pontificato" di Giovanni Turco - Nota previa di P. Pasqualucci
Linee di lettura filosofica
di testi dell’attuale pontificato
di Giovanni Turco
Nota previa: Pubblico qui, con il suo cortese assenso, l’originale italiano di un articolo del prof. Giovanni Turco, docente di Filosofia del diritto pubblico, Etica e deontologia professionale, Teoria dei diritti umani, nell’Università degli Studi di Udine. Il testo è già apparso in versione francese ne il “Courrier de Rome”, LI, n. 593, nov. 2016, con il titolo: “Axes de lecture philosophique de textes du Pontificat actuel”.
Questo importante articolo spiega a mio avviso in modo eccellente la “peculiare semantica” soggiacente all’ inconsueto argomentare di Papa Francesco, fonte di notorio ed ampio sconcerto per tantissimi fedeli, laici ed ecclesiastici.
L’Autore fa innanzitutto vedere come Papa Francesco, nelle sue uscite da “dottore privato”ma anche nei suoi documenti ufficiali, riduca il concetto della v e r i t à a quello di una semplice “relazione pragmatica, esistenziale, vitalistica, in quanto originata dalla “vita” (senza aggettivi), da un “sé”, da una “situazione””. Ragion per cui, “alla verità non risulta appartenere alcun contenuto proprio. Non è ciò che misura ma ciò che è misurato (dalla relazione). Perciò non è originaria e dirimente ma piuttosto derivata e diveniente. In tal senso ben si intende la tesi secondo la quale non esistono “verità assolute””; tesi attribuita al Papa (e da lui mai smentita) in una delle sciagurate sue interviste a Eugenio Scalfari.
La verità viene pertanto “assimilata alla vita, non è il suo criterio”. Questa nozione di verità “assimilata alla vita” è chiaramente incompatibile con la nozione di verità rivelata da Dio stesso mediante il Verbo Incarnato e pertanto immutabile (come ad esempio l’indissolubilità del matrimonio, valida ai tempi di Gesù come ai nostri, proclamata dal Signore senza sfumature di sorta).
Non per nulla – ricordo – la riduzione della verità alla “vita”, ossia all’esperienza cosiddetta “vitale” del soggetto, sentimentale ed emotiva, la troviamo nel pensiero di Maurice Blondel e nella mentalità modernista, da lui influenzata, della quale costituisce un tratto tipico. Come rammentava il grande teologo domenicano P. Réginald Garrigou-Lagrange in un celebre articolo apparso in francese nel 1946 nella rivista ‘Angelicum’(“Dove va la nuova teologia? Essa ritorna al modernismo”), il Sant’Uffizio nel 1924 condannò dodici proposizioni tratte dalla filosofia di Blondel, tra le quali appunto quella concernente la sua nozione della verità quale “conformità di mente e vita” e non più conformità razionale dell’intelletto con la cosa indagata (adaequatio rei et intellectus); come se la verità dovesse ora ritenersi un significato sempre in fieri, funzionale all’azione, alla “vita” in continuo progresso e movimento.