Christian Spaemann sul vertice di Roma
(di Dr. Christian Spaemann) Il cosiddetto vertice sugli abusi a Roma si è trasformato in un vertice del non detto e sottaciuto. Il cardinale Blase Cupich, uno degli organizzatori, ha ritenuto di poter liquidare il problema della lobby omosessuale nel clero con un trucco argomentativo. Sarebbe pur vero – questa è stata la sua tesi – che l’80% dei casi di abuso sessuale nella Chiesa avvengono tra uomini, ma l’omosessualità non sarebbe di per sé all’origine dei casi di abusi.
Rispetto ai dati di fatto, una simile affermazione del cardinale risulta non poco sfacciata. In questo contesto è opportuno chiarire sin dal principio che non si tratta, qui, di mettere sotto accusa, così all’ingrosso, le motivazioni individuali di persone omosessuali che desiderano accedere al sacerdozio. Neppure si può negare che esistano dei sacerdoti autentici e di vita santa con delle inclinazioni omosessuali. Tuttavia deve essere possibile guardare la realtà così com’è.
Non c’è solo la circostanza che la percentuale di pedofilia e pederastia tra gli omosessuali è parecchio più alta che tra gli eterosessuali
[1], ma anche quella che le relazioni omosessuali sono, sul piano statistico, estremamente fragili. Studi recenti, effettuati tra gli stessi omosessuali, ritengono che le relazioni omosessuali maschili mediamente durano un anno e mezzo e sono per lo più accompagnate da numerosi contatti sessuali estranei a quella relazione
[2].
Questa fragilità relazionale non deriva solo dalla carente complementarietà di partner del medesimo sesso, ma, in base a tutte le esperienze, anche dalla tendenza compensatoria, autoreferenziale e identitario-regolativa di questa forma di sessualità. I dati presenti permettono, già di per sé, di comprendere perché nel contesto di un’omosessualità vissuta, a differenza dell’eterosessualità, si formino delle reti collaborative, delle lobbies. Se, poi, si considera che, secondo gli studi più recenti, solo l’1,5% ca. degli uomini nel mondo occidentale può definirsi stabilmente omosessuale, arrivando al 4,5% degli uomini se si aggiungono coloro che si sentono bisessuali
[3], mentre, invece, più dell’80% degli abusi nella Chiesa sono di natura omosessuale, allora è doveroso chiedersi se sia davvero lecito ritenere che la Chiesa non abbia alcun problema con l’omosessualità vissuta e che essa non stia in un rapporto di causa-effetto con gli scandali degli abusi.
L’abuso sui minori, che a Roma è diventato il tema unico del convegno, appare quindi come la punta dell’Iceberg. La dinamica procede certamente proprio dalle reti omosessuali, che negli ultimi decenni hanno potuto diffondersi tra il clero senza impedimenti. Resta da approfondire se questo sviluppo debba essere visto in relazione alla liberalizzazione sessuale, sia sociale che interna alla Chiesa, che è avvenuta dopo il Concilio.
Anche in epoche precedenti la Chiesa aveva a che fare con questo problema e anche nel clero più ossequioso della tradizione si ritrova una simile rete omosessuale. È, però, un fenomeno del presente, soprattutto del presente pontificato, che nell’approccio con questo problema tra i vertici gerarchici della Chiesa sembri regnare o l’assenza di orientamenti o un orientamento sbagliato.
Secondo l’insegnamento della Chiesa ci sono solo due comportamenti sessuali che sono compatibili con i comandamenti di Dio e con la dignità della persona umana. Il primo è il rapporto sessuale all’interno del matrimonio tra un uomo e una donna; l’altro è la piena continenza. In ogni epoca la Chiesa ha sempre saputo che una gran parte dei cristiani è segnata da peccati come la masturbazione, il consumo di pornografia, le relazioni sessuali extraconiugali od omosessuali, e ha maturato un’esperienza plurisecolare nell’accostare con umanità e con pazienza queste persone, senza peraltro ritener necessario mutare l’ordinamento della vita cristiana derivante dal comandamento divino in direzione di un’assenza di ideali e senza liquidare l’ordine sacramentale.
E neppure si è ritenuto necessario poggiarsi nella pastorale a un concetto di inclusione puramente social-psicologico, del tutto in contrasto con l’insegnamento di san Paolo (1 Cor. 5, 1-13), qual si propaganda oggi ai massimi livelli. Con l’esortazione apostolica Amoris laetitia le cose sono profondamente cambiate.
La conseguenza non è allora la misericordia, ma la confusione. L’ordinamento sacramentale cattolico costituisce una difesa dalla presunzione, dal sacrilegio e dall’assenza di orientamento. È una protezione per i fedeli coinvolti, così come per il pastore in cura d’anime, che nella comprensione per chi gli è affidato e nella forma del suo accompagnamento pastorale ha tutto lo spazio per muoversi, senza sentirsi costretto a superare i limiti del rispetto per la santità di Dio e dei suoi comandamenti mediante l’amministrazione dei sacramenti da dei fedeli che non si sentono nella condizione di cambiare la loro vita.
Che cos’ha a che fare la liquidazione dell’ordinamento sacramentale cattolico con le azioni delle reti omosessuali e con lo scandalo degli abusi nella Chiesa cattolica? La risposta è semplice: in passi decisivi di Amoris laetitia, in cui l’ordinamento sacramentale cattolico viene liquidato, si parla non di divorziati risposati civilmente, ma solo e molto genericamente di «situazioni irregolari» (per es. AL 305). Perché non si dovrebbe in questo caso pensare anche a delle relazioni omosessuali? Perché non anche quelle dei chierici? Perché non anche a quelle di chierici con persone consenzienti al di là dell’età del consenso? Si può sospettare che l’Esortazione Amoris laetitia sia sorta nel contesto di un’agenda, che mira a stabilire anche all’interno della Chiesa la cosiddetta “molteplicità sessuale”.
Amoris laetitia e la teologia morale eretica che essa sottintende, insegnata per anni nelle facoltà teologiche dell’Occidente, così considerate, costituiscono il fondamento per l’assenza di orientamento o per un orientamento erroneo nell’approccio alla situazione indicata. Essa ben si confà all’avanzamento costante dei sostenitori della teologia morale liberale all’interno delle istituzioni ecclesiali.
Non desta quindi meraviglia che, in un’epoca in cui si propaganda la “molteplicità sessuale”, la famiglia naturale è massicciamente posta in questione ed emerge con forza il problema della Chiesa con gli abusi omosessuali da parte di chierici, siano promossi ai più alti ranghi della Chiesa dei vescovi che si schierano apertamente per una normalizzazione ecclesiale dell’omosessualità vissuta. È il caso della nomina del cardinal Kevin Farrel come camerlengo della Chiesa romana.
Il cardinal Farrel ha vissuto per sei anni nella medesima casa con il cardinal McCarrick e sostiene di essere stato all’oscuro degli eccessi sessuali di costui, pur noti a tutti nell’ambiente circostante. Fu lui che, con una crassa presa di distanza dalle intenzioni del suo iniziatore, Giovanni Paolo II, inaugurò l’ultima giornata mondiale per la famiglia in Irlanda con un’apertura alla Comunità LGTB.
Su questo sfondo, appare solo logico che nel convegno romano di questi giorni i rappresentanti delle conferenze episcopali abbiano limitato la riflessione sugli scandali degli abusi ai crimini contro i minori, evitando la discussione sul loro vero fondamento. E così ci si è messi al sicuro, trovando una linea di intersezione con le leggi civili, e non c’è stato bisogno di mostrare a tutto il mondo il proprio lato debole con una discussione che verta sugli insegnamenti della morale sessuale di Gesù e della Sua Chiesa, ormai considerati superati anche da importanti vescovi e cardinali. Inoltre, ci si tutela dal doversi mettere in crisi con un dibattito interno alla Chiesa su Amoris laetitia e sulle sue conseguenze.
Meglio lasciare spazio ai pregiudizi contro la Chiesa, rinviando le cause di questo scandalo a un presunto, non meglio definito, clericalismo. Così ci si mantiene al passo con i tempi e con il loro spirito. La laicizzazione del cardinale McCarrick appare così come la scelta di una vittima sacrificale. Proprio questa voluta esclusione di un confronto sincero con il tema della sessualità vissuta dinanzi a Dio, ai suoi comandamenti, e con la santità del sacerdozio è, invece, il vero clericalismo di oggi.
Ed è un clericalismo che, paradossalmente, osa auto tutelarsi proprio con le proprie sparate sul clericalismo. Questo clericalismo, che ama parlare ed evita l’azione, senza averne il mandato, pone la propria ideologia al di sopra dell’insegnamento della Chiesa. Quel che necessita la Chiesa cattolica non è un vertice centralistico romano, messo in scena a uso dei media, sul tema degli abusi, ma l’invio di ispettori competenti e giusti che, nelle singole diocesi degli USA e di altri paesi, portino avanti delle indagini basandosi sul diritto canonico e che ne traggano delle conseguenze personali al servizio del rinnovamento. (Dr. Christian Spaemann)
Translation: Giuseppe Reguzzoni
Fonte: https://www.lifesitenews.com/opinion/the-church-doesnt-need-a-stage-managed-abuse-summit.-it-needs-to-investigat
[2] Maria Xiridou et al.,
The contribution of steady and casual partnerships to the incidence of HIV infection among homosexual men in Amsterdam; in: AIDS 2003; 17(7): 1029-1038.
[3] Smith AM1,
Rissel CE,
Richters J,
Grulich AE,
de Visser RO., Sex in Australia: sexual identity, sexual attraction and sexual experience among a representative sample of adults; Aust N Z J Public Health. 2003;27(2):138-45. Office of National Statistics, Integrated Household Survey April 2011 to March 2012: Experimental Statistics. TNS Emnid: Presseunterlagen Eurogay-Studie „Schwules Leben in Deutschland“. Hamburg 2001. Gary J. Gates, How many people are lesbian, gay, bisexual, and transgender?The Williams Institute, UCLA School of Law, 2011. Brian W. Ward; James M. Dahlhamer; Adena M. Galinsky; Sexual Orientation and Health Among U.S. Adults: National Health Interview Survey, 2013; NHSR Number 77 – July 15, 2014.
https://www.corrispondenzaromana.it/christian-spaemann-sul-vertice-di-roma/
Disastro per il card. Pell: il suo avvocato sembra ammettere la colpevolezza
Dopo la pubblicazione del verdetto e l’arresto, un nuovo guaio per il card. Pell, questa volta per la dichiarazione davvero improvvida del suo avvocato.
Di seguito un articolo curato dallo staff del Catholic Herald, nella traduzione di Annarosa Rossetto.
Il card. George Pell attorniato da giornalisti
I piani del Cardinale Pell di appellarsi contro la sua condanna per stupro sono stati mandati in subbuglio da una incredibile dichiarazione del suo stesso avvocato che descrive l’abuso di cui il cardinale è stato riconosciuto colpevole come un “semplice caso di penetrazione sessuale in cui il bambino non partecipa attivamente”.
Nel sostenere che Pell non meritava di essere tenuto in prigione, l’avvocato Robert Richter ha dato l’impressione di ammettere che Pell sia colpevole.
A quanto pare non era questa la sua intenzione: Richter stava cercando di sostenere che se Pell avesse commesso il reato, che il cardinale nega con forza, era comunque un crimine minore rispetto ad altri tipi di abuso contro i bambini.
Questo tipo di approccio dell’avvocato ha gettato i sostenitori di Pell nella costernazione. “Capisco cosa stava cercando di fare Richter. Ma ha concesso una vittoria in guerra per perdere una battaglia”, ha detto una fonte a lui vicina.
Questi ultimi sviluppi sono un ulteriore guaio per il Cardinale Pell, che è stato riconosciuto colpevole a dicembre di cinque imputazioni per abusi sessuali su due ragazzi di 13 anni.
Molti commentatori sono rimasti sbalorditi dal verdetto, dati gli evidenti buchi e le incoerenze nelle tesi dell’accusa. La difesa pensava di aver dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che Pell non avrebbe mai potuto commettere quei reati. Una giuria precedente non era riuscita a raggiungere un verdetto unanime, secondo quanto riferito, raggiungendo un verdetto di 10-2 a favore di Pell.
Una possibile spiegazione della bizzarra dichiarazione di Richter – che ha causato reazioni molto forti – è che stava cercando di creare motivi di appello basati su una futura condanna sproporzionata.
Qualunque siano state la sue ragioni, la sua descrizione di un orribile abuso ad un minore (che Richter in realtà non ha ammesso sia accaduto) non servirà certo a convincere il pubblico australiano dell’innocenza di Pell. La situazione è quindi un incubo per la Chiesa cattolica. L’ex capo delle finanze vaticane è stato giudicato colpevole di crimini ripugnanti nei confronti di due bambini. Quei molti cattolici che credono che Pell sia lui stesso vittima di una terribile ingiustizia ora troveranno molto più difficile difendere le loro tesi.
https://www.sabinopaciolla.com/disastro-per-il-card-pell-il-suo-avvocato-sembra-ammettere-la-colpevolezza/
IL CASO ROSICA
Il portavoce vaticano col vizio del copia & incolla
Il basiliano padre Thomas Rosica ha rassegnato le dimissioni da alcuni incarichi universitari negli Usa perché i suoi interventi erano scopiazzati da altre fonti, senza la citazione. Ma il religioso è anche il portavoce vaticano di lingua inglese. Uno scivolone che ora mette in imbarazzo la credibilità del suo ruolo come voce della Santa Sede.
Il vertice sugli abusi in Vaticano e la singolare condanna del cardinale George Pell in Australia hanno monopolizzato l’interesse dell’informazione religiosa. E così è passato ampiamente sotto silenzio il caso, che ha fatto molto scalpore negli Stati Uniti e in Canada, dell’uomo della comunicazione del Vaticano in inglese, il basiliano padre Thomas Rosica, che nei giorni scorsi ha rassegnato le dimissioni dai suoi incarichi nell'Università di San Michele a Toronto, dopo aver ammesso di aver passato anni plagiando testi di altri nei suoi articoli di giornali. Padre Thomas Rosica è anche amministratore delegato del canale televisivo canadese Salt and Light. Inoltre, secondo informazioni apparse su Twitter, sembra che abbia rassegnato le sue dimissioni anche dal consiglio di amministrazione della St. John Fisher School e della St. Thomas University di Houston.
Le operazioni di plagio di padre Rosica hanno inizio almeno dal 1991, e forse – ma l’argomento deve essere studiato – anche da prima. La scoperta è nata da una delle frequenti discussioni che il religioso basiliano, sostenitore senza dubbi della “rivoluzione” nella Chiesa, sostiene contro quelli che lui considera i nemici del rinnovamento, e in particolare, nel caso in questione, da una conferenza infuocata che ha tenuto contro l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, all’università di Cambridge. È possibile che l’astio nei confronti di mons. Viganò, oltre che da ragioni ideologiche, sua alimentato dal fatto che l’ex nunzio ha dimostrato che sia padre Lombardi che padre Rosica hanno dichiarato cose inesatte relativamente all’udienza che papa Bergoglio concesse durante il viaggio negli Stati Uniti a Kim Davis, l’impiegata che preferì andare in prigione piuttosto che registrare il matrimonio fra due uomini. L’udienza, di cui si seppe solo al ritorno, suscitò l’ira di Obama e dei democratici e il Vaticano cercò di sminuire il fatto e di attribuirne la responsabilità all’ex nunzio. Che però rese noto il memorandum con cui aveva informato sia il Pontefice (che si disse d’accordo) che i vertici della Segreteria di Stato (d’accordo anche loro). Lombardi e Rosica cercarono di sostenere la colpevolezza di Viganò nell’affare.
Il professor John Rist però si accorse che la conferenza pronunciata da Rosica non era farina del suo sacco; fece i debiti controlli, e scrisse un articolo, pubblicato da LifeSiteNews, in cui sosteneva che il padre basiliano si era appropriato nel suo discorso delle parole di almeno cinque autori che non si era preoccupato di citare, e spacciando il tutto come sua opera.
La scoperta di Rist ha messo in moto la curiosità, e l’abilità, di Mathhew Schmitz, direttore della rivista statunitense First Things, e del direttoredi Canadian Luthera, Matthew Block, che hanno rivelato come Rosica abbia incluso passaggi interi di testo presi da altri autori, senza citarli, in molti dei suoi scritti, e sempre di conseguenza, attribuendosene la paternità. E su questa scia altre pubblicazioni, come Catholic News Agency, Breitbart e il National Post hanno aggiunto scoperta a scoperta. E proprio ieri Matthew Schmitz ha aggiunto un’ultima perla: un articolo scritto da Rosica per America Magazine, la rivista dei gesuiti americani, iper progressista, di cui è redattore l’attivista Lgbt nella Chiesa, James Martin sj, “è stato quasi interamente preso da scritti del cardinale Wuerl”. Il che porta a un problema ulteriore: quanto i redattori che ospitavano gli articoli di padre Rosica rivedevano e controllavano i suoi scritti.
Lo scandalo ha messo in difficoltà anche i gesuiti del Canada, che prima dell’esplosione avevano annunciato che padre Rosica sarebbe stato insignito del premio Magis durante la cena provinciale annuale del 24 aprile prossimo. In una nota, la Provincia fa sapere che “i gesuiti del Canada hanno seguito le recenti notizie sui mezzi di comunicazione relative ai plagi commessi da padre Rosica CSB, azioni di cui si è reso responsabile e per le quali ha chiesto scusa. Il plagio è una grave offesa contro l’onestà intellettuale e la comunità degli studiosi”.
È comprensibile che padre Rosica dia le dimissioni dalle sue posizioni accademiche, ed è comprensibile anche l’imbarazzo dei gesuiti canadesi. Si attende adesso che anche il Vaticano prenda una posizione. Non è credibile che uno scandalo come questo, che tocca il responsabile della comunicazione in lingua inglese, avvenga senza che l’istituzione di più alto livello per cui opera, cioè il centro della Chiesa cattolica, non si accorga di nulla, o finga di non accorgersi di nulla. Il plagio, ammesso e riconosciuto, è qualche cosa che indebolisce profondamente lo status e la credibilità di un portavoce. E, di conseguenza, dell’istituzione nel cui nome agisce.
Marco Tosatti
http://www.lanuovabq.it/it/il-portavoce-vaticano-col-vizio-del-copia-incolla
Quel filo che lega “Amoris laetitia” e il summit sugli abusi
Se il summit vaticano sugli abusi ha lasciato perplessi per la genericità dei contenuti, la superficialità dell’analisi, la tendenza a fare sociologia anziché guardare ai peccati e per la censura circa la questione dell’omosessualità, ci sono altre voci che, al contrario, esprimono valutazioni molto più puntuali.
Ne vorrei qui proporre due.
Partiamo con un vescovo missionario comboniano: monsignor Juan-José Aguirre Muñoz, spagnolo, vescovo di Bangassou nella Repubblica Centrafricana, secondo il quale, come ha spiegato in un’
intervista, la crisi degli abusi ha almeno tre cause precise.
La prima è la tendenza da parte dei seminari, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, ad accettare candidati omosessuali al sacerdozio. La seconda è l’arrivo di Internet, che ha risvegliato in alcuni sacerdoti gli impulsi più negativi e peccaminosi. La terza è legata al fatto che ci sono sacerdoti i quali non gestiscono bene la loro vita, hanno troppo tempo libero e si lasciano tentare dal diavolo.
“È una situazione terribile e orribile” dice monsignor Aguirre, precisando che il dramma riguarda tutti i continenti.
Nella sua sinteticità, l’analisi di monsignor Aguirre dice di più del fiume di parole scontate uscito dal summit vaticano.
E moltissimo di più dice un’altra voce: quella di Christian Spaemann, specialista in psichiatria e medicina psicoterapeutica, che in un
articolo per Lifesitenews ha affrontato apertamente la questione degli abusi affermando che chiunque guardi ai fatti con onestà deve concludere che i casi di pedofilia e pederastia nella Chiesa sono più comuni tra gli omosessuali che tra gli eterosessuali. Con ciò non si vuole gettare il sospetto su tutti i preti omosessuali. Tuttavia, se si vuole davvero combattere il fenomeno degli abusi, occorre guardare in faccia la realtà.
A fronte di studi recenti secondo i quali nel mondo occidentale la percentuale di uomini che si considerano omosessuali si aggira attorno all’1,5%, nella Chiesa gli abusi nascono per l’ottanta per cento dei casi da chierici con tendenze omosessuali. Di fronte a tale sproporzione è possibile far finta di nulla?
Una domanda attorno alla quale si potrebbe sviluppare un utile dibattito è la seguente: qual è il rapporto tra l’attuale situazione e il processo di liberalizzazione dei comportamenti sessuali nella società a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso e nella Chiesa del post-concilio?
Secondo gli insegnamenti della Chiesa, ricorda Spaemann, ci sono solo due forme di comportamento compatibili con i comandamenti di Dio e la dignità della persona umana: da un lato i rapporti sessuali nel contesto del matrimonio tra un uomo e una donna, dall’altro l’astinenza sessuale completa. Non ci sono altre possibilità.
La Chiesa sa bene che poi le persone in realtà si comportano in molti altri modi, ma non per questo ha mai rinunciato a chiamare tutti gli altri modi “peccati” e a indicare la strada per non peccare. In altre parole, la Chiesa non ha mai relativizzato i comandamenti divini.
Poi è arrivata Amoris laetitia e la Chiesa ha incominciato a parlare in modo diverso. Affermando la morale del caso per caso, ha legittimato il relativismo morale.
Notando che Amoris laetitia, a proposito dei divorziati risposati, non mette punti fermi ma, al più, chiede di discernere, Spaemann si chiede: che cosa vieta a questo punto di considerare anche i rapporti omosessuali, e anche quelli tra sacerdoti, come situazioni accettabili a certe condizioni?
Un filo lega Amoris laetitia e il summit sugli abusi. È il filo dell’ideologia che piega anche la legge divina alle proprie esigenze.
Per spiegare gli abusi il papa fa riferimento al clericalismo, ma il vero clericalismo del nostro tempo, dice Spaemann, è l’ostruzionismo rispetto a un dibattito onesto sul tema della sessualità di fronte a Dio, ai suoi comandamenti e alla santità del sacerdozio. “Ed è un clericalismo che, paradossalmente, osa autotutelarsi proprio con le proprie sparate sul clericalismo”.
Come tutte le ideologie, anche il clericalismo ignora la realtà, perché non ne ha bisogno. E al recente summit vaticano lo si è visto molto bene.
Aldo Maria Valli