SUPPLICA AL SANTO PADRE BENEDETTO XVI: APPROFONDITO ESAME DEL PASTORALE CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
Al Santo Padre Benedetto XVI, Sommo Pontefice, felicemente regnante, affinché voglia promuovere un approfondito esame del pastorale Concilio Ecumenico Vaticano II - Santità, Mons. Brunero Gherardini, sacerdote della diocesi di Prato e canonico della Basilica di S. Pietro, già Ordinario di Ecclesiologia nella Pontificia Università Lateranense e Decano dei teologi italiani, ha rivolto alla Santità Vostra nel 2009 una accorata quanto rispettosa Supplica, mirante ad ottenere l’autorizzazione all’inizio di un ponderato e pubblico discorso critico sui testi del Vaticano II. A questa Supplica si è idealmente associato nel 2010 il prof. Roberto de Mattei, docente di Storia della Chiesa e del Cristianesimo all’Università Europea di Roma, vice presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Nella sua Supplica, il prof. Gherardini ha scritto: “Per il bene della Chiesa – e più specificamente per l’attuazione della ‘salus animarum’ che ne è la prima ...
... e ‘suprema lex’ – dopo decenni di libera creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e “pastorale” in nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un po’ di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità di esso – non declamata, bensì dimostrata – con gli altri Concili e sulla sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa. Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all’auspicata ermeneutica della continuità [con tutto il Magistero precedente], se prima non si sia proceduto ad un’attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d’ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui invece a parlarne solo ripetendone il contenuto e presentandolo come una novità assoluta.
Un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le possibilità operative d’una singola persona, non solo perché un medesimo argomento esige trattazioni su piani diversi – storico, patristico, giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico, scientifico – ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e decine d’argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di signoreggiare.
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea – che oso ora sottoporre alla Santità Vostra – d’una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull’ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti. Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l’occhio fisso a tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero ecclesiastico, solenne ed ordinario. Da un così ampio ed ineccepibile lavoro scientifico, comparato con i risultati sicuri dell’attenzione critica al secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti – tra molte altre – domande:
1.Qual è la sua vera natura?
2.La sua pastoralità – di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione – in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?
3.È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che senso? Con quali limiti?
4.È un “evento” nel senso dei professori bolognesi [del prof. Giuseppe Alberigo e della sua scuola], che rompe cioè i collegamenti col passato ed instaura un’era sotto ogni aspetto nuova? Oppure tutto il passato rivive in esso “eodem sensu eademque sententia”?
È evidente che l’ermeneutica della rottura e quella della continuità dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione scientifica dell’esame porterà all’ermeneutica della continuità come l’unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare – al di là di ogni declamatoria asseverazione – che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nell’identità dogmatica di fondo. Qualora questa, o in tutto o in parte, non risultasse scientificamente provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta all’esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo”(1).
Nella sua recente, documentatissima, innovatrice storia del Vaticano II, che ha finalmente offerto al pubblico un quadro preciso, realistico delle tormentate e drammatiche vicende di quel Concilio, il prof. de Mattei, così concludeva:
“Al termine di questo volume mi sia permesso rivolgermi con venerazione a Sua Santità Benedetto XVI, nel quale riconosco quel successore di Pietro a cui mi sento indissolubilmente vincolato, esprimendogli un profondo ringraziamento per aver aperto le porte a un serio dibattito sul Concilio Vaticano II. A questo dibattito ribadisco di aver voluto offrire il contributo non del teologo, ma dello storico, unendomi però alle suppliche di quei teologi che chiedono rispettosamente e filialmente al Vicario di Cristo in terra di promuovere un approfondito esame del Concilio Vaticano II, in tutta la sua complessità ed estensione, per verificare la sua continuità con i venti Concili precedenti e per dissipare le ombre e i dubbi che da quasi mezzo secolo rendono sofferente la Chiesa, pur nella certezza che mai le porte degli Inferi prevarranno su di Essa (Mt 16,18)” (2).
Noi sottoscritti, da semplici credenti quali siamo, ci associamo integralmente a queste autorevoli e rispettose richieste. Sicuri di non mancare al nostro filiale rispetto nei confronti di Vostra Santità, ci permettiamo di aggiungere ad esse, ad ulteriore se pur sintetica illustrazione della delicata materia, alcune tra “le molte altre domande” che a nostro umile avviso sicuramente meriterebbero una risposta finalmente chiarificatrice, così come risultano dalle analisi del prof. Gherardini e dei teologi ed intellettuali che, sin dall’inizio del Postconcilio, si sono battuti per ottenere chiarezza sul Vaticano II:
5. Qual è il significato esatto da attribuire al concetto di “tradizione vivente” comparso nella costituzione Dei Verbum sulla divina Rivelazione? Nella sua recente fondamentale monografia sul concetto di tradizione cattolica, il prof. Gherardini ha sostenuto che nel Vaticano II si sarebbe verificata addirittura una “Rivoluzione Copernicana” nel modo di concepire la Tradizione della Chiesa, poiché non vi è chiaramente definito il valore dogmatico della Tradizione (DV, 8); vi si opera un’inusitata reductio ad unum delle due fonti della Divina Rivelazione (Scrittura e Tradizione) da sempre ammesse nella Chiesa e confermate nei dogmatici Tridentino e Vaticano Primo (DV, 9); vi compare addirittura un attentato al dogma dell’inerranza dei Sacri Testi (DV, 11.2), perché “ dopo aver affermato che tutto ciò che gli agiografi asseriscono viene dallo Spirito Santo, la caratteristica dell’inerranza viene attribuita solamente alla ‘verità salutare’ o ‘salvifica’, ad una parte del tutto (“veritatem, quam Deus nostrae salutis causae Litteris Sacris consignari voluit”). Ma se lo Spirito Santo ha ispirato tutto ciò che gli agiografi hanno scritto, l’inerranza dovrebbe applicarsi a tutto, non alle sole verità salvifiche. Il testo appare perciò illogico”(3).
6. Qual è il significato esatto da attribuire alla nuova definizione della Chiesa Cattolica, contenuta nella costituzione dogmatica (che tuttavia non definisce dogmi) Lumen gentium sulla Chiesa? Se essa coincide con quella di sempre – che solo la Chiesa cattolica è l’unica e vera Chiesa di Cristo perché l’unica ad aver mantenuto intatto nei secoli il deposito della fede istituito da Nostro Signore e dagli Apostoli sotto la guida dello Spirito Santo – perché si è voluto cambiare, scrivendo, in modo non facilmente comprensibile al semplice credente e mai chiaramente spiegato (bisogna pur dirlo), che “l’unica” Chiesa di Cristo “sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica”? In questa formulazione, non sembra che la Chiesa cattolica appaia come semplice parte della Chiesa di Cristo? Parte, poiché la Chiesa di Cristo, oltre alla Chiesa cattolica, ricomprenderebbe anche “parecchi elementi di santificazione e verità” posti “al di fuori” della Chiesa cattolica? Con la conseguenza che “l’unica vera religione che sussiste nella Chiesa cattolica” (Dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, 1.2) sarebbe quella di una “Chiesa di Cristo” che possiede “elementi” al di fuori della Chiesa cattolica. E chi vuole non può forse intendere, allora, che “l’unica vera religione” sussiste per il Concilio anche negli “elementi” non-cattolici della “Chiesa di Cristo”?(4)
7. Qual è l’effettivo significato da attribuire alla nozione di Chiesa intesa globalmente come “Popolo di Dio” (Lumen gentium, 9-17), nozione che in passato indicava solo una parte del tutto, rappresentato quest’ultimo, invece, dal “Corpo mistico di Cristo”?
8. Che significato bisogna attribuire all’omissione dei termini “sovrannaturale” e “transustanziazione” dai testi del Concilio? Quest’omissione coinvolge forse anche i relativi concetti, come sostengono alcuni?
9. Qual è il significato esatto del nuovo modo di intendere la collegialità? L’interpretazione che ne dà la Nota esplicativa previa posta in calce alla Lumen gentium (al fine di dirimere la controversia divampante in materia presso i Padri conciliari) come dobbiamo considerarla alla luce dell’insegnamento perenne della Chiesa? Ci riferiamo ai dubbi lucidamente esposti a suo tempo da Romano Amerio:
“La Nota praevia respinge della collegialità l’interpretazione classica, secondo la quale il soggetto della suprema potestà nella Chiesa è solo il Papa che la condivide, quando voglia, con l’universalità dei vescovi da lui chiamati a Concilio. La potestà somma è collegiale solo per comunicazione ad nutum [ad un cenno] del Papa. La Nota praevia respinge parimenti la dottrina neoterica [dei Novatori presenti in Concilio] secondo la quale il soggetto della suprema potestà nella Chiesa è il collegio unito col Papa e non senza il Papa che ne è il capo, ma in guisa tale che quando il Papa esercita, anche solo, la suprema potestà, la esercita in quanto capo appunto del collegio e quindi come rappresentante del collegio che egli ha l’obbligazione di consultare per esprimerne il senso. È la teorica improntata a quella dell’origine moltitudinaria [democratica] dell’autorità, difficilmente compatibile con la costituzione della Chiesa [che è gerarchica e di origine divina, non popolare]. Rifiutando l’una e l’altra di queste due teorie la Nota praevia tiene fermo che la potestà suprema è sì nel collegio dei vescovi unito al loro Capo [e questa è la gran novità], ma che il Capo può esercitarla indipendentemente dal Collegio, mentre il Collegio non può indipendentemente dal Capo [e questa sarebbe la concessione alla Tradizione]”(5).
Ed è esatto sostenere che l’attribuzione di poteri giuridici, quelli di un vero e proprio collegio, all’istituto della Conferenza Episcopale ha di fatto svilito e deformato la figura del vescovo? In effetti oggi i vescovi, uti singuli, non sembrano in pratica contare più niente, nella Chiesa (Vostra Santità ci perdoni la franchezza). Sul punto, ancora Amerio:
“La novità di maggior rilievo nella Chiesa postconciliare è di aver dato alla partecipazione di tutti i ceti della Chiesa organi giuridicamente definiti, quali il Sinodo permanente dei vescovi, le Conferenze episcopali, i Sinodi diocesani e nazionali, i Consigli pastorali e presbiterali e via dicendo […] La costituzione delle Conferenze episcopali ha prodotto due effetti: ha difformato la struttura organica della Chiesa e ha generato l’esautorazione dei vescovi. I vescovi, secondo il diritto preconciliare, sono successori degli Apostoli e reggono ciascuno la propria diocesi con potestà ordinaria, nello spirituale e nel temporale, esercitandovi potestà legislativa, giudiziaria e coattiva (can. 329 e 335 CIC 1917). L’autorità era precisa, individuale e, tranne che nell’istituto del vicario generale, indelegabile (il vicario generale era d’altronde ad nutum del vescovo) […] Il decreto Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi attribuisce al corpo episcopale la collegialità, cioè “suprema e piena potestà sulla Chiesa universale” che sarebbe in tutto pari a quella del Pontefice Romano se potesse esercitarsi senza il consenso del Pontefice Romano. Questa suprema potestà fu sempre riconosciuta [solamente] all’assemblea dei vescovi adunati dal Papa in Concilio ecumenico. Ma si pone la questione se un’autorità che è messa in atto soltanto da un’istanza ad essa superiore si possa riguardare ancora come suprema e se non ricada in una mera virtualità e quasi in un ens rationis. Ma secondo la mente del Vaticano II l’esercizio della potestà vescovile in cui si concreta la collegialità è quello delle Conferenze episcopali.
Qui è singolare come il decreto Christus Dominus (al n. 37) trovi la ragione di questo nuovo istituto nella necessità per i vescovi di un medesimo paese di operare di conserva, e come non veda che questo vincolo di cooperazione ormai giuridicamente configurato altera l’ordinamento della Chiesa sostituendo al vescovo un corpo di vescovi e alla responsabilità personale una responsabilità collettiva, cioè una frazione di responsabilità […] Con l’istituzione delle Conferenze episcopali la Chiesa è ora un corpo policentrico […] La prima conseguenza del nuovo organamento è dunque un allentamento del vincolo di unità [con il Papa] che si è manifestato con ingenti dissensioni su punti gravissimi [ad esempio sulla dottrina dell’enciclica Humanae vitae, del 25.7.1968, che proibiva l’uso degli anticoncezionali]. La seconda conseguenza è l’esautorazione dei singoli vescovi come tali; essi non rispondono più né ai propri popoli né alla Santa Sede: alla responsabilità individua subentra infatti una responsabilità collegiale che, trovandosi nell’intero corpo, non si può collocare nei singoli componenti del corpo”(6).
10. Qual è il significato esatto da attribuire oggi alla figura del sacerdote, questa autentica colonna della Chiesa, ribattezzato “presbitero” per motivi che al fedele restano oscuri? È vero che già dal Concilio il prete, da “sacerdote di Dio” è stato abbassato a “sacerdote del Popolo di Dio” e ridotto principalmente alle funzioni di “animatore” e “presidente di assemblee” del “Popolo di Dio” e di “operatore sociale”? Vengono criticati, a questo proposito: Lumen Gentium, 10.2 che sembra voler porre sullo stesso piano il sacerdozio “ministeriale” o “gerarchico” e il cosiddetto sacerdozio “comune dei fedeli” – ritenuto in passato semplice titolo d’onore – con l’affermare che entrambi “sono tuttavia ordinati l’uno all’altro” (“ad invicem tamen ordinantur”) (vedi anche LG, 62.2); LG, 13.3 che sembra indicare il sacerdozio come semplice “funzione” del “Popolo di Dio”; il fatto che si ponga al primo posto della “funzione” sacerdotale la predicazione del Vangelo (decreto Presbyterorum Ordinis sul ministero e la vita sacerdotale, 4: “nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, i presbiteri hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio”) quando invece il dogmatico Tridentino ha ribadito che ciò che caratterizza la missione del sacerdote è in primo luogo “il potere di consacrare, offrire, amministrare il corpo e il sangue del Signore” e in secondo quello “di perdonare o ritenere i peccati” (DS, 957/1764). Ed è vero che il Vaticano II svaluta di fatto il celibato ecclesiastico, con l’affermare che “la continenza perfetta e perpetua per il Regno dei Cieli, raccomandata da Cristo Signore […] è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale [anche se] essa non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio” (PO,16); affermazione, quest’ultima, giustificata con un’erronea interpretazione di 1 Tm 3, 2-5 e Tt 1,6?
11. Qual è il significato esatto del principio della “creatività” nella S. Liturgia, che indubbiamente risulta dall’aver concesso alle Conferenze Episcopali un’ampia competenza in materia, comprensiva di un’articolata facoltà di sperimentare forme nuove di culto, per adattarlo all’indole e alle tradizioni dei popoli e per semplificarlo al massimo? Tutto ciò è proposto nella costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Liturgia : artt. 22.2 sulla nuova competenza delle Conferenze Episcopali; 37, 38, 39 e 40 sull’adattamento all’indole e alle tradizioni dei popoli e sui criteri dell’ adattamento liturgico in generale; artt. 21 e 34 sulla semplificazione liturgica. Simile facoltà di innovare in campo liturgico non fu in ogni tempo fermamente riprovata dal Magistero della Chiesa? È vero che la SC impone sempre il controllo della Santa Sede sulla liturgia e le sue innovazioni (SC 22.1, 40.1 e .2) ma questo controllo si è dimostrato incapace di impedire la capillare devastazione della liturgia, che ha allontanato tanti fedeli dalle chiese e che a tutt’oggi ancora imperversa, nonostante l’azione di disciplina ed eliminazione degli abusi inaugurata e fermamente mantenuta dalla Santità Vostra. Gli auspicati studi qualificati non potrebbero gettar luce sui motivi di questo fallimento?
Non possiamo per ovvie ragioni addentrarci in tutte le domande che i testi del Concilio provocano, in uno con la situazione attuale della Chiesa. Molte ce ne sarebbero ancora da porre, tra l’altro, sui temi fondamentali della libertà di coscienza e dell’ecumenismo. A questo proposito, ci permettiamo solamente di aggiungere quanto segue:
12. Il principio della libertà religiosa, proclamato dal Concilio per la prima volta nella storia della Chiesa, come “diritto umano” o “naturale” della persona, quale che sia la sua religione, prevalente quindi nei confronti del diritto dell’unica Verità Rivelata (la nostra religione cattolica) ad esser professata come vera religione a preferenza delle altre, non rivelate e quindi non provenienti da Dio; questo principio, che si fonda sul presupposto che tutte le religioni siano uguali, la cui applicazione ha pertanto sempre promosso l’indifferentismo, l’agnosticismo ed infine l’ateismo; come inteso dal Concilio, in che cosa si distingue effettivamente dalla laica libertà di coscienza, innalzata al posto d’onore tra “i diritti dell’Uomo” professati dall’ultralaica ed anticristiana Rivoluzione Francese?
13. Ad un risultato simile (indifferentismo e perdita della fede) non sembra condurre anche l’ecumenismo attuale, dato che il suo scopo effettivo sembra essere non tanto la conversione (per quanto possibile) del genere umano a Cristo quanto la sua unità e persino unificazione in una sorta di nuova Chiesa o religione mondiale, capace di inaugurare - si auspica - un’era messianica di pace e fratellanza tra tutti i popoli? Se queste sono le sue finalità, in parte già rinvenibili nella costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, l’attuale dialogo ecumenico non sembra scivolare pericolosamente verso un qualche “accordo fra Cristo e Beliar”?(7) E tutta l’impostazione “dialogica” della Chiesa postconciliare con il mondo contemporaneo, non dovrebbe essere sottoposta a riesame?
Santità,
Le domande che abbiamo avuto l’ardire di rivolgerVi in questa umile Supplica, possono certamente dispiacere a quella parte della Gerarchia che ha già mostrato di non gradire la Supplica inoltrata due anni fa dal prof. Gherardini. Si tratta di quella parte della Gerarchia che non sembra aver ancora compreso – ci permettiamo di dire – la gravità eccezionale della crisi che affligge ormai da un cinquantennio la Santa Chiesa; crisi le cui avvisaglie preconciliari deflagrarono nel Concilio, come hanno dimostrato il libro del prof. de Mattei e prima ancora, più succintamente, quelli del P. Ralph M. Wiltgen S.V.D. e del prof. Romano Amerio.
Per quanto sta alla nostra coscienza di credenti, la richiesta manifestata con tutta la nostra deferenza in questa Supplica ci sembra perfettamente in armonia, osiamo dire, con l’opera di restaurazione, rinnovamento e pulizia della Chiesa militante, coraggiosamente intrapresa da Vostra Santità, nonostante resistenze e difficoltà di ogni genere, a tutti note. Non ci riferiamo solamente all’ inflessibile azione dispiegata da Vostra Santità contro la corruzione dei costumi penetrata in una parte del clero e all’operazione di bonifica iniziata nei confronti di certe ben note istituzioni cattoliche di carità ed assistenza, che di cattolico hanno conservato poco più che il nome, a quanto risulta. Ci riferiamo anche alla “liberalizzazione” della celebrazione della S. Messa di rito romano antico (impropriamente detta “tridentina” visto che il suo Canone risale, secondo una consolidata tradizione, ai tempi apostolici) e dell’amministrazione dei S. Sacramenti e del rito dell’Esorcismo secondo il rituale preconciliare. Ci riferiamo anche alla Vostra remissione delle scomuniche che gravavano (per i noti motivi disciplinari) sui vescovi della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, fondata da S. E. Mons. Marcel Lefebvre, che quella “liberalizzazione” avevano rispettosamente ma tenacemente sollecitato dalla Santità Vostra, indicendo a questo scopo anche una ‘Crociata internazionale del S. Rosario’, che ha raccolto un’ampia adesione tra i fedeli.
In tutti questi provvedimenti, certamente di estrema importanza per la rinascita della Chiesa, presi Motu proprio, nella Vostra piena autorità di Sommo Pontefice, che deriva la Sua potestas iurisdictionis su tutta la Chiesa unicamente da Nostro Signore, il nostro sensus fidei di semplici cattolici vede l’opera manifesta dello Spirito Santo. Concludiamo pertanto la nostra umile Supplica invocando l’aiuto dello Spirito Santo affinché la Santità Vostra, nell’intrapresa opera di restaurazione volta a mettere di nuovo Cristo al centro della Cattolicità (Ef, 1, 10), possa includere anche l’ auspicato riesame del Concilio.
Con tutta la nostra filiale devozione e deferenza,
in Domino et in corde Mariae,
24 settembre 2011
Sottoscrivono la presente Supplica al Santo Padre, Benedetto XVI :
1. Prof. Paolo Pasqualucci, docente di filosofia
2. Mons. Brunero Gherardini, decano dei teologi italiani, docente di Ecclesiologia
3. Prof. Roberto de Mattei, Università Europea di Roma
4. Prof. Luigi Coda Nunziante, a titolo personale e in qualità di presidente della Associazione "Famiglia Domani"
5. Dott. Paolo Deotto, direttore di Riscossa Cristiana,
6. Prof. Piero Vassallo, docente di filosofia, condirettore di Riscossa Cristiana
7. Prof. Emilio Biagini
8. Prof. Paolo Mangiante
9. Prof. Primo Siena
10. Dott. Luciano Garibaldi
11. Dott. Mauro Faverzani
12. Dr.ssa Virginia Coda Nunziante
13. Dott. Pucci Cipriani
14. Dott. Normanno Malaguti
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