La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 802, 6 nov. 1883) Firenze 1883, pag. 385-401.
R. P. Raffaele Ballerini S.J.
DELL'OPERA DI MARTIN LUTERO
I.
Un nostro antico proverbio dice che l'opera loda il maestro. Già vedemmo, nel precedente articolo sopra Lutero, di che sorta uomo e maestro egli si fosse, e quanto a vicenda si onorassero l'uno e gli altri, i festeggiatori cioè ed il festeggiato, nella ricorrenza del costui quarto genetliaco centenario. Ma perocchè nell'uomo e nel maestro si è inteso glorificare l'opera sua, che fu la così detta Riforma, di questa daremo in iscorcio un'idea, che viemeglio illustri i meriti di chi ne fu autore.
La Riforma, ossia il Protestantismo, che da Martin Lutero trasse l'origine, molte e varie definizioni ha ricevute: altri la chiamarono la libertà del peccato, altri l'anarchia della fede, altri il delirio della ragione, altri il conquassamento dell'ordine. Più propriamente alcuni riformati moderni l'hanno denominata, col Chasles, la riabilitazione della carne, il rialzamento dell'altare della voluttà, in breve, la risurrezione del sensualismo pagano [1].
Quali fossero gl'immediati effetti di quest'apostasia dalla Chiesa, dalla fede, dalla morale, che ironicamente si mascherò col nome di Riforma, lo dichiarino Lutero stesso, il suo magnifico discepolo Melantone e poi Calvino.
«Il mondo peggiora di giorno in giorno e diventa sempre più scellerato; così il primo dei tre, col suo solito stile. Gli uomini sono oggidì più inclinati alla vendetta, più avari, più snaturati, meno costumati e più distali, in somma, più ribaldi che non fossero sotto il Papato. Fa tanto scandalo quanto meraviglia, il vedere come, da che la pura dottrina del Vangelo si è rimessa nel suo lume naturale (vale a dire si è abbandonata la fede cattolica) il mondo si va riducendo a sempre peggiore stato. I nobili e i contadini non vogliono più sentir prediche: la parola di Dio è per loro al tutto inutile: ai loro occhi i nostri discorsi non valgono un quattrino. Non credono nemmen più alla vita futura. Vivono come credono; sono porci, credono da porci e muoiono da porci. I più de' miei discepoli vivono all'epicurea: la loro predicazione è tutta cosa del loro cervello; i divertimenti e i passatempi sono il loro studio. Tra' papisti non s'incontrano per verità viziosi, ciacchi e mostri di questa fatta. Si chiamano riformati, ma meglio si direbbero demoni incarnati. Sono birbanti, gonfi d'orgoglio. Il disordine è giunto a tal segno, che, se a qualcuno venisse il ticchio di contemplare un mazzo di bricconi, d'usurai, di scapestrati e ribelli, non avrebbe a far altro più che entrare in una di queste città, che diconsi evangeliche; ed ivi troverebbe a ribocco gli uomini che cerca. In costoro ogni sentimento onesto è spento, ogni virtù è totalmente morta: regnan fra loro tutte le specie di peccati [2].» Così il patriarca della Riforma dipinse gl'imitatori de' suoi esempi, i seguaci delle sue dottrine.
Calvino che, sull'orme di Lutero, stabilì e propagò la Riforma nella Svizzera e nella Francia, scrisse in questi termini: «Fra cento evangelici, a gran pena se ne scoprirebbe uno solo, che si sia fatto tale per altro motivo, da quello di potersi abbandonare con maggiore sfrenatezza alle voluttà ed all'incontinenza. Il pensiero dell'avvenire mi sbigottisce, sì che io ne distolgo la mente. Per dir vero, salvo che Dio non venga in aiuto con un miracolo, mi par già di vedere ogni eccesso di barbarie sul punto d'allagare l'universo. Ma la piaga più lamentabile si è, che i nostri pastori, predicanti la parola di Dio, sono oggi i modelli più vergognosi d'ogni vizio e perversità. Perciò non ottengono credito maggiore di quel che un buffone, il quale rappresenti commedie in su le scene. Per me, io stupisco che le donnicciuole e i monelli non li carichino di fango o d'immondizie [3].»
Melantone poi, in parecchie sue lettere, si diceva «preso da stringimento di cuore, non facile ad immaginarsi, al vedere con tanta superbia odiato il Vangelo, da coloro che si vantavano d'essere de' suoi.» E proseguiva: «Quando si pon mente a questa grande varietà di opinioni e di pratiche ed alla barbarie de' costumi, che serpeggia in moltissimi luoghi, è necessario ammettere che l'Imperatore ha gran ragione di affaticarsi a ricondurre l'unità nella Chiesa. I principi provocano gli odii ed accrescono i pericoli: nelle nostre chiese la disciplina è ruinata, il dubbio intorno ai più alti oggetti vi regna, non si vuol più sentire la spiegazione chiara dei dommi... Io piango da trent'anni in qua, vivendo fra tanti commovimenti. L'Elba stessa, con tutte le abbondanti sue onde, non potrebbe dare acqua sufficiente a piangere le miserie ed i guai della Riforma [4].» Conclusione di massimo peso in un uomo qual fu costui, appropriatasi poi dal più preclaro ingegno che sia nato nel protestantesimo, vale a dire dal Leibnitz, il quale ebbe a scrivere alla signora di Brinon, che «tutte le lagrime degli uomini non basterebbero, per piangere il funesto scisma del secolo sedicesimo [5].»
Nè potè essere altrimenti, chi consideri da una parte, col Quinet che «il vero mezzo usato da Lutero, per avviare la Riforma, ossia per ispacciarsi della Chiesa, fu di affermare che le opere non servono a nulla: Dio solo opera tutto e niente lascia fare al sacerdozio;» e dall'altra che, negato il libero arbitrio come un'assurdità, giustificò antecedentemente alla coscienza di chiunque voleva arrolarsi sotto le sue bandiere, ogni maniera di scelleraggini e di nequizie.
A Lutero, a Melantone, a Calvino, deploranti la colluvie di corruttele e d'ignominie, che seguirono subito la loro Riforma, fecero coro molti autorevolissimi loro proseliti, il Bucero, l'Hoefer, il Breler, l'Heling, il Menio, il Forster e cento altri, che sarebbe soverchio citare. Tutti parlano di sbrigliamento di passioni, di vizii trionfanti, di bestemmie e spergiuri da disgradarne i Turchi. «I nostri pastori evangelici, lamentavasi il Pencer, genero di Melantone, sono mossi dall'ateismo: e costoro non pure sono atei, intendo dire senza Dio e carità, ma per di più ignoranti, ineducati, dissoluti, invidiosi, cupidi. Io non ho più che gemiti, sospiri e lagrime, che a mala pena trattengo, mirando la spaventevole anarchia che domina tutti i cuori [6].»
II.
La nuova dottrina, che in sostanza aboliva il dominio di Dio sopra l'uomo e rendeva libero od anche inutile l'osservare i precetti del decalogo, presto germinò i suoi frutti anche politicamente e socialmente, nei popoli e nei principi.
Di fatto, quali furono i principi che pei primi si fecero sostenitori della Riforma luterana, la quale concedeva loro il possesso dei beni ecclesiastici; li assolveva dall'osservanza del quinto comandamento di Dio e li confortava a saccheggiare e derubare chiese, episcopii, monasteri e ad arredare i loro palazzi o castelli, coi tesori delle sacrestie? Ecco il quadro che ne dà l'Audin.
Primieramente era l'elettore Giovanni di Sassonia, il re dei ghiottoni del suo tempo, il cui ventre pieno sin dal mattino di vini e di carni, avea bisogno, per non cadere, di essere contenuto da un cerchio di ferro. Costui restò preso della nuova religione, che aveva aboliti i digiuni e tolte le astinenze del venerdì e del sabato. La sua mensa era in voga di lautissima, sopra tutte le principesche di Germania, poichè fornita, oltrechè di cibi squisitissimi, de' più preziosi vasellamenti rapiti agli altari di Dio. Quest'epulone fu il capitano di quelli che accoppiarono la spada colla verga di fra Martin Lutero.
Poi veniva il suo figliuolo Federico, il quale spendeva il tempo e logorava le forze nelle gozzoviglie e nelle cacce: pel rimanente degno in tutto del padre che lo avea messo al mondo.
Seguiva quindi il langravio d'Assia, la cui vita buffonesca era passata in proverbio, adultero sfacciato, che si facea servire a tavola da servi, portanti in ricamo, sopra le maniche della livrea, queste cinque lettere capitali: V. D. M. I. Æ.Verbum Domini manet in aeternum; e per lui, protestante di finissima grana, la parola di Dio significava, come per Maometto, facoltà o diritto di avere più mogli.
Succedeva appresso Volfango d'Anhalt, uomo di così crassa ignoranza, che fu detto non sapesse nemmeno farsi il segno della croce.
Finalmente tenevan lor dietro Ernesto e Francesco di Luneburgo, i quali, non fidandosi de' servi ai quali avean commessa la rapina dei beni delle chiese, andavan di persona a saccheggiarle ed empivan le casse di calici, di pissidi, di ostensorii [7].
A ciò si riducono i miracoli, coi quali fra Martino aggiogò al carro della sua Riforma i magnati. «Molti, diceva egli, sì in Germania e sì altrove, sono buoni evangelici, perchè i monasteri hanno abbondanza di terre e di vasi sacri [8].» E il Brochmand suo predicante, non dubitò di scrivere: «Lutero ha dato ai principi conventi ed abbazie, ai preti mogli, alla plebe vita licenziosa: ecco i veri impulsi ammirabili al progresso della Riforma [9].» Onde il suo dire: « I bei raggi d'oro de' nostri ostensorii han fatte più conversioni, che tutte insieme le nostre prediche.»
Nè altrimenti si propagò altrove questo religioso e morale scompiglio, sotto nome di Riforma. Come i popoli se ne giovarono, per ribellarsi ai legittimi loro signori, e passar subito dall'anarchia nella fede all'anarchia nella politica, e quindi dieder moto alle sanguinose guerre civili che lordarono di sangue tanta parte di Alemagna; così i principi se ne valsero, per arricchire delle spoglie della Chiesa, per dilatare i confini dei loro Stati, o per mutare in tirannide il Governo. Per questo il re Gustavo impose colla forza il luteranesimo alla Svezia, e per questo il re Cristiano lo stabilì nella Danimarca.
Tali, accennati appena, furono i primi frutti dell'opera di Martin Lutero e del protestantesimo che ne seguì, e per dato e fatto di Calvino, di Beza, di Enrico VIII si dilatò, con forme diverse e divisioni senza numero, per la Svizzera, la Francia, l'Inghilterra e la Scozia.
III.
Se non che qual è mai il valore teologico e filosofico ancora, se così piace, di questo capolavoro del cervello di fra Martino? Molto bene viene espresso dal vocabolo protestantesimo, inventato dopo la dieta di Spira dai principi addetti a Lutero, per opporsi alle risoluzioni in essa dieta fermate. Costoro, con altri deputati delle città imperiali,protestarono: e di qui il nome di protestanti, allargatosi a comprendere tutti quanti i seguaci delle innumerevoli sètte, che in quel secolo alzarono bandiera di ribellione alla Chiesa cattolica. La generica professione di fede, come giustamente osserva un illustre storico moderno [10], contenuta allora in questa parola, è durata sempre la medesima fino al presente: «Io credo in me e protesto contro la Chiesa romana.» Io credo in me: ecco la sovranità radicale della ragione d'ogni individuo; io protesto contro la Chiesa romana: ecco la sua dichiarazione d'indipendenza. Rinnegata l'unica vera Chiesa di Gesù Cristo, sono questi i soli dommi che sieno e possano essere comuni tra i protestanti; e ciò si fa chiaro pur dalla storia dei primordii della Riforma, quando Lutero ed i suoi non sapevano mai mettersi d'accordo, in quello che avrebbero tenuto o no per domma; ed oggi affermavano rivelato da Dio quello che ieri avevano riprovato come invenzione dell'uomo. Come ai giorni di fra Martino, così ora dai protestanti, qualunque ne sia la famiglia e la specie, si può credere o questa o quella cosa, purchè si credano per la fede che uno ha, non a Dio o alla Chiesa, ma a sè stesso. Si può protestare contro tutti o, se meglio garba, contro un sol domma cattolico, purchè si protesti.
Così i luterani, i quali mantengono ancora la credenza nella divinità di Gesù Cristo, e i pastori di Ginevra, coi Feuerbach, Stirner, Marr, Strauss, Hase, Ewald e mille altri, che la ripudiano e bestemmiano, avvegnachè tra loro contradittorii, sono non di meno alla pari tutti buoni e veri protestanti, perocchè ognuno crede in pari modo a sè e protesta del pari contro la Chiesa romana. Per render la cosa più manifesta, pigliate, siccome fece Lutero, una chiesa cattolica, levatene il segno del cristiano, l'altare del sacrifizio, a dir breve, tutto ciò che potrebbe dare un'idea di religione; non vi lasciate altro che le quattro mura, e voi avrete un tempio protestante, sulla cui fronte potrete scrivere a lettere palmari: Tempio della ragione individuale.
Per farne la dedicazione, invitate chiunque crede a sè e protesta contro la Chiesa romana: O sublime ragione del mio individuo, io credo in te e ti adoro; griderà ogni fedele, in sul primo porvi dentro il piede; tu sola in questo tempio regni! Tu sola m'insegni se io debba credere alla bibbia e mi scorgi a comprenderla. Accogli pertanto l'omaggio della mia fede.
Dopo proferito così il simbolo comune a tutti, ciascuno farà l'atto suo di fede personale. Il luterano dirà: In virtù del mio libero esame, io affermo che la bibbia è libro divino e nelle sue carte vedo chiaro che la cena eucaristica ci dà, insieme col Corpo di Gesù Cristo, il pane; ossia vedo la impanazione: perciò protesto contro la transustanziazione della Chiesa romana. Lo zuingliano ed il calvinista soggiungeranno alla lor volta: Noi pure, in grazia del nostro libero esame, riconosciamo per divine le Scritture; ma in esse noi vediamo che la cena eucaristica ci dà il Corpo di Gesù Cristo soltanto in figura: quindi protestiamo contro la presenza reale della Chiesa, romana. Il nuovo ariano, o sociniano, si farà innanzi e dirà: Sì, la bibbia è libro venerando; per altro, dopo averla liberamente investigata, io ho scoperto che i misteri di fede da essa proposti non sono se non figure rettoriche, e Cristo non è da più che un profeta: adunque io protesto contro il Dio-Uomo della Chiesa romana.
Certamente, esclamerà il deista, la ragione di ogni uomo è sua regola sovrana; la mia mi mostra ch'essa basta a sè medesima, nè abbisogna di rivelazione: conseguentemente protesto contro tutto ciò che la Chiesa romana spaccia intorno alle Scritture, alle profezie ed ai miracoli. Ed il materialista trarrà avanti e, dirà: Bellissima cosa è promulgare i diritti della personale ragione, il primato intellettuale di ciascheduno per sè. La mia ragione è giudice suprema delle opinioni altrui, benchè universalissime ed antiche: ond'è che io protesto contro l'immortalità dell'anima, il paradiso e l'inferno, superstizioni predicate dalla Chiesa romana. L'ateo non istarà in forse di ripigliare: Voi ammettete, qual primissima delle verità, che la ragione mia è centro di sè, luce sua, criterio suo, giudice suo? Or bene, come la mia ragione vede che lo spirito umano non ha altro spirito superiore a sè, così vede che il mondo non ha autore, e per conseguenza non ha verun Signore: di che io protesto contro il Dio adorato dalla Chiesa romana. Il socialista, il comunista e l'anarchista dei nostri giorni diranno invece: Per primo articolo della costituzione umana, voi riconoscete la sovranità indipendente della nostra ragione. Or noi, con evidenza irrepugnabile, scorgiamo che fonte d'ogni malanno sociale sono i due pretesi diritti dell'autorità domestica e politica e della proprietà privata: noi pertanto protestiamo contro il quarto ed il quinto precetto del decalogo, insegnato dalla Chiesa romana. Meglio di tutti concluderà lo scettico: Voi concedete che a me solo tocca il giudicare senz'appello di tutto, ed ancora di quello che tutti voi sinora avete detto? Ebbene, dopo liberamente esaminata ogni cosa, io vi dichiaro che nulla v'ha di certo nel mondo: per lo che io protesto, non solo contro la Chiesa romana, ma altresì contro coloro che protestano contro di lei, e protesto finalmente contro me stesso.
Dato l'assurdo principio teologico e filosofico, bandito da Lutero, del libero esame e del principato della personale ragione, è impossibile rigettare tutte queste conseguenze e non averle in conto di logico svolgimento della Riforma: nè vi ha protestante, se pure intenda rimanere consentaneo a sè stesso, il quale a tutte ed a ciascuna non abbia da rispondere: Amen.
Dal che si ritrae che, a filo di rigorosa dialettica, il sistema nel quale fra Martino fondò tutta l'opera della sua Riforma, conduce alla negazione arbitraria d'ogni ordine divino ed umano, cioè a dire teoricamente all'anarchia religiosa, morale e razionale, praticamente poi a tutti i disordini politici e sociali, di cui l'Europa moderna è stata finora ed è luttuoso teatro.
Così riman chiarita la necessità delle discordie generatrici di sètte, moltiplicantisi a guisa dei funghi, e delle contradizioni, inerenti per essenza alla natura del protestantesimo, come ne diede argomenti ed esempi non credibili lo stesso Lutero, la raccolta delle cui antitesi formerebbe un volume de' più curiosi. Già i lettori videro, in una delle ultime corrispondenze nostre di Prussia, come ora, per occasione del centenario di fra Martino, si sia pubblicato in Germania un Catechismo cattolico romano di Martino Lutero, coi tipi del Barcher in Wurzburgo. «Questo catechismo, scriveva il nostro valoroso corrispondente, d'una perfetta e piena ortodossia, è composto esclusivamente di passi delle opere di Lutero, posteriori alla sua eresia: quindi è che somministra, senz'averne l'aria, una prova delle incessanti contradizioni di lui [11].»
IV.
Nè puntò dal teologico e filosofico è per sè diverso il valore politico e sociale di quel principio che costituisce il cardine della Riforma luterana. Ogni uomo ha diritto di pensare ciò che vuole, e di operare, dentro i confini dell'estrinsecamente a lui possibile, come pensa. Posto un così fatto principio, il protestante può, senza sconcio, riconoscere oggi la indipendenza assoluta dei re, e domani dichiararli decaduti dal trono, esiliarli ed anche, come fu fatto di Carlo I d'Inghilterra e di Luigi XVI di Francia, mandarli ignominiosamente al patibolo. Variano le conseguenze, ma non varia il principio d'onde queste scaturiscono. Checchè si dica, sarà sempre vero che, in virtù di questo principio, il sovrano è soggetto al libero esame, alla giurisdizione imprescrittibile d'ogni individuo del suo Stato. E quel che si avvera del sovrano, si avvera della legge e di qualsivoglia altra autorità. Chi si arroga il diritto di sindacare Dio, non si arrogherà quello di sindacare l'uomo? Allorchè pertanto un chi che si sia concluda da sè, che un giuramento di fedeltà non tiene, che un re od un Governo non meritano che si stia lor sotto, che può, col giudizio suo privato, togliere al prossimo la roba o la vita, o metter sossopra un paese, o concorrere a disfare un regno, è assurdo il dargli biasimo, è tirannia il punirlo.
Dal che proviene che, a rigor di termini, assurdo e tirannico deve dirsi ogni Governo, che sul principio del protestantesimo si appoggia, e pure pretende imporre leggi e farle osservare colla forza, a chi riconosce per libero giudice di tutto e di tutti e sovrano di sè. Proviene inoltre che ogni principe protestante, per ciò solo che è tale, si spossessa da sè del giure principesco e scioglie i sudditi dal vincolo dell'obbedienza. Impèrocchè, protestante essendo e volendo rimanere, deve per necessità riverire in ciascuno dei sudditi il diritto fondamentale di pensare come vuole e di operare come pensa. Se a lui obbediscono, dovrà averlo per un favore di cortesia; ma se a lui si ribellano, sarà ingiusto ed oppressore, mettendo mano alle armi per soggiogarli. Proviene di più che, al contrario, i sudditi di un re protestante sono impediti dal riprovare gli atti suoi, benchè iniqui e dannosi; il re, come uomo, essendo ancor egli giudice supremo de' suoi diritti e doveri. Proviene ancora che il protestantesimo politico non può comandare, senza contradirsi, nè l'obbedienza, nè la resistenza ad alcuno: non l'obbedienza, perchè nell'individuo sovrano viola la libertà razionale dell'individuo soggetto: non la resistenza, perchè obbliga l'individuo soggetto a violare la libertà razionale dell'individuo sovrano. Proviene da ultimo che il protestantesimo viene a distruggere ogni nodo morale tra il suddito ed il sovrano, concedendo ad amendue un'autorità pari, l'una coll'altra cozzante: di maniera che altra regola di governo non lascia, fuorchè le due dell'astuzia e della forza. Il perchè, in conclusione, tutto epiloga nel famoso effato: La force prime le droit, che, se non a voce, per fermo ai fatti è la suprema norma politica del protestantesimo imperante.
«Come si vede, ben ragiona lo storico prelodato, ogni sovrano protestante, ogni popolo protestante, pone l'anarchia in principio, in dogma, in legge fondamentale. Gli autori che hanno affermato, lo stato naturale del genere umano esser la guerra di tutti contro tutti, hanno strettissimamente discorso come protestanti. Legge, ordine, giustizia, società sono di fatto pel protestantesimo cose contro natura; i tribunali una tirannide mostruosa. Se dunque il protestantesimo non avesse incontrato ostacoli, se avesse potuto svolgere liberamente tutte le sue conseguenze, la società umana, in nome della bibbia, sarebbe ricaduta nel caos [12].»
V.
E che i principi ed i popoli, infatuati delle enormità poste loro in mente dai primi autori della Riforma e da Lutero in ispecie, così nella pratica intendessero il protestantesimo, troppo lo dimostrarono gli eventi. Per un lungo corso di anni, la Germania fu insanguinata da macelli e da saccheggiamenti spaventosi. Tra principi e popoli, tra poveri e ricchi scoppiò una guerra che mirava allo sterminio d'ogni cosa. Gli abitanti delle campagne nella Svevia, nelle rive del Danubio, nella Misnia, nella Turingia, nella Franconia, levati in armi dal Muncer, alzarono il vessillo dell'uguaglianza; e fecero nè più nè meno di quello che i comunisti francesi e spagnuoli dei nostri giorni. Dalla Sassonia fino all'Alsazia, trucidarono e scannarono i signori ed i ricchi, senza riguardo ad età ed a sesso, misero a saccomanno ed incendiarono castelli, borgate, città, senza misericordia. Queste barbare schiere, invasate di luteranesimo, ovunque passarono, deposero i magistrati, s'impadronirono dei beni de' nobili, li costrinsero a vestire da contadini e persino a smettere i loro titoli e nomi feudali, prendendone dei plebei. «Lo scisma protestante, scrive lo Schiller, ebbe in Germania l'effetto di uno scisma politico, che gittò l'ampio paese, per un secolo e più, in un orribile soqquadro. Suo primo e tristissimo frutto fu una guerra devastatrice di trent'anni, che si stese dall'interno della Boemia fino alle bocche della Schelda, e dalle sponde del Po fino a quelle del mare del Nord. Questa guerra consumò le messi, incenerì città e villaggi, spense per un mezzo secolo la scintilla della civiltà, e tornò all'antica barbarie i pubblici costumi, che appena cominciavano ad ingentilire [13].» E come lo Schiller, così il Michelet, il De Rottech e gli stessi socialisti Weill, Louis Blanc e mille altri, riconoscono nella Riforma di Lutero la causa prima e potissima di tanti disastri.
Gli angusti confini di un articolo non ci permettono di allargarci a chiarire le strette attinenze che rannodano l'odierno socialismo coll'opera di fra Martino. Del resto appariscono già sfolgoranti da quello che si è detto finora: onde ognuno scorge quanto meritamente la massoneria anticristiana e giudaica saluti in lui un precursore e maestro, degnissimo de' suoi festeggiamenti. Bene ha illustrati questi vincoli di parentela, tra l'apostata riformatore di Wittemberga e i massoni socialisti, il testè ricordato Louis Blanc, mostrando come la rivoluzione, preparata dai filosofastri del secolo scorso e tendente al socialismo, dovesse avere il naturale suo principio dalla teologia; come la ribellione alla Chiesa dovesse terminare colla ribellione a tutte quante le altre autorità; come il Lutero religioso dovesse trasformarsi in un Lutero politico, proseguendo a dire: «Il volesse o no Lutero, esso menava dirittamente a Muncer: il grido ch'egli avea levata contro Roma, migliaia di voci l'avrebbero mandato contro i re, i principi, i dispregiatori del popolo, i calpestatori del povero [14].» Parole confermanti la sentenza del Guizot, che cioè: «la crisi del secolo XVI non fu semplicemente riformatrice, ma essenzialmente rivoluzionaria [15];» e giustificanti l'apoteosi con cui da per tutto la Rivoluzione ha glorificato il quarto centenario natalizio di Lutero.
VI.
Se non che a qual punto si trova oggi essere l'opera di Martino, in quanto religiosa? O, in altri termini, che è ora divenuto quel luteranismo, che pretese riformare niente meno che la fede cristiana?
«Poichè abbiamo perduta la fede, non v'è dubbio che abbiam perduto ancora Dio» scrisse Lutero, in un momento di lucido intervallo della coscienza [16]; e con ciò venne a definire il male che era, e il peggio che sarebbe stato la impresa sua. Ora più che mai la confessione luterana è in verità una confessione senza fede e senza Dio. Finchè la parte aderente allo scisma di fra Martino conservò in Germania qualche avanzo di cattolicismo, si potè dire che avesse una certa cotal fede, e adorasse Dio colla professione di un certo cotal cristianesimo. Ma, dopo tre secoli di negazioni, di dissensioni, di divisioni e di vaneggiamenti, colà sono sì ancora luterani, ma non è più luteranesimo. Questo al presente, in quanto confessione religiosa, è naufragato nei due pelaghi del razionalismo deistico o del pretto ateismo.
Già è noto lo scempio fattosi della bibbia dai così detti moderni critici alemanni, dal Wieland, per esempio, dal Cannabich, dal Luders, dal Bucholz, dal Janisch, dal de Wette, dal Cludius e da cento e cento lor simili; i quali tutti l'hanno rifiutata per divina, in quel modo che a Cristo Salvatore hanno preteso togliere la divinità. È pur noto il sistema dei miti, suggerito dal Semler e diffuso dall'Eichorn, dal Bauer, dal Ruge, dallo Schultze, dallo Steinthal e da altri molti suoi apostoli e difensori. In virtù di questo, un gran numero di teologi protestanti ha mutato gli avvenimenti della Storia sacra in leggende, o novelle poetiche; ed i miracoli più stupendi in giuochi di prestigio dei capi del popolo ebreo. Nulla diciamo dello Strauss, il quale, a nome dei protestanti razionalisti, dichiarò la teologia «non produrre più altro che distruzioni, e non avere altro scopo, fuorchè quello di demolire con arte un edifizio, che non si confà più al disegno del mondo nuovo [17].» Un altro di essi ha chiamata manìa atanasiana la fede di coloro, che sostengono per anco Gesù Cristo essere il Verbo di Dio umanato. Per tutti costoro poi, e per tutta la loro scuola svariata e molteplice, la Trinità divina è un concetto riprovato dal senso comune, i sacramenti sono riti adiafori, il battesimo una cerimonia inutile; la grazia, la risurrezione, l'inferno, il paradiso fole superstiziose; insomma tutto l'ordine soprannaturale un sogno.
La trasformazione delle verità rivelate in verità razionali, detta necessaria dal Lessing, ha raggiunto il naturale suo termine, che è l'ateismo. Feuerbach ha scritto che «la religione, alla fin dei conti, consiste nel riflesso dell'umanità,homo homini Deus:» lo Stirner ed il Marr hanno insegnato che ciascuno è Dio a sè stesso, homo sibi Deus. L'odierna società degli Amici protestanti, avente per corifei i tre pastori Uhlich, Wislicenius e Sachse, e per colleghi altri non pochi pastori d'Alemagna, chiama Dio un essere fittizio, e vuole che ognuno adori per Dio sè stesso.
VII.
Con ragione adunque, fino dal 1835, il ministro Gaussen, vedendo come le cattedre più illustri della Germania ripudiassero Cristo e lo predicassero un semplice grand'uomo, un Socrate giudeo, sclamava: «Gesù Cristo è annichilato, il Vangelo è perito!» ed a ragione il de Gasparin gridava pure ad alta voce: «la pluralità dei protestanti non è più cristiana!»
È rimasta celebre la lettera convocatoria del sinodo ecumenico-germanico-evangelico, raccoltosi, per ordine del re di Prussia, in Berlino, il maggio del 1848. Questo documento, di autorità somma, formatamente asseriva che ogni protestante luterano era nel bivio, o di rientrare nella Chiesa cattolica, insieme col Capo officiale del luteranismo, ossia il re; o di rigettare ogni domma, ogni suo fondamento ed ogni idea di unità e di comunione spirituale fra gli uomini. Meglio e più autenticamente di così non si poteva annunziare la finale ruina dell'edifizio religioso, eretto tre secoli prima da Martin Lutero.
Nè il sinodo giovò a concludere cosa che fosse, poichè tutto il succo che si spremè dalle infinite dispute discordanti e contradittorie fu il solito, che cioè si lasciava a ciascuno il diritto d'intendere e interpretare la parola di Dio a modo suo, aggiuntovi che i libri simbolici erano da riguardarsi come «espressione temporaria di una fede che non è più, e non ha forza d'imporre obbligo a veruno.» Di fatto a che pro stabilire norme di fede in un paese, nel quale, siccome ebbe a dire uno degli oratori, «da per tutto regna sovrana la incredulità, sotto forma di razionalismo e di panteismo negli alti ordini della società, e sotto forma d'indifferenza e di demagogia negl'inferiori; così che la deificazione del mondo e l'indiavolimento degli uomini vi va sempre crescendo»? A riprova di che un altro oratore soggiunse: che «nella città di Stettino, sette sopra i cento usavano ancora nei templi, e sopra 40,000 abitanti erano più di cento famiglie venute su senza i vincoli del matrimonio: in quella di Brema poi l'uso di battezzare i bambini era quasi caduto in dimenticanza.»
A' 6 di giugno del 1877 fu aperto il sinodo del distretto ecclesiastico di Berlino-Köln-Stadt; ed il suo preside, nel rendere ragione delle condizioni della diocesi, lamentò dolorosamente «il diminuire continuo dei battesimi e de' matrimonii religiosi e l'abbandono della Chiesa Nazionale.» Or chi crederebbe che, proprio in questo sinodo, per rimedio a tanto male, il consiglio della Chiesa evangelica di Luisenstadt propose non altro, che l'abolizione del simbolo degli Apostoli, che è dire di tutta quanta in corpo la fede cristiana?
A buona legge purtroppo, in quell'anno, l'imperatore Guglielmo, a' suoi ministri di Stato raccolti intorno a sè, manifestò quanto egli vivesse inquieto, per gli sforzi dissolventi fatti palesi nel campo religioso e sociale. Ma il pastore evangelico Schülter, esponendo poco dopo in un suo opuscolo i segni di morte nella Chiesa officiale prussiana[18], si fece a provare che neppure il summus episcopus dei luterani, vale a dire il medesimo imperatore Guglielmo, con tutti i suoi rammarichi, avea più potenza d'impedire il rapido sfacelo del protestantesimo. Conciossiachè, soggiung'egli: «una Chiesa, nella quale la fede in Cristo e la negazione di Cristo hanno gli stessi diritti, d'altro non può essere annunziatrice, se non di morte, d'altro apportatrice, se non che di pestilenziale corrompimento.»
Se pertanto è vero, com'è verissimo, che l'opera loda il maestro, tutto quello che, per sommi capi, abbiamo più tosto indicato che narrato e di Martin Lutero e della sua Riforma, fa palese che egli fu degno di averla operata ed essa degnissima d'averlo avuto per autore.
Mentre scriviamo, i giornali tedeschi ci recano la notizia, che le prime feste del centenario genetliaco di fra Martino in Germania, sono state seguite dall'incendio, in Eisleben della casa ov'egli nacque, ed in Vittemberga della chiesa in cui fu sepolto. Quest'incenerimento dei luoghi ne' quali colui ebbe la culla e la tomba sembra a noi un singolar caso, raffigurante il termine odierno della sua impresa. Tutto è ridotto in cenere. Dovechè quella Chiesa cattolica, con a capo il Romano Pontefice, che l'impresa luterana era sorta ad annichilare, fra queste mute ceneri, sfolgora piena di luce, di vita, di gloria e di fecondità nell'universo mondo; e coll'unità sua meravigliosa, colle opere sue stupende e colle sue indeficenti vittorie, grida a tutti i sedenti nelle tenebre dell'errore e nell'ombra della morte: Qui me invenerit, inveniet vitam et hauriet salutem a Domino. [Pr. 8, 3, N.d.R.] Volete un altro argomento di credibilità, che io sono fattura delle mani di Cristo-Dio, ed il protestantesimo è bruttura delle mani di Satana? Guardate come vivo io, quattro secoli dopo la nascita di Lutero; e guardate come sia morto, colla sua Riforma, Lutero, tre secoli e mezzo dopo ch'egli si vantò di volere spegnere me, nel Capo mio visibile, il Papa. Se non credete alle parole, credete ai fatti.
VIII.
Un grandissimo numero di persone che, nell'Italia segnatamente, hanno spalancati gli occhi per meraviglia delle cose magnifiche, intese o lette dalla bocca o dalla penna del nostro liberalismo, nella ricorrenza del suo centenario, ad onore e gloria di Martin Lutero, pochissimo o nulla conosce della sua storia e di tutto ciò che colla sua Riforma si collega. L'ignoranza poi per giunta delle verità religiose e delle controversie e degli avvenimenti d'ogni sorta, a cui questa Riforma aperse il campo, li rende al tutto incapaci di niente giudicare col loro capo e di niente apprezzare col senso naturale e cristiano, che pure a molti di essi non manca.
Noi però vorremmo che, nel frastuono dei panegirici, concludessero per lo meno dalla qualità dell'encomiato a quella degli encomiatori. È lecito dir della lode quello che dell'amore: amor aut similes invenit, aut facit. Tra i simili è, come la lode, così l'amore. Più si studia Lutero, e più si scopre ch'egli visse d'odio implacabile e feroce, di un odio, come ben si esprimeva Louis Blanc, «che in nome di Dio comandava le opere [19]»; per contrapposizione a Gesù Cristo, il quale, essendo Verbo di amore, vive d'amore e, nel nome del suo Padre celeste, comanda l'amore operante. Or tutto l'odio, che attossicava il cuore di Martin Lutero, si accoglieva in un oggetto unico: ed era il Papato. Mai, ne' secoli cristiani, non è stato al mondo uomo che abbia così diabolicamente odiato Cristo vivente in Pietro, come Lutero lo ha odiato. Qnest'odio, che sembra aver toccato i confini del possibile in petto umano, avvegnachè insatanassato, fu quello che si direbbe carattere individuante, forma ed essenza del suo spirito.
Si osservino gli odierni suoi lodatori, i celebratori del suo centenario, fra noi in Italia, chi son eglino? I suoi simili, cioè tutti, nei varii lor gradi, i nemici del Papato: tutti coloro che, sotto pretesto di libertà e di civiltà, ripudiano Cristo vivente in Pietro, o ne disconoscono i diritti, o ne spregiano le prerogative, o ne desiderano stremata la potenza, o si adoperano a impiccolirne la divina grandezza.
Qui è tutta la ragione dei festeggiamenti, o degli elogi. S'inciela Martin Lutero, non perchè sia stato un grand'uomo, chè per gran matto e gran briccone, conforme si diss'egli, tutti i non ignoranti lo riconoscono; ma perchè, sebbene gran matto e gran briccone, avviò quella guerra al Papato, che si spera debba far capo al pieno trionfo d'una civiltàanticristiana, e farà capo invece, se Dio non interviene con mano onnipotente, al pieno trionfo del socialismo.
NOTE:
[2] Schol. super primam dom. Advent. Serm. conv. Germ. In Epist. pr. ad Corinth. XV Collez. fol. 234.
[3] Comment. in sec. Epist. Petri, c. 2. –– Catechism. Eccl. Genev. praef. –– Serm. X, XXX, super Epist. ad Ephes.
[4] Epist. ad Myconium, an. 1528; ad Camerarium, an. 1548; ad Nicol. Buscoducensem, an. 1547. Op. lib. IV, Epist. CIV, CXXXV.
Tra le insigni opere di scrittori cattolici, pubblicatesi nella Germania, per questa congiuntura del centenario di Martin Lutero, merita di essere raccomandata questa così intitolata: Reformatorenbilder. Historische Vorträge über katholische Reformatoren und Martin Luther, von D.r Constantin Germanus. Herder in Freiburg, Baden, 327 pag. gr. 8. Con istile lucido e pacatissimo, l'Autore, che si mostra versatissimo nella Storia ecclesastica e di sagace criterio, oppone al riformatore, che diede origine e incremento al protestantesimo, i veri riformatori cattolici, vale a dire i grandi santi della Chiesa cattolica, che riformarono davvero, non già la Chiesa, essenzialmente irriformabile, perché divina nella sua fede e nella sua costituzione, ma i fedeli: mialiorandone la vita e i costumi. Bellissimo è il quadro dei santi riformatori che mette a riscontro dei padri dell'apostasia moderna; di san Gregorio Magno, del beato Canisio, di san Carlo Borromeo, di san Vincenzo de' Paoli e dell'altra schiera che segue a proporre nella settima ed ottava delle sue conferenze. Noi pensiamo che si farebbe opera molto vantaggiosa ancora all'Italia, ove questo prezioso libro si traducesse e divulgasse fra noi. Si vende al prezzo di fr. 5.
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