ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 19 ottobre 2011

Tertium datur?


Per una caratterizzante "terza via" anche nella lettura di "Assisi III"

"Assisi III" è ormai alle porte. Ne parlammo già il 13 aprile, al punto 4 dell'articolo "La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice “scismatico” né conformismo “allineato” (prima parte)". In tal sede abbiamo espresso la posizione di questo «libero sito», il cui direttore «appartiene all'Istituto del Buon Pastore»; e che vede la collaborazione anche di fedeli laici che all’Istituto guardano con interesse.

David, Pio VII "assiste" all'incoronazione di Napoleone


Dicemmo:
a -  Che siamo «fortemente avversi agli incontri interreligiosi,posizione pubblica e nota sia al Santo Padre che alla Chiesa in generale».

b -   Che, più ampiamente, «quando l’Osservatore Romano ha scritto, con firma di Renzo Gattegna, che la Chiesa Cattolica deverinunciare a convertire gli ebrei, la nostra rivista ha sottoscrittouna pubblica denuncia presentata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, già nel dicembre 2010 (un mese prima dell’annuncio d’Assisi III) e ha in seguito pubblicato un articolo in merito».

c -   Che «il motivo di un tale incontro», più che meramente teologico, poteva essere «legato, più di quanto si creda, all’attuale equilibrio internazionale o ad equilibri interni al mondo ecclesiastico». Tant’è che al punto 3 non a caso avevamo parlato di «atti non infallibili che l’autorità fa o subisce, propone o sembra proporre».

d - Che, da osservatori, vedevamo una contraddizione in taluni che affermavano contemporaneamente  «l’indicibile gravità dell’incontro Assisi III» (sicché noi saremmo stati, a loro giudizio, troppo moderati a riguardo) e il successo dei «colloqui teologici Econe-Roma» ( colloqui che, a detta loro, dovevano correggere i principi della crisi e convertire Roma): «in effetti, vista l’impostazione “dottrinale”che si è voluto dare a tali incontri, se vanno bene allora vorrà dire che di fatto l’attuale ecumenismo non pone problemi agli interlocutori».

e -   Che «conoscendo il pensiero dell’allora card. Ratzinger e le sue passate affermazioni sull’impatto disastroso di questi avvenimenti» - il che già all’epoca ci lasciava presagire che ci fosse qualcosa di strano in tale convocazione - ritenevamo di diversificarci dai «rapidissimi commenti» (talvolta addirittura «epiteti») nei confronti del Santo Padre, comparsi su alcuni «siti d’area tradizionale». Preferimmo in coscienza dire intanto quanto sopra riportato, e «aspett[are] gli eventi per conoscere a fondo quale sia, nella “mens” del Papa, il motivo di un tale incontro» e poterne perciò dire di più.

Come allora promesso, torniamo sulla materia; e lo facciamo adesso appunto perché ora abbiamo un ulteriore elemento, di grande importanza, per la comprensione di tale avvenimento. Infatti in questi giorni è stato diffuso (casualmente?) un testo, scritto di pugno dal Santo Padre in risposta alle preoccupazioni sull’incontro espresseGli da un vecchio amico, il pastore luterano Peter Beyerhaus (alle volte si trova l’audacia dove meno si crederebbe…). Esaminiamo dunque con attenzione la risposta, chiaramente privata ma altresì disvelatrice, di Benedetto XVI:


«Comprendo molto bene la sua preoccupazione rispetto alla mia partecipazione all’incontro di Assisi. Però questa commemorazione deve essere celebrata in ogni caso e, dopo tutto, mi sembrava che la cosa migliore fosse andarvi personalmente per poter cercare in tal modo di determinare la direzione del tutto. Tuttavia farò di tutto affinché sia impossibile una interpretazione sincretista dell’evento ed affinché ciò resti ben fermo, che sempre crederò e confesserò quello che avevo richiamato all’attenzione della Chiesa con l’enciclica Dominus Iesus»

È un brano impressionante. Ne emerge con chiarezza che ciò che solitamente si dà per scontato, ovvero che il Papa determini la direzione delle cose nella Chiesa, in realtà non lo è affatto: il Papa ritiene di poter soltanto «cercare in questa maniera di determinare la direzione del tutto». Infatti «questa commemorazione deve essere celebrata in ogni caso». Perché ?  Il Papa non lo specifica, ma si faccia attenzione al concatenamento del discorso: primanon smentisce affatto l’atteggiamento preoccupato dell’interlocutore, dando anzi l’idea di condividerlo; poi dipinge l’atto in questione come inevitabile anche se Lui non vi fosse andato, ovvero indipendente dalla Sua presenza, e in dipendenza da ciò è il suo andarvi personalmente per cercare di ridurre i pericoli. Dunque un atto, più che voluto, subìto. È l’interpretazione che emerge, in sede confidenziale ma per iscritto, da Benedetto XVI in persona.


Ed è un’interpretazione da cui esce contraddetta ogni lettura ideologica dell’avvenimento, su entrambi i fronti.


Infatti, contrariamente a certi commenti temerari di esponenti dell’ “ala dura” del mondo tradizionalista,  il motivo non ne risulta ascrivibile a fattori prevalentemente teologici, ad una cieca volontà ecumenista del Pontefice regnante, ma ai condizionamenti in cui Egli si ritrova.


Ma contraddetta ne esce anche l’attitudine, parimenti astratta, di certo mondo tradizionale che però vorrebbe mostrarsi allineato anche ad atti del genere; ad esempio volendo assolutamente applicare l’ermeneutica della continuità anche ad Assisi III, e per questa via dandone una valutazione sostanzialmente positiva (se non quasi di lode). Infatti è chiaro – anche dal suo libro con l’allora presidente del Senato italiano Marcello Pera – che Joseph Ratzinger è orientato a sostituire, dolcemente e diplomaticamente, il dialogo propriamente interreligioso con il dialogo sostanzialmente interculturale: ma con un po’ di senso della realtà è altrettanto chiaro che tali incontri di fatto si prestano a gravi pericoli. L’intento correttivo di Assisi I è un aspetto reale della questione;  ma reale è pure il fatto che ufficialmente Assisi III è presentato come atto celebrativo d’Assisi I. Naturalmente resta da vedere cosa di preciso verrà detto e fatto ad Assisi, ma da vescovi e sacerdoti abbiamo già udito discorsi fuori dalle rotte dell’ortodossia che han preso lo spunto dall’evento annunziato.

Rileggiamo il brano di S.S. Benedetto XVI, ragionandoci, e vedremo che quel che ne emerge non è la valutazione di un bene, ma piuttosto di un danno che, ritenendo di non poter fare altro, si cerca di ridurre. Un servile “tradizionalismo” ultra-ratzingeriano (timoroso o complessato), che invece di limitarsi a giuste spiegazioni si sentisse obbligato addirittura a condividere ed approvare Assisi III, sebbene non si tratti neppure di atto magisteriale o di legge della Chiesa, si ritroverebbe “a sinistra” non soltanto di mons. Gherardini e delle sue riserve sull’abuso della nozione d’ “ermeneutica della continuità”, ma si ritroverebbe anche a sinistra di Papa Ratzinger. Renderebbe con ciò un buon servizio al Santo Padre, pur trovandosi in condizioni di maggior libertà? Quale ragion d’essere gli resterebbe?

Don Stefano Carusi

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