La Chiesa non compia l'errore di sostenere i banchieri
di Martino Mora - 22/11/2011
La Chiesa cattolica ha storicamente denunciato come pratica immorale e peccaminosa l'”usura”, non intesa come oggi quale prestito ad interesse troppo elevato, ma come prestito a qualsiasi interesse. Tralasciando le chiarissime condanne evangeliche e paoline dell'accumulo delle ricchezze, possiamo almeno soffermarci sulla più specifica condanna dell'usura e degli usurai, che non era affatto nuova anche nel mondo pagano, dove era quasi ovunque vietata per legge.
I Padri della Chiesa, a partire da Clemente Alessandrino e dagli apologisti, condannano fermamente la pratica del prestito ad interesse. S. Ambrogio, S. Agostino, S. Girolamo, S. Basilio, S. Gregiorio Nisseno, S. Gregorio Nazianzeno e molto più tardi S. Tommaso d'Aquino (che la definì “torpitudo” riprendendo il giudizio aristotelico sulla “crematistica”): tutti o quasi i principali intelletti della Chiesa cattolica, e molti dei santi più grandi, denunciano come illecito e immorale qualsiasi prestito ad interesse. E questo basandosi principalmente sulla Scrittura, ma anche sul sostegno delle grandi opere della filosofia classica, da Platone ad Aristotele.
Dopo la prima condanna ufficiale del Concilio di Elvira (300-306), il primo Concilio di Nicea (325) definisce illecita l'usura, e la vieta ai religiosi.
San Leone I Magno (440-461), il papa passato alla leggenda per avere fermato Attila, definisce l'usura come “la morte dell'anima”. E' proprio Leone Magno, nel 440, a vietare tale pratica anche ai laici, divieto confermato dal Concilio di Clichy (627).
Carlo Magno con il capitolare di Nimega (806) trasforma la proibizione morale della Chiesa. in legge dell'Impero. La pratica dell'usura viene tollerata solo per gli ebrei, che ne diventano protagonisti.
Dal XII secolo però, con l'espansione delle attività mercantili, la Chiesa sente il bisogno di riaffermare la condanna dell'usura in modo ancora più fermo. Con Alessandro III (1159-1181) - il papa che sostiene i comuni della Lega Lombarda contro il Barbarossa, e che umilia Enrico III di Inghilterra dopo che questi ha fatto uccidere il vescovo Tommaso Becket - la Chiesa commina, con il terzo Concilio del Laterano (1173), la scomunica e il divieto di sepoltura per chi presta ad interesse. Condanna ribadita dallo stesso pontefice con il canone “Ex eo de usuris”.
Il Concilio di Vienne (1311) stabilisce che deve essere considerato eretico anche chi afferma la non peccaminosità dell'usura. Siamo però in un periodo difficile per la Chiesa, costretta dai re di Francia alla “cattività avignonese”(1309-1377) e fortemente indebolita. La Chiesa cattolica ha storicamente denunciato come pratica immorale e peccaminosa l'”usura”, non intesa come oggi quale prestito ad interesse troppo elevato, ma come prestito a qualsiasi interesse. Tralasciando le chiarissime condanne evangeliche e paoline dell'accumulo delle ricchezze, possiamo almeno soffermarci sulla più specifica condanna dell'usura e degli usurai, che non era affatto nuova anche nel mondo pagano, dove era quasi ovunque vietata per legge.
I Padri della Chiesa, a partire da Clemente Alessandrino e dagli apologisti, condannano fermamente la pratica del prestito ad interesse. S. Ambrogio, S. Agostino, S. Girolamo, S. Basilio, S. Gregiorio Nisseno, S. Gregorio Nazianzeno e molto più tardi S. Tommaso d'Aquino (che la definì “torpitudo” riprendendo il giudizio aristotelico sulla “crematistica”): tutti o quasi i principali intelletti della Chiesa cattolica, e molti dei santi più grandi, denunciano come illecito e immorale qualsiasi prestito ad interesse. E questo basandosi principalmente sulla Scrittura, ma anche sul sostegno delle grandi opere della filosofia classica, da Platone ad Aristotele.
Dopo la prima condanna ufficiale del Concilio di Elvira (300-306), il primo Concilio di Nicea (325) definisce illecita l'usura, e la vieta ai religiosi.
San Leone I Magno (440-461), il papa passato alla leggenda per avere fermato Attila, definisce l'usura come “la morte dell'anima”. E' proprio Leone Magno, nel 440, a vietare tale pratica anche ai laici, divieto confermato dal Concilio di Clichy (627).
Carlo Magno con il capitolare di Nimega (806) trasforma la proibizione morale della Chiesa. in legge dell'Impero. La pratica dell'usura viene tollerata solo per gli ebrei, che ne diventano protagonisti.
Dal XII secolo però, con l'espansione delle attività mercantili, la Chiesa sente il bisogno di riaffermare la condanna dell'usura in modo ancora più fermo. Con Alessandro III (1159-1181) - il papa che sostiene i comuni della Lega Lombarda contro il Barbarossa, e che umilia Enrico III di Inghilterra dopo che questi ha fatto uccidere il vescovo Tommaso Becket - la Chiesa commina, con il terzo Concilio del Laterano (1173), la scomunica e il divieto di sepoltura per chi presta ad interesse. Condanna ribadita dallo stesso pontefice con il canone “Ex eo de usuris”.
Proprio nel XIV secolo, con l'ascesa ulteriore del ceto dei mercanti, l'usura diviene un fenomeno talmente forte e diffuso da contribuire alla crisi della Chiesa, che viene, per così dire, lentamente espugnata dall'interno.
Già nella seconda metà del secolo, prima e durante lo Scisma d'Occidente (1378-1417), i papi si esprimono raramente sull'immoralità dell'usura e dei grandi mercanti usurai, dai quali cominciano ad essere finanziati. E' in questo periodo che in Italia nascono le prime banche della storia, quali quelle dei Bardi e dei Peruzzi. Il pontificato di Bonifacio IX (1389-1404) già si caratterizza per la ricerca di continui finanziamenti.
Dalla seconda metà del XV secolo, con Paolo II (1464-1471) inizia la lunga serie di papi mecenati dell'arte, spesso dissoluti e paganeggianti, tra i quali tutti ricordano i celeberrimi Alessandro VI Borgia e Giulio II della Rovere, al quale succede Leone X (1513-1521), al secolo Giovanni de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. Per la prima volta il rampollo di una famiglia di banchieri diventa papa. I mercanti sono entrati nel tempio.
Il padre gli fa prendere i voti a sette anni e il papa lo fa cardinale a tredici. Divenuto papa, nel 1513, da figlio e nipote di banchieri non esita a fare mercato delle cose sacre, in particolare delle “indulgenze”, lettere di perdono che condonano parzialmente i peccati da scontare in Purgatorio.
Già il megalomane Sisto IV (1471-1484) aveva iniziato la vendita delle indulgenze, ma solo con Leone X questo sistema raggiunge la più capillare estensione. Come ben sa chi conosce un po' di storia, questa scelta dissennata contribuisce a far scoppiare in Germania, per opera di Martin Lutero e dei principi che lo sostengono, la più grande rivolta contro l'autorità della Chiesa, che avendo successo sarà solo la prima delle divisioni nella cristianità occidentale.
Dopo la breve parentesi riformatrice di Adriano VI (1522-1523), viene eletto papa Clemente VII (1523-1534), al secolo Giulio de' Medici, cugino di Giovanni e figlio naturale di Giuliano, ucciso giovanissimo nella congiura dei Pazzi. Cresciuto con lo zio Lorenzo il Magnifico, divenuto papa si comporta senz'altro meglio del cugino. Ciò nonostante è anch'egli un papa piuttosto sfortunato, perché deve assistere allo scisma anglicano di Enrico VIII (Atto di Supremazia, 1534) e prima ancora al sacco di Roma (1527) ad opera dei lanzichenecchi dell'imperatore Carlo V. Si può quindi dire che i papi banchieri della famiglia Medici alla Chiesa non abbiamo portato fortuna, per usare un eufemismo.
Col Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa cattolica si riforma e ritrova se stessa. Il mondo moderno invece no, perché l'ascesa della classe borghese dei mercanti e dei banchieri continua trionfale, nonostante la Chiesa condanni ancora l'usura prima con Gregorio XIII (1572-1585), che scrive il “Decreto in risposta a Guglielmo duca di Baviera”, e poi con Benedetto XIV (1740-1758). Nonostante la pressione di dotti settecenteschi come Scipione Maffei, che vorrebbero che la Chiesa si adeguasse ai protestanti nel riconoscere il ruolo positivo delle banche nello sviluppo capitalistico, Benedetto XIV ribadisce con la “Vix pervenit” (1745) la condanna morale per chi presta ad interesse.
A chi conosce un po' di storia, fa quindi oggi una certa impressione osservare l'entusiasmo di gran parte del mondo cattolico per il governo di Mario Monti. L'esponente della Commissione Trilaterale e del Bildelberg club, nonché consulente di Goldmann-Sachs e di Coca Cola company, sembra essere riuscito dove Silvio Berlusconi, che fu iscritto alla ben più modesta Loggia massonica P2, aveva fallito: riunire quasi tutte le anime del mondo cattolico in un sostegno incondizionato alla propria persona.
Dai catto-comunisti delle Acli e “Famiglia cristiana” ai berlusconiani di Comunione e Liberazione, dagli ex democristiani all'Azione Cattolica, passando per gli ex sessantottini di Sant'Egidio (premiati con un ministero ad Andrea Riccardi) è arrivato un convinto sostegno al governo Monti. Anche l'”Osservatore Romano” e il quotidiano dei vescovi italiani, “Avvenire”, si sono uniti, nel coro osannante Mario Monti, ai giornali del grande capitale (“Corriere della sera”, “La Repubblica”, “La Stampa”). Gli unici a scuotere il capo sono i fedeli più legati alla Tradizione, che però in televisione e sulla grande stampa non compaiono mai.
Il governo dei banchieri, imposto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale Europea, sembra quindi piacere, e molto, anche ai cattolici. Gerarchie comprese.
Al mondo cattolico sembrano quindi sfuggire alcuni aspetti essenziali, etici e politici insieme.
Mario Monti è un banchiere, seppure non in senso stretto. Non è cioè un capitalista della finanza, proprietario di una banca. E' un tecnico dell'economia che gestisce i capitali finanziari e che è strettamente legato ai principali centri mondiali della finanza e delle multinazionali, anche quelli occulti, come testimoniano i suoi ruoli di dirigenza nella Commissione Trilaterale e la sua presenza costante agli incontri del Bildelberg. E' un uomo del grande capitale, che senz'altro condivide il progetto di un unico governo mondiale dell'economia, il quale favorirebbe l'espansione totale, quasi dirigistica, del capitalismo dei consumi e del capitalismo finanziario a tutto il globo, cioè il trionfo completo della globalizzazione.
Ciò renderebbe più rapida la tendenza alla massificazione completa dell'umanità, la distruzione sistematica di tutte le differenze, le tradizioni culturali e le identità collettive, l'omologazione dell'uomo in tutti i punti della terra, lo sradicamento da ogni appartenenza che non sia quella del denaro e della merce. Naturalmente si tratta di un piano folle, perché si bassa sull'implicita convinzione che vi possa essere una crescita infinita in un mondo finito, e questo, con buona pace del grande capitale e dei suoi servi stolti, non è possibile. Quando i cinesi e gli indiani consumeranno come gli occidentali di trenta anni or sono, la partita sarà finita. Ammesso che non finisca prima, data la crisi attuale del capitalismo.
Eppure oggi, dicevamo, la gerarchia ecclesiastica si avvicina pericolosamente ai banchieri, come testimonia il sostegno al governo Monti. La storia sembra ripetersi, seppure su altre basi rispetto all'epoca del Rinascimento. Non sono stavolta il mecenatismo e la grandeur dei papi a propiziare questo legame contro natura, ma l'adesione all'idea di un unico centro di potere mondiale. L'utopia dello Stato mondiale sembra unire le aspirazioni dei banchieri e delle multinazionali a quelle della gerarchia ecclesiastica.
Giovanni XXIII è stato il primo pontefice a profilare la necessità e l'auspicabilità di un unico governo mondiale nell'enciclica “Pacem in terris”(1963). Vi affermava la la necessità di “un'autorità politica con competenze universali”, “in cui il potere, la costituzione e i mezzi d'azione abbiano essi stessi dimensioni mondiali, e che possa esercitare la sua azione su tutta la terra”. Nella stessa enclica Giovanni XXIII sposava l'ideologia dei diritti umani, fino ad allora contestata dalla Chiesa come individualista ed antropocentrica:
“Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948... Su qualche punto particolare della dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve. Non è dubbio però che il documento segni un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale”.
E' quindi per la sua tendenza al mondialismo che la “Dichiarazione dei diritti dell'uomo” viene accetta, seppure con qualche riserva. Su questi temi, Giovanni XXIII potrebbe essere stato influenzato dal suo amico francese Yves Marsaudon, affiliato alla massoneria di rito scozzese e membro della Gran Loggia Nazionale di Francia. La massoneria ha infatti sempre sostenuto con forza l'ideologia dei diritti umani e dell'unificazione politica del mondo. Successivamente, Paolo VI si recò all'ONU il 4 ottobre 1965, per tornarvi nel 1978, pochi mesi prima della morte. Anche Giovanni Paolo II vi si recò due volte, nel 1979 e nel 1995; Benedetto XVI nel 2008.
Si potrebbe discutere se l'ecumenismo spinto (cristiano e interreligioso) di Giovanni Paolo II non abbia prefigurato, nel calderone ecumenico e nelle sue ricadute immigrazioniste, il progetto mondialista. E però nella “Caritas in veritate” (2009) che l'idea dello Stato mondiale viene espressa con altrettanta chiarezza e maggiore approfondimento che nell'enciclica giovannea del 1963. Scrive infatti Benedetto XVI :
“In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana ... così da dare forma di unità e pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio”. E più avanti: “Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è già stata tratteggiata dal mio predecessore, il beato Giovanni XXIII... Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione e che si dia finalmente attuazione a un ordine sociale conforme all'ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle nazioni Unite”.
Il celebre storico Yves Chiron vi ha constatato la scelta politica del mondialismo a causa di una “visione ottimistica ed evoluzionistica del futuro dell'umanità”. Pelagiana, potremmo tradurre in teologia. Anche il grande pensatore cattolico Thomas Molnar, pochi mesi prima di morire constatava amaro: “La Chiesa in questo momento si sta allineando al mondialismo”
Meno di un mese fa, il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, presieduto dal cardinale Renato Martino (noto alle cronache per aver proposto, qualche anno fa, l'istituzione dell'ora di religione islamica nella scuola italiana), ha ancora ripreso l'idea di un'unica autorità planetaria che possa regolare l'economia mondiale. Mario Monti naturalmente, come il Bildelberg club e la Commisione Trilaterale di cui è dirigente, è su questa stessa linea. Negli ultimi anni è stato più volte in Vaticano e si è detto in sintonia con la “Caritas in veritate”, che ha definito “un documento guida tecnico della società”. Ha anche dichiarato: “Non vi è antitesi tra economia ed etica, anzi si basano su principi comuni, su uno stesso sistema di valori”. Agghiacciante. Qualche cardinale avrebbe fatto bene a ricordare a Monti le parole di Cristo: “Nessuno può servire due padroni, o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire due padroni: a Dio e a Mammona.” (Lc16, 13).
Le verità del Vangelo sono aspre per il mondo, tanto più per un mondo dominato dalla merce e dal denaro, dal consumismo, dall'usura e dai mercati quale è il nostro. Più il cattolicesimo si “mondanizza e più difficile diventa ricordarle. Nessuno in compenso può ricordare una sola parola del “cattolico” Mario Monti nei dieci anni in cui è stato commissario europeo (1994-2004) sull' omosessualismo e l'abortismo sponsorizzati dalla UE. Anche questo strano cattolico praticante è un Ponzio Pilato alla Romano Prodi, il “cattolico adulto” che si è sempre svestito della sua fede ogni volta che presiedeva la Commissione europea? Del resto Monti e Prodi hanno diverse cose in comune: sono entrambi tecnici dell'economia, appartengono entrambi alla Commissione Trilaterale e al cub Bildelberg, e sono entrambi consulenti di Goldmann-Sachs. Esattamente come il terzo tecnocrate italiano di rilevo internazionale, quel Mario Draghi che su indicazione del governo Berlusconi ora presiede la Banca Centrale Europea. Anche per Draghi le stesse amicizie e gli stessi legami internazionali: Commissione Trilaterale, Bildelberg, Goldmann-Sachs.
Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa San Paolo, il principale gruppo bancario del Paese, ha lasciato la sua stanza dei bottoni alla Cà de sass di Milano per scendere a Roma come ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture. Ebbene, anche Passera, per il quale i giornali prevedono un brillante futuro politico, è un esponente del gruppo Bildelberg, come è attestato dalla sua presenza alle riunioni degli ultimi anni.
E' evidente che per questi signori a contare è soltanto l'economia. Il loro regno è quello delle banche, delle Borse, dei mercati e della agenzie di rating. Nel mondo che sognano (e che in parte si è già realizzato) non vi è posto per il cristianesimo, se non nel ruolo subalterno di assistenza sociale ai “perdenti” del sistema: barboni, tossicomani, handicappati, extracomunitari senza lavoro. Qualora la Chiesa ricominci a predicare contro Mammona, le verrà tolto il microfono. La stessa cosa vale per la sinistra politica e gli intellettuali laicisti: la Chiesa va bene se concepita come assistenza sociale e agenzia di collocamento dei più sfortunati, va ancora meglio se sponsorizza l'immigrazione, le moschee e i minareti, ma qualora dicesse cose non funzionali all'utopia Benetton del bazar multietnico e multicolor modello Sodoma, la vorrebbero ricacciare nelle catacombe. La Chiesa va bene, purché sia sempre culturalmente subalterna al mondo moderno. Cioè alla destra del denaro, e alla sinistra dell'individualismo assoluto e della pornocrazia egualitaria.
I cattolici non devono essere culturalmente subalterni, ma “il sale della terra”. Non si lascino sedurre dai seguaci di Mammona e dell'usura. E' vero che Berlusconi ha senz'altro dato il suo contributo alla scristianizzazione dell'Italia (che qualcuno ama chiamare “modernizzazione”) con la martellante proposizione, tramite le sue televisioni, di un' “american way of life”edonista e consumista, di un volgare americanismo senza America che dal 1980 in poi, con la nascita di Canale 5, molto ha influito sullo stile di vita della gente comune. Eppure Monti, nonostante la lodevole sobrietà e serietà di vita privata, può essere oggi più pericoloso del grande puttaniere (che comunque, detto per inciso, ha ostacolato leggi contrarie all'etica, come i simil-matrimoni omosessuali). E forse Monti può essere anche peggio della sinistra nichilista, che pure lo appoggia.
Infatti Berlusconi è sempre rimasto escluso dai “salotti buoni” dell'economia e della finanza, e quando Gianni e Umberto Agnelli facevano parte del Bildelberg e della Commissione Trilaterale (nel silenzio assordante del servile giornalismo italiano), Berlusconi doveva accontentarsi della più modesta Loggia massonica P2. Gli Agnelli si consigliavano con Rockfeller e Kissinger, mentre Berlusconi doveva accontentarsi di Licio Gelli e Bettino Craxi. . La stessa cosa vale oggi con Monti, Draghi, Passera ed altri. Questi tecnici e manager rispondono a degli interessi che vanno ben oltre quelli di un'azienda di proprietà come Mediaset. E tanto più vanno oltre a quelli di una sinistra italiana ed europea che è ormai completamente sottomessa alla Nato e al Fondo monetario internazionale (vero, presidente Napolitano?).
La Chiesa (intesa come gerarchia) rifiuti il mondialismo e ricordi la storia: dai papi del Rinascimento a Calvi e Marcinkus, la vicinanza ai banchieri le porta male. Molto male.
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