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sabato 3 dicembre 2011

LA CONTRAPPOSIZIONE FRA DUE CHIESE

ANDREA DALL'ASTA E IL CASO DI REGGIO: LA CONTRAPPOSIZIONE FRA DUE CHIESE


Nicolas Poussin - L'adorazione del vitello d'oro - 1633-36
di Francesco Colafemmina

Padre Andrea Dall'Asta si è autocelebrato dalle pagine dell'Avvenire del 1 dicembre stilando un dettagliato rapporto sul compiuto storpiamento liturgico della cattedrale di Reggio Emilia. Rapporto condito da una lisa retorica e dal solito tentativo ipocrita di supportare le proprie tesi, la propria visione estetica, con l'autorevolezza di qualche esortazione pontificia. 
Nel caso specifico mi hanno molto impressionato le seguenti affermazioni finali del gesuita: 

"L’intervento di Reggio Emilia e il metodo seguito, che ha tenuto conto delle indicazioni magisteriali, costituisce una pietra miliare per il dialogo tra arte e fede e una proposta anche per ripensare il ruolo della committenza della Chiesa di oggi."

Domando: quali sarebbero, caro Dall'Asta, le indicazioni magisteriali seguite nel caso di Reggio Emilia?
Non mi consta che il Sommo Pontefice o i suoi predecessori abbiano promosso a parole e nei fatti la realizzazione di opere talmente indegne e prive del pur minimo anelito spirituale come quelle realizzate a Reggio. Non mi consta, peraltro, che alcun documento pontificio recente o passato stimoli o avalli la realizzazione di codesti abusi che vanno sotto il nome di "adeguamenti liturgici" (sono infatti autorizzati da una mera "nota pastorale" della CEI). Mi consta invece che il Santo Padre abbia autorizzato la celebrazione del rito nella forma straordinaria, sanando così le cesure fra un prima e un dopo nell'edificazione degli spazi liturgici, e abbia promosso nella Sacramentum Caritatis il ritorno alla centralità del tabernacolo, evitando la distruzione o lo smembramento degli altari antichi. Pur non essendo quest'ultimo caso coincidente con la situazione di Reggio, è tuttavia significativo di una linea, di un indirizzo del tutto ignorato dall'episcopato italiano ed anzi vigorosamente calpestato proprio da lei, caro Dall'Asta, autentico artefice di questo grottesco episodio di deturpamento liturgico.

E allora cos'è questa mistificazione del magistero petrino operata da un gesuita sul giornale dei Vescovi italiani? Non è forse un meschino tentativo di generare consenso, di autoincensarsi, di giustificare - in sintesi - una porcata immonda (e le assicuro che le mie parole sono ben ponderate!) addirittura fregiandosi dell'ottemperanza a presunte "indicazioni magisteriali"?

Ma questa affermazione del gesuita - che non mette mai il collarino forse nell'intima convinzione d'apparir più moderno - non è la sola degna di nota:

"Lasciano invece molto perplessi le polemiche dai toni aspri e violenti che hanno accompagnato questo progetto. Si tratta forse della paura di fronte a una Chiesa che dialoga con la modernità e che cerca di proporsi come nuova fonte ispiratrice dell’immaginario individuale e collettivo, come ha saputo fare per tanti secoli? La Chiesa ha sempre comunicato con i linguaggi a lei contemporanei. Occorre superare la tentazione di rifugiarsi nel passato, per vivere oggi il nostro essere missionari, in tutti gli ambiti della vita. L’arte sacra non può essere relegata in un ghetto per pochi ma deve proporsi come luogo di riflessione e di meditazione degli uomini e delle donne di oggi."

No, caro Dall'Asta, non è paura del "dialogo con la modernità", bensì semplice indignazione per il brutto profano inserito nella bellezza del sacro. Non è raro sentir ecclesiastici ripetere castronerie di sì grande portata, ma bisogna confessare che Dall'Asta ha superato con questo commento, in poche righe, le contorsioni dialettiche di un Ravasi o la più desueta oratoria ebbra di "Spirito del Concilio" di un Bettazzi. Credere che le critiche all'adeguamento liturgico di Reggio nascano da una forma di misoneismo o di fobia per il "nuovo" è un modo primitivo e semplicistico di affrontare la questione. Denota insomma un'assenza totale di argomenti.

Questo perché la critica non nasce in una dimensione estetica. Quelle opere saranno sì esteticamente riprovevoli, ma l'estetica ha degli orizzonti limitati in una società dove il relativismo è l'unico paradigma accettabile. La questione è invece tutta di ordine spirituale. Gli uomini e le donne di oggi non vedono nell'arte contemporanea l'unica forma espressiva capace di riflettere "l'oggi" anzitutto perché l'arte contemporanea è quanto di più impopolare si possa immaginare. L'arte contemporanea nasce e vive nell'élite, non ha bisogno del popolo se non quale consumatore distratto di un prodotto di breve durata. Il popolo serve quando si crea l'evento museale di massa (alla Biennale o al Guggenheim), ma il popolo non fruisce un'arte popolare, il cui linguaggio sia oggettivo e orizzontale, bensì partecipa passivamente ad un evento che è autocelebrativo di se stesso e parla solo un linguaggio soggettivo e verticale. Così introdurre l'arte contemporanea nelle chiese non significa certo aprire la Chiesa alla modernità e aiutare i fedeli a ritrovare un'arte nella quale si sentiranno più a loro agio. Al contrario, significa imporre ai fedeli un'arte elitaria e impopolare, pervertendo la loro stessa percezione delle funzionalità dell'arte sacra.

L'arte sacra è catechesi e narrazione - non lo dico io, ma il Catechismo. Due elementi del tutto assenti nel caso della cattedrale di Reggio. E questo perché? Perché il presunto "dialogo con la modernità" si articola attraverso la celebrazione di venerati artisti "contemporanei" e agnostici. Codesti artisti vengono celebrati per la loro fama e per quell'alone di ardimento, di rottura che nel passato ha connotato le loro opere. Le loro opere non sono dunque al servizio della fede, della preghiera, dell'adorazione di Cristo, bensì al servizio di essi stessi. Celebrano l'artista e la sua visione della modernità, il suo linguaggio del tutto personale e... la demenzialità dei committenti ecclesiastici che a loro han fatto ricorso.

Ecco quindi che a Reggio Emilia non viviamo una contrapposizione fra dialoganti e silenti, fra amanti del futuro e residui del passato (d'altronde faccio notare che il sottoscritto non ha nostalgia del passato perché non l'ha mai vissuto avendo solo 30 anni). No, qui si combattono due Chiese: una Chiesa che celebra l'uomo e una Chiesa che vuol continuare ad adorare Cristo Salvatore. La prima è ricca e potente, ha paginate di giornale e grancasse mediatiche, ha il favore del "mondo" e si concede persino il lusso di strumentalizzare il Papa. La seconda non ha grandi mezzi ma almeno parla chiaro. E infine mi sia concesso di affermare che se la prima è sedotta da Satana, la seconda cerca solo la misericordia di Cristo. E a Lui non possiamo che affidarci perché alfine illumini le menti offuscate di ecclesiastici al servizio del mondo come padre Andrea Dall'Asta.

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