1) come una famiglia universale, in grado, dunque, d'inglobare tutti i popoli;
2) come una realtà in cui chi ha responsabilità di vario tipo e genere è in osmosi con i semplici fedeli e sa che deve loro servire.
D'altronde, anche i fedeli contribuiscono, a modo loro, alla coesione della Chiesa e alla sua edificazione. Non certo perché sono solo sorgente di denaro e di vocazioni! Nella piccola Chiesa rappresentata dal monastero, san Bendetto, rifletteva tutt'altra immagine quando esortava l'abate ad ascoltare anche il più umile dei fratelli, dal momento che lo Spirito potrebbe parlare attraverso di lui.
Inoltre, questo stesso principio benedettino risaliva da una mentalità comune con la quale, nei primi secoli, il vescovo era scelto direttamente dal popolo poiché, come diceva sant'Agostino: "Sono vescovo per voi ma cristiano con voi".
Col passare dei secoli, questi due principi si sono molto offuscati.
1) In Oriente il principio d' universalità" si è assai confuso. La Chiesa, per vocazione sopranazionale, è divenuta spesso espressione della nazione e di un'etnia particolare. Esiste, dunque, una Chiesa bulgara, un'altra greca, una terza romena, una quarta russa, una quinta serba e così via. La Chiesa, in questi contesti, è il collante per un'etnia o un gruppo particolare; spesso da l'impressione d'essere come un organismo statale (questo vale sia per le cosiddette Chiese "uniate" sia, a maggior ragione, per quelle ortodosse).
La radice di tutto ciò è rinvenibile nel periodo della turcocrazia quando la Chiesa diventa l'unica depositaria della storia e della cultura d'un popolo, impedendone, quindi, la sparizione. Nel XIX secolo, quest'atteggiamento di tutela etnica è servito per la costituzione dei vari stati balcanici sortiti dalla dissoluzione dell'Impero ottomano. Nonostante una prima condanna dell' etnofiletismo (l'asservimento della Chiesa ad un'etnia particolare), nulla è cambiato.
Nel tempo presente, si constata, soprattutto nella diaspora, chiusure etniche da parte delle chiese orientali: i greci, ad esempio, tendono a curare solo i loro connazionali (con qualche eccezione in cui non è detto che vi sia reale ansia missionaria e, in ogni evenienza, i gerarchi rimangono sempre greci). I romeni curano solo i romeni e se uno di loro si permette d'andare in una parrocchia greca è considerato un "traditore". Traditore di cosa, di grazia, dal momento che il fine principale (e unico!) d' una parrocchia dovrebbe essere l'edificazione della vita cristiana? Ma sappiamo che non è così!
Rebus sic stantibus, è piuttosto difficile notare una collaborazione e un interscambio tra queste Chiese che rimangono, dunque, piuttosto isolate le une dalle altre e tutte assieme nel paese che le ospita. Divengono dei piccoli ghetti (nel caso peggiore "negozi" che si rubano la "clientela") dove si preferisce mettere un prete greco incapace, piuttosto che un degno prete autoctono, come se l'etnia fosse la garanzia suprema per tutto il resto...
Che concetto di Chiesa esse c'infondono? Sembra di sentire le prime comunità paoline, le quali, rivolgendosi all'Apostolo, dicevano: "Siamo di Paolo, siamo di Apollo, siamo di Pietro".
E sappiamo con quale ironia l'apostolo stesso rispondeva loro!
Evidentemente siamo davanti ad una palese distorsione ecclesiologica.
2) Un altro genere di distorsione, non meno pericoloso, è quello che va contro il secondo principio sopra descritto, ossia quando, di fatto, non esiste una reale comunicazione tra chi ha responsabilità in una Chiesa e i fedeli. Per essere più chiaro, mi riferirò ad una notizia giornalistica.
Il 28 novembre 2011, nel web (1) si riporta che la carica di Patriarca di Venezia è ancora vacante e, forse, lo sarà per molto. Il motivo è presto detto: un dissidio tra il segretario di Stato Vaticano e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Entrambi esprimono volontà diverse, desiderano mettere uomini diversi, vogliono equilibri di "potere" diversi espressione della loro persona. Entrambi sembrano detestarsi vicendevolmente. In tutto il lungo articolo, che descrive la frizione tra questi due "grandi", non compare una sola volta il termine "fedeli" o "popolo".
Porre un vescovo in una sede particolare, pare sia, oramai, unicamente una questione di accordi tra potentati ecclesiastici o, forse, anche laici. In tutto questo guazzabuglio sembra scontato (ma non lo è affatto!) che i candidati espressi dai vari partiti siano dei buoni pastori.
Porre un vescovo in una sede particolare, pare sia, oramai, unicamente una questione di accordi tra potentati ecclesiastici o, forse, anche laici. In tutto questo guazzabuglio sembra scontato (ma non lo è affatto!) che i candidati espressi dai vari partiti siano dei buoni pastori.
Penso, piuttosto, che siano delle buone pedine per chi li metterà. E mentre nelle "sfere celesti" avvengono "mistiche lotte" per stabilire una carica episcopale, in terra la gente osserva allibita e piuttosto infastidita, tutte queste misere beghe di potere.
Ci troviamo, evidentemente, in un'altra distorsione.
In conclusione:
Se la prima distorsione sopra esaminata, contrae il respiro della Chiesa orizzontalmente, quest'ultima lo contrae verticalmente.
In conclusione:
Se la prima distorsione sopra esaminata, contrae il respiro della Chiesa orizzontalmente, quest'ultima lo contrae verticalmente.
Rimane sempre la liturgia tradizionale, testimone perenne, a mostrarci un'immagine di Chiesa che, spesso, non è come quella che ci troviamo ogni giorno sotto gli occhi. Quello che spesso vediamo, infatti, tende ad essere un prodotto decaduto, un sale che non sala più niente e nessuno.
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1) http://www.repubblica.it/rubriche/il-monsignore/2011/11/28/news/il_nuovo_scontro_bertone-bagnasco_sul_patriarca_di_venezia- 25744955/
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