ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 4 gennaio 2012

Seconda fase 'mondialista' della svolta giudeo-cristianizzante.


Vi invito a leggere il recente articolo di Don Curzio Nitoglia: 2011. Seconda fase 'mondialista' della svolta giudeo-cristianizzante. Il testo integrale è leggibile dal link. Di seguito pubblico l'Abstract che condensa i punti salienti della trattazione, ed un estratto significativo, che già ci consentono la visione d'insieme e le chiavi di lettura della situazione che stiamo vivendo a livello economico, politico, culturale e religioso, nell'evidente consapevolezza che i vari ambiti del vivere civile sono strettamente interconnessi col versante spirituale.

Giovanni Paolo II nel Messaggio per la giornata della Pace del gennaio 1980 aveva iniziato a gettare esplicitamente le basi della costruzione del Nuovo Ordine Mondiale dicendo:
«Fare la verità significa pure avere il coraggio di prevedere l'avvenire: prendere in considerazione le nuove aspirazioni, compatibili con il bene, che sorgono negli individui e nei popoli con il progresso della cultura, al fine di adattare le istituzioni nazionali e internazionali alla realtà di una umanità in cammino.Un campo immenso, dunque, si apre ai responsabili degli Stati e alle Istituzioni Internazionali per costruire un nuovo ordine mondiale più giusto, fondato sulla verità dell'uomo, basato su una giusta ripartizione sia delle ricchezze, che dei poteri e delle responsabilità.»
Nel Discorso al Corpo diplomatico, 10 gennaio 2000, Giovanni Paolo II afferma:
«6. Si è parlato molto in questi ultimi anni di un “nuovo ordine mondiale”. Numerose meritevoli iniziative sono da attribuirsi all’azione perseverante di diplomatici saggi, e in particolare alla diplomazia multilaterale, per far emergere una vera “comunità di Nazioni”. [...] Tutto questo indica una certa volontà di edificare un mondo fondato sulla fraternità, per stabilire, proteggere ed estendere la pace intorno a noi.»
[la pace con la minuscola e senza Cristo come fondamento non è la vera Pace che solo il Signore, il Principe della Pace, e non il mondo può dare. Non esplicitarlo, significa venir meno alla propria funzione, anche se in altra parte del discorso afferma, riferendosi ai cattolici e al loro impegno nella politica e nella società: «La loro fede, speranza e carità costituiscono delle energie supplementari e insostituibili perché non soltanto non manchino mai la cura dell’altro, il senso della responsabilità e la tutela delle libertà fondamentali, ma anche per far percepire che il mondo come pure la nostra storia personale e collettiva sono abitati da una Presenza.» -ndR]
Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate n. 67 (200*) ha iniziato a mettere in pratica il disegno pubblico del suo predecessore. Infatti ha scritto:
“Per il governo dell’economia mondiale, per risanare le economie colpite dalla crisi, […] urge la presenza di una vera Autorità Politica Mondiale”.
Il 24 ottobre del 2011 il Documento del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace a nome di Benedetto XVI ha auspicato la creazione di una Banca Centrale Mondiale scrivendo:
“Esistono le condizioni per il definitivo superamento di un ordine internazionale nel quale gli Stati sentono la necessità della cooperazione. […]. Certo, questa trasformazione si farà al prezzo di un trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni nazionali ad un’Autorità Mondiale”. 
Il 13 dicembre 2011 l’Agenzia Sir ha riportato che il rabbino capo delle ‘Congregazioni Ebraiche Unite’ del Commonwealth Jonathan Saks la sera precedente (12 dicembre) era stato ricevuto in privato da Benedetto XVI e poi in pubblico presso l’Università Gregoriana ha esposto il piano concreto di una nuova forma di partenariato tra cristiani ed ebrei per “un’etica economica fondata sulle radici ebraico-cristiane”. In breve egli ha preso atto che la prima svolta ebraico-cristiana ha avuto luogo durante il Concilio Vaticano II e il primo post-concilio, ma essa era solo una svolta teologica; ora si tratta di operare una nuova e definitiva svolta pratica, politico-finanziaria simile a quella che hanno messo in atto i “leader politici d’Europa per cercare di salvare l’euro”. Il rabbino ha detto che dopo il Vaticano II è giunta l’ora di “iniziare un nuovo capitolo nelle relazioni ebraico-cristiane”. Dalle relazioni teologiche “faccia a faccia” occorre passare alle relazioni pratiche politico-finanziare “fianco a fianco”. Egli ha auspicato, rifacendosi a Benedetto XVI, che ebrei e cristiani possano essere “assieme” una “minoranza creativa” di un Nuovo Ordine Mondiale contro le forze radicalmente e aggressivamente secolarizzanti.

Come si vede (“contro il fatto non vale l’argomento”) siamo in piena seconda fase o all’inizio della realizzazione del mondialismo. Dove ci porterà questa seconda tappa? Solo Dio lo sa con certezza. Tuttavia si può ricorrere a qualche autore, che aveva studiato e previsto il problema. Uno (Orwell) l’ho citato all’inizio, un altro (Benson) lo cito adesso. Dalla shoah al mondialismo realizzato: G. H. Benson, Il padrone del mondo: «siamo quasi perduti e ci stiamo dirigendo verso una catastrofe alla quale dobbiamo essere preparati […] finché non tornerà il Signore» (Milano, Jaca Book, 2008, p. 12).
[...]

La globalizzazione religiosa o il ‘Tempio universale’.

Prima del Vaticano II la distinzione e contrapposizione tra Cristianesimo (che crede nella divinità di Gesù e nella SS. Trinità) e Giudaismo talmudico o post-biblico (che nega la divinità di Cristo e la Trinità) era pacifica. Tanto per rifarci ai Documenti pontifici più recenti, nell’Atto di Consacrazione al S. Cuore di Gesù scritto da Leone XIII (1900) e reso, per ordine di Pio XI, obbligatorio nella Festa di Cristo Re (1925), da parte dei sacerdoti si legge: “Siate Re di tutti quelli che sono ancora avvolti nelle tenebre dell’idolatria o dell’islamismo […]. Riguardate con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto: scenda anche sopra di loro […] il Sangue già sopra di essi invocato”. Questa preghiera era letta nella Chiesa universale sino al 1962. D’altro canto Pio XI nell’enciclica Mit brennender Sorge del 1937 ha scritto: “Il Verbo avrebbe preso carne da un popolo che poi Lo avrebbe confitto in croce”. Questa era la dottrina comune della Chiesa, contenuta nelle fonti della Rivelazione (Tradizione e Scrittura) ed insegnata costantemente dal Magistero pontificio (v. Le Bolle dei Papi sul giudaismo in questo stesso sito). Purtroppo la distinzione non solo pian piano si è affievolita (con Giovanni XXIII, 1958-1963), ma è stata ribaltata con Nostra aetate di Paolo VI (1965) e dall’insegnamento di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Così che dalla distinzione si è passati alla confusione e alla omologazione dottrinale e teologica degli opposti (Cristo e anti-cristi).

Tuttavia restava un passo ulteriore da compiere e lo vedremo per esteso nella seconda parte dell’articolo. Dopo la livellazione dottrinale oramai compiuta, bisognava giungere a quella pratica (“vale più la pratica che la grammatica”): specialmente politica (Stato d’Israele, 1948-1993), economico-finanziaria (crisi del Dollaro e dell’Euro). A partire dal 2001 sino al 2011 abbiamo assistito al costante e progressivo innalzamento (quasi mascherato e non esplicitamente sbandierato) della “Torre di Babele” del ‘Nuovo Ordine Mondiale’ con una ‘Repubblica Universale’ (Usa/Israele) e un ‘Tempio Universale’ (Assisi I-III, 1986-2001). Proprio in questi ultimi mesi si parla apertamente ed esplicitamente di una seconda fase dell’azione (non più dei colloqui) ebraico-cristiana, che deve preludere ad un Nuovo Ordine Mondiale economico/politico, il tutto alla luce della shoah e di Nostra aetate, che sono correlative come padre e figlio.

Il 26 gennaio 2011 su Avvenire (il quotidiano della “Conferenza Episcopale Italiana”), è apparso un articolo della professoressa israelita Anna Foa intitolato “Nel dopoguerra la vera svolta nella teologia” in cui si legge:
«Non vi è dubbio che il mutamento dei rapporti tra Chiesa ed ebraismo verificatosi con il Concilio Vaticano II e con la dichiarazione Nostra aetate abbia avuto le sue radici nel trauma della shoah. […]. Nostra aetate fu una svolta radicale, […] che aprì la strada ad una vera e propria rivisitazione teologica del rapporto con l’ebraismo, destinata ad approfondirsi […], introducendo l’idea, per dirla con Giovanni Paolo II nella sua visita in sinagoga del 1986, che la religione ebraica non fosse “estrinseca” ma in un certo qual modo “intrinseca” alla religione cristiana. La presa di coscienza determinata dallo sterminio di sei milioni di ebrei aveva così modificato in profondità non solo i rapporti tra ebrei e cristiani, ma le basi teologiche stesse su cui tali rapporti si fondavano» (p. 26). [vedi riflessioni in questo testo - e qui]
Sempre sul medesimo quotidiano, lo stesso giorno e nella stessa pagina, un articolo del Priore di Bose Enzo Bianchi “Intorno al Concilio la convergenza tra le Fedi” ci spiega che
«la svolta storica cui abbiamo assistito in questi ultimi cinquanta anni, svolta cui non è stata certo estranea la tragedia del “male assoluto”» è talmente epocale che «nessun cristiano potrà più invocare l’ignoranza a propria scusante: ciascuno è e sarà responsabile in prima persona di una conferma o di una contraddizione a questa svolta».
Il povero mons. Richard Williamson (paragonabile al personaggio principale del romanzo di Orwell, Winston Smith, definito “l’unico uomo libero in Europa”) ne aveva già fatto l’esperienza (“torturato” dalla “clero-polizia”) per aver osato opinare, nell’ottobre del 2008, che la “tragedia del male assoluto” non gode di tutte quelle prove storico-scientifiche di cui avrebbe bisogno per imporsi come super-dogma, il quale non ammette ignoranza e che non è lecito né contraddire né ignorare.

Inoltre Bianchi continua: «Giovanni Paolo II […], il 17 novembre 1980 a Magonza pronuncia una formula inedita, anzi contraddittoria a diciannove secoli di esegesi e teologia cristiana, in cui gli ebrei sono definiti “il popolo di Dio dell’Antica Alleanza che non è stata mai revocata”. […]. Si può notare la novità e l’audacia rispetto a tutto il magistero ecclesiastico precedente. […]. La teologia della sostituzione è così abbandonata per sempre». L’ermeneutica della rottura trova così spazio sulle pagine del quotidiano dell’Episcopato Italiano, il cui Primate è il Papa, che, però, sostiene, ma non dimostra[1], l’ermeneutica della continuità.
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(1) B. Gherardini, Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, 2009.
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2012/01/2011-seconda-fase-mondialista-della.html

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