di Rino Cammilleri
06-03-2012
Da qualche tempo sulla pagina ufficiale della Diocesi di Pescara spuntano editoriali e articoli da terzapagina atti a dividere anziché unire. Uso questo slogan progressista a proposito, perché i due scritti che ho sottomano sembrano proprio contraddire la loro stessa filosofia di fondo. Infatti, risulta che diversi sacerdoti della medesima diocesi abbiano protestato con chi di dovere ma senza alcun effetto, neanche l’apertura di un dibattito sulla stessa pagina. Così che non si capisce se il capodiocesi condivide quel che nei summenzionati articoli si sostiene o se ama il quieto vivere.
Ricordo, molti anni fa, un articolo da me pubblicato sul settimanale diocesano della città in cui risiedevo: avanzavo qualche perplessità sulla donazione di organi a cuore battente (dunque, da persona viva) e fui subissato, nel numero seguente, da un gruppo di giovani cappellani appartenenti a quel genere di preti cui la sola parola «dono» produce orgasmi. Il direttore (un canonico) mi chiamò e mi disse chiaro che lui non amava essere trascinato in polemiche. Così non potei rispondere e il clero favorevole all’espianto-sempre-e-comunque poté imperversare a suo piacimento. Il risultato, nella testa dei lettori, fu che la posizione della Chiesa era la loro (erano preti…), mentre la Chiesa non aveva ancora aperto bocca sull’argomento. Che è ancora oggi controverso.
Tornando a «La Porzione» (il giornale online della diocesi pescarese), leggo il 24 gennaio u.s. un editoriale di Simone Chiappetta intitolato «La rabbia dei “cristiani”», nel quale campeggiano frasi come questa: «Penso alle “scomuniche” per la messa in scena de “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio”, che tanto hanno fatto pubblicità a Castellucci e all’occasione persa, sgranando rosari, per andare oltre la realista “offesa” e capire la solitudine e l’inquietudine di un uomo senza fede». E questa: «Penso al “family day”, ostentazione di un valore nel quale assolutamente credo, sceso in piazza a grandi numeri e a suon di rabbia per la minaccia di un Di.Co e tornato nel silenzio delle case a fine pericolo. Penso alla “difesa” dei crocifissi sgangherati nelle aule scolastiche italiane». Il resto dell’editoriale (ricordo ai non addetti ai lavori che chiamasi editoriale l’articolo più importante della prima pagina, perché solitamente rispecchia la “linea” del giornale stesso) è in stile. Insomma, il solito refrain: il cristiano deve porgere l’altra guancia, comprendere, giustificare, usare misericordia e mai giustizia. Noi apologeti, che combattiamo contro idee, non saremmo caritatevoli ma “cristiani” con le virgolette perché non abbiamo compassione per «la solitudine e l’inquietudine di un uomo senza fede».
Di solito il progressista è irenico, ama del cristianesimo solo la morale francescana e (prete o laico che sia) vuole imporla a tutti, bacchettando gli altri “cristiani”. Anche i giacobini volevano trasformare il mondo in un monastero «virtuoso» (Robespierre non era forse l’«incorruttibile»?), poi si accorsero che le idee non esistono: esistono uomini che portano avanti certe idee e non si può contrastare le une senza almeno redarguire gli altri.
L’editoriale in questione segue un lenzuolo (chiamasi lenzuolo un lunghissimo articolo contenente opinioni o commenti) del 18 gennaio precedente («”Cristianofobia”: la trappola», di Giovanni Marcotullio) di cui offro un florilegio: 1) «l’idea stessa di coniare un concetto come quello di “cristianofobia” è la più malsana e malaccorta delle perversioni»; 2) «Il vero scandalo, quindi, è che dei sedicenti cristiani abbiano dimenticato che la persecuzione è un elemento quasi-strutturale del cristianesimo»; 3) «bisogna riconoscere che la superficialità della formazione di non pochi di loro dà luogo a simili voraginose amnesie circa il cuore della loro missione»; 4) : «si tratta di parole piagnucolose e risentite, ma soprattutto (…) sono concetti rivendicanti una pariteticità cui il cristianesimo, dietro al suo Fondatore, ha rinunciato»; 5) «prima di preoccuparsi di come reagire alla persecuzione, bisogna preoccuparsi di restare cristiani».
Come si vede l’autore è di quelli che amano insegnare agli altri cristiani il «vero» cristianesimo. Ed è «doloroso», per lui, «vedere come le voci moderate e intelligenti siano quasi assenti». Quasi; per fortuna c’è lui. Il quale, bontà sua, ci spiega che «i cristiani non devono chiedere che un teatro, un sindaco, un governatore, uno Stato intervengano a far giustizia per loro: nessuno muoverà un dito, e se lo facessero isterilirebbero la loro fecondità evangelica». Insomma, nemmeno il papa ha capito niente, visto che chiede –e da un sacco di tempo- proprio «giustizia» per i cristiani perseguitati in tutto il mondo, e tutti i vescovi con lui.
Questa del martirio quale forma più «vera» di cristianesimo è un’eresia e si chiama Montanismo, già condannato millenni fa. Non a caso Tertulliano finì montanista. Era lui infatti a sostenere che «il sangue dei martiri è seme di cristiani»: se non ci fosse stato Costantino il cristianesimo si sarebbe estinto per sterminio; il cristianesimo fiorentissimo dell’Africa romana scomparve per mano islamica e per sempre; lo stesso dicasi per l’Asia. Potrei continuare con gli esempi storici e perfino di cronaca contemporanea. E rimandare al mittente «le voraginose amnesie» (ammàppelo, che arcadia!). Ma, solo, mi chiedo: se uno ci tiene tanto, al martirio, perché non si accomoda per primo? Meglio: da solo.
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-pescara-a-qualcunonon-piace-lapologetica-4709.htm
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