Riteniamo
che non sia sfuggito a nessuno dei santi vescovi, che i modernisti, la
maliziosissima categoria d'uomini che avevamo smascherato per loro nella
Lettera enciclica Pascendi Dominici Gregis, non si sono astenuti dai
propositi di turbare la pace della Chiesa. Infatti hanno continuato ad
adescare nuovi seguaci e a farli associare mediante un’alleanza segreta,
e con essi ad inoculare nelle vene del cristianesimo il virus delle
loro opinioni, pubblicando, anonimamente o sotto pseudonimi, libri ed
articoli. Se, riletta la summenzionata Nostra Lettera, si considera con
più attenzione lo sviluppo di quest'audacia, per mezzo della quale Ci è
arrecato tanto dolore, apparirà chiaramente che uomini di tale condotta
non sono altro che quelli che abbiamo già descritto là, nemici tanto più
temibili quanto più sono vicini; i quali abusano del loro ministero per
porre sull'amo un'esca avvelenata con cui corrompere gli sprovveduti,
divulgando un'apparenza di dottrina, in cui è contenuta la somma di tutti gli errori.
«Perciò vi preghiamo e scongiuriamo che, in una
questione di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la
vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed
aspettiamo da voi, lo chiediamo e lo aspettiamo anche dagli altri
pastori d'anime, dagli educatori e maestri del giovane clero, e
specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.
I.Per ciò che riguarda gli studi, vogliamo e
decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la
filosofia scolastica. Bene inteso che, "se dai Dottori scolastici
qualcosa fu ricercato troppo sottilmente o trattato con poca
avvedutezza; se fu detta cosa poco coerente con dottrine accertate dei
secoli seguenti, o in qualsiasi modo non ammissibile; non è nostra
intenzione che tutto ciò sia proposto come esempio da imitare anche ai
nostri giorni" (Leone XIII, Enc. "Æterni Patris").
Ciò che conta anzitutto è che come filosofia
scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si deve precipuamente
intendere quella di San Tommaso d'Aquino: intorno alla quale tutto ciò
che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno
vigore e, se necessario, lo rinnoviamo e confermiamo, e ordiniamo
severamente che sia da tutti osservato. Se nei Seminari ciò si è
trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in futuro si
osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi.
Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi che il
discostarsi dall'Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene
senza grave danno. Un errore piccolo in principio, così si possono
utilizzare proprio le parole dell'Aquinate stesso, è grande alla fine.
(De Ente et Essentia, proem.)
Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi
con somma diligenza l'edificio teologico. Venerabili Fratelli,
promuovete con ogni sforzo possibile lo studio della teologia, affinché i
chierici, uscendo dai Seminari, ne portino con sé un'alta stima ed un
grande amore e l'abbiano sempre carissimo. Infatti "nella grande e
molteplice abbondanza di discipline che si porgono alla mente assetata
di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene il primo
posto, tanto che fu antico detto dei sapienti, che è dovere delle altre
scienze ed arti di servirla ed aiutarla come ancelle" (Leone XIII, Lett.
Ap. "In magna", 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, che Ci sembrano
degni di lode anche coloro che, mantenendo intatto il rispetto alla
Tradizione, ai Padri e al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e
utilizzando le norme cattoliche (cosa che non è da tutti) cercano di
illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia. Alla
teologia positiva deve ora darsi più larga parte che in passato: ciò
nondimeno deve farsi in modo tale che la teologia scolastica non ne
venga a perdere nulla, e si disapprovino quali fautori del modernismo
coloro che innalzano tanto la teologia positiva da sembrar quasi
spregiare la Scolastica.
In quanto alle discipline profane basti richiamare
quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz.
"Pergratus Nobis" 7 marzo 1880): "Adoperatevi strenuamente nello studio
delle scienze naturali, nel cui campo gli ingegnosi ritrovati e gli
utili ardimenti dei nostri tempi sono, a ragione, ammirati dai
contemporanei, cosi come avranno perpetua lode ed encomio dai posteri".
Questo però senza danno degli studi sacri: cosa di cui ammoniva lo
stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc.
cit.): "Ad una ricerca più attenta, si comprenderà come la causa di
simili errori stia principalmente nel fatto che in questi nostri tempi,
quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più vengono
meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste, infatti,
sono quasi cadute in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e
con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della
primitiva dignità, sono inficiate da opinioni sbagliate e da enormi
errori". Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli
studi delle scienze naturali.
II. A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro
Predecessore occorre volgere l'attenzione ogni qual volta si tratti di
scegliere i rettori e gli insegnanti dei Seminari e delle Università
cattoliche. Chiunque in alcun modo sia contaminato da modernismo, sia
tenuto lontano senza riguardi di sorta sia dall'incarico di reggere sia
da quello d'insegnare: se già si trova con tale incarico, ne sia
rimosso: si faccia lo stesso con coloro che in segreto o apertamente
favoriscono il modernismo, o lodando modernisti e giustificando la loro
colpa, o criticando la Scolastica, i Padri e il Magistero ecclesiastico,
o ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da chiunque essa sia
rappresentata; lo stesso con chi in materia storica, archeologica e
biblica si mostri amante di novità; e infine, con quelli che non si
curano degli studi sacri o paiono anteporre a questi i profani. In
questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei
maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; dato
che sull'esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati
dunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con
prudenza sì, ma con fortezza.
Con pari vigilanza e severità dovrete esaminare e
scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero
l'amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e
arroganti! A nessuno in futuro si conceda la laurea in teologia o in
diritto canonico, se non ha prima completato per intero il corso
stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò nonostante venisse
concessa, sia nulla. Le disposizioni che la Sacra Congregazione dei
Vescovi e Regolari emanò, nell'anno 1896, per i chierici d'Italia
secolari e regolari, circa il frequentare le Università, stabiliamo che
d'ora innanzi siano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti
iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno
seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre
negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo
ciò si è permesso per il passato, ordiniamo che non si conceda più
nell'avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di tali
cattolici Istituti o Università veglino con ogni cura perché questi
Nostri comandi vi si osservino costantemente.
III. È parimenti compito dei Vescovi impedire che
vengano letti gli scritti modernisti, o che sanno di modernismo, se già
pubblicati, o, se non lo sono ancora, proibire che si pubblichino. Non
si dovrà mai permettere alcun libro o giornale o periodico di tal genere
né agli alunni dei Seminari né agli uditori delle Università
cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello
delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne verrebbe
viziata la radice stessa del vivere cristiano. Lo stesso si dovrà
giudicare degli scritti di taluni cattolici, uomini del resto di non
malvagie intenzioni, ma che, digiuni di studi teologici e imbevuti di
filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla
servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la
buona fama degli autori fanno sì che tali libri siano letti senza alcun
timore e risultino quindi più pericolosi, attraendo al modernismo a poco
a poco.
Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più
generali in materia tanto grave, se nelle vostre diocesi sono in vendita
libri dannosi, adoperatevi con forza a bandirli, facendo anche uso di
solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica si adoperi in ogni modo
per togliere di mezzo simili scritti, ormai ne è tanto cresciuto il
numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che
la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè, per il troppo
attendere, il male ha già preso piede. Vogliamo dunque che i Vescovi,
deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, trascurando
lo strepito dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, facciano
ciascuno la sua parte; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella
Costituzione Apostolica "Officiorum": "Gli Ordinari, anche come Delegati
della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle
mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle
proprie diocesi". Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma
s'impone al contempo un dovere. E nessuno reputi di aver adempiuto a
tale dovere se ha deferito a Noi l'uno o l'altro libro, mentre
moltissimi altri si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve
trattenere, Venerabili Fratelli, il sapere che l'autore di qualche libro
abbia ottenuto altrove la facoltà comunemente detta Imprimatur; sia
perché tale concessione può essere simulata, sia perché può essere stata
fatta per trascuratezza o per troppa benignità e troppa fiducia
nell'autore, caso questo che può talora avverarsi negli Ordini
religiosi. Si aggiunga che, come non ogni cibo si confà a tutti
egualmente, così un libro che in un luogo sarà indifferente, in un
altro, per le circostanze, può risultare nocivo. Se pertanto il Vescovo,
udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella
sua diocesi anche qualcuno di tali libri, gliene diamo ampia facoltà,
anzi gliene facciamo un dovere. La cosa sia fatta convenientemente,
restringendo la proibizione soltanto al clero, se questo basta; ma in
tal caso sarà obbligo dei librai cattolici non porre in vendita i libri
condannati dal Vescovo. E dal momento che Siamo in argomento, i Vescovi
vigilino che i librai, per bramosia di lucro, non spaccino merce
malsana: è certo che nei cataloghi di alcuni di essi vengono proposti di
frequente, e con non poca lode, i libri dei modernisti. Se essi
rifiutano di obbedire, i Vescovi non esitino a privarli del titolo di
librai cattolici; tanto più, se avranno quello di vescovili; e se
avessero titolo di pontifici, siano deferiti alla Sede Apostolica. A
tutti infine ricordiamo l'articolo XXVI della menzionata Costituzione
Apostolica "Officiorum": "Tutti coloro che abbiano ottenuto facoltà
apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono per questo
autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali,
se nell'indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e
ritenere libri condannati da chiunque".
IV. Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei
libri cattivi; occorre anche impedirne la stampa. Quindi i Vescovi non
concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è
grande il numero delle pubblicazioni, che, secondo la Costituzione
"Officiorum", esigono l'autorizzazione dell'Ordinario, e il Vescovo non
le può revisionare tutte da solo, in talune diocesi si sogliono
determinare in numero adeguato censori d’ufficio per l'esame degli
scritti. Somma lode noi diamo a tale istituzione di censura; e non solo
esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. Dunque in
tutte le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli
scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall'uno e dall'altro clero,
uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano
tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l'esame di tutto quello che,
secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di
permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua
sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa
con la parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dalla formula
Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non
diversamente che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio.
L'elezione dei medesimi, una volta interpellato il Cardinale Vicario e
coll'assenso ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al
Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare
per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di
stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale
Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il
Nulla osta col nome del Censore. Solo in circostanze straordinarie e
molto di rado si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la
menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del
Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il
Censore stesso non abbia a patir molestia mentre esamina lo scritto o in
caso che ne disapprovi la stampa. Non si sceglieranno mai Censori dagli
Ordini religiosi, senza prima aver sentito segretamente il parere del
Superiore provinciale: questo dovrà secondo coscienza attestare dei
costumi, della scienza e della integrità della dottrina del candidato.
Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di
non permettere mai che alcunché sia pubblicato dai loro sottoposti
senza la previa facoltà loro e dell'Ordinario diocesano. Per ultimo
affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia
insignito, non ha alcun valore né mai si potrà arrecare come argomento
per dar credito alle private opinioni del medesimo.
Detto ciò in generale, ordiniamo espressamente
un'osservanza più diligente di quanto si prescrive nell'articolo XLII
della citata Costituzione "Officiorum", cioè: "È vietato ai sacerdoti
secolari, senza previo permesso dell'Ordinario, assumere la direzione di
giornali o di periodici". Del quale permesso, dopo ammonizione, sarà
privato chiunque ne facesse cattivo uso. Circa quei sacerdoti, che hanno
titoli di corrispondenti o collaboratori, poiché avviene non raramente
che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti da
modernismo, vedano i Vescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse,
ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso ammoniamo con
ogni autorità che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: e se
questi si mostrassero in ciò trascurati, provvedano i Vescovi, con
autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati
dai cattolici abbiano, per quanto sia possibile, un Censore
determinato. Sarà obbligo di questo leggere integralmente e con
attenzione i singoli fogli o fascicoli, dopo che sono stati pubblicati:
se troverà qualcosa di pericoloso, ordinerà che sia corretto nel foglio o
fascicolo successivo. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche nel caso
in cui il Censore non abbia reclamato.
V. Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici
convegni, in cui i modernisti si adoprano di propalare e propagare le
loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in
casi rarissimi, i congressi di sacerdoti. Se avverrà che li permettano,
lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di
pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano
proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non
vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di
presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno permettersi
solo di volta in volta e per iscritto e al momento adatto, non potrà
intervenire alcun sacerdote di altra diocesi, se non porta una lettera
di raccomandazione del proprio Vescovo. A tutti i sacerdoti poi non
passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime
(Lett. Enc. "Nobilissima Gallorum", 10 febbraio 1884): "Sia intangibile
presso i sacerdoti l'autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il
ministero sacerdotale, se non si esercita sotto la direzione del
Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile".
VI. Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i
Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osserveranno a dovere
e con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso espediente
estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell'Umbria (Atti del
Congr. dei Vescovi dell'Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni
or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: "Per estirpare
- così essi dicono - gli errori già diffusi e per impedire che si
diffondano ulteriormente, o che rimangano ancora maestri di empietà,
attraverso i quali si perpetuano i perniciosi effetti originati da
quella diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo
Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di
uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti controllare se e con
quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e informarne il
Vescovo, così che questi, raccolti i suggerimenti, possa prendere rimedi
estinguendo il male già sul nascere, senza lasciare che si diffonda
sempre più a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si rafforzi e
cresca col passar del tempo". Stabiliamo dunque che un siffatto
Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in
tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno con le stesse norme
già prescritte per i Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno
determinato, si radunerà in presenza del Vescovo: le cose trattate o
stabilite saranno sottoposte a legge di segreto. I doveri degli
appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione
gli indizi di modernismo tanto nei libri che nell'insegnamento; con
prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è necessario per
l’incolumità del clero e della gioventù. Combattano le novità di parole,
e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII (S. C. AA. EE. SS., 27
gennaio 1901): "Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche
un linguaggio che, ispirandosi a malsana novità, sembrasse deridere la
pietà dei fedeli ed accennasse a un nuovo ordinamento della vita
cristiana, a nuove prescrizioni della Chiesa, a nuove necessità
dell'anima moderna, a nuova vocazione sociale del clero, a nuova civiltà
cristiana, e molte altre cose di questo genere". Non sopportino tutto
questo, né nei libri né dalle cattedre. Non trascurino i libri nei quali
si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre
Reliquie. Non permettano che tali questioni si agitino nei giornali o in
periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioni che
sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni definitive
specialmente, come il più delle volte accade, quando ciò che si afferma o
non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate
opinioni. Circa le sacre Reliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi,
i quali sono i soli giudici in questa materia, sanno con certezza che
una reliquia è falsa, la toglieranno senz'altro dal culto dei fedeli. Se
le autentiche di una Reliquia qualsiasi sono andate smarrite o per i
disordini civili o in altro modo, essa non si esponga alla pubblica
venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione.
L'argomento di prescrizione o di fondata presunzione avrà valore solo
quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al
decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre
Reliquie, in questi termini: "Le Reliquie antiche sono da conservarsi
nella venerazione che finora ebbero, salvo nel caso particolare in cui
si abbiano argomenti certi che sono false o supposte". Nel portar poi
giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in
questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali
tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa
la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non
per questo ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si
creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra
Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent'anni addietro (Decreto 2
maggio 1877): "Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né
approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da
piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui
godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti". Nessun timore
può ammettere chi a questa regola si tenga. Infatti il culto di
qualsiasi apparizione, quando riguarda il fatto stesso ed è detto
relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto:
quando invece è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si
dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale
delle Reliquie. Diamo mandato infine al Consiglio di vigilanza, di tener
d'occhio assiduamente e diligentemente gl'istituti sociali come pure
gli scritti di questioni sociali affinché non vi si celi nulla di
modernista, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.
VII. Affinché le cose fin qui stabilite non vadano in
dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi,
trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poi ogni
triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede
Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che
corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti
cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall'autorità
dell'Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini
religiosi a riguardo dei loro sottoposti».
A queste cose, che chiaramente confermiamo tutte,
pena un peso sulla coscienza per coloro che avranno rifiutato di
ascoltare quanto detto, ne aggiungiamo altre, che sono specificamente
riferite agli aspiranti sacerdoti che vivono nei Seminari e ai novizi
degli istituti religiosi.
- Nei Seminari certamente occorre che tutte le parti
dell'istituzione tendano al medesimo fine di formare un sacerdote degno
di tale nome. Ed infatti non si può ritenere che simili tirocini si
estendano solamente o agli studi o alla pietà. L'ammaestramento fonde in
un tutto unico entrambi gli aspetti, ed essi sono simili a palestre
finalizzate a formare la sacra milizia di Cristo con una preparazione
duratura. Dunque affinché da essi esca un esercito ottimamente istruito,
sono assolutamente necessarie due cose, la cultura per l’istruzione
della mente, la virtù per la perfezione dell'anima. L'una richiede che
la gioventù che si prepara al sacerdozio sia massimamente istruita in
quelle scienze che hanno un legame più stretto con gli studi delle cose
divine; l'altra esige una straordinaria eccellenza di virtù e di
costanza. Vedano dunque i rettori quale aspettativa di disciplina e di
pietà si possa nutrire riguardo agli allievi, e scrutino quale sia
l'indole dei singoli; se seguono il loro istinto più giusto o se
sembrano abbracciare delle disposizioni di spirito profane; se sono
docili nell'obbedire, inclini alla pietà, umili, osservanti della
disciplina; se aspirano alla dignità di sacerdote perché si sono
prefissati il giusto obiettivo, o perché spinti da ragioni umane; se,
infine, sono adeguatamente ricchi di santità di vita e di cultura; o se,
mancando loro qualcosa di queste, si sforzano almeno di acquisirla con
animo sincero e pronto. Né l'indagine presenta troppa difficoltà;
giacché i doveri religiosi compiuti lamentandosi, e la disciplina
osservata a causa del timore e non della voce della coscienza, rivelano
immediatamente la mancanza delle virtù che ho elencato. Colui che tiene
come principio il timore servile, o si infiacchisce per debolezza di
carattere o disprezzo, è quanto mai lontano dalla speranza di poter
esercitare santamente il sacerdozio. Infatti difficilmente si può
credere che uno che disprezza le discipline domestiche non verrà poi
meno alle leggi pubbliche della Chiesa. Se il rettore della scuola avrà
individuato qualcuno con questa disposizione d’animo, e se, dopo averlo
ammonito più volte, fatta una prova di un anno, avrà capito che quello
non desiste dalla sua consuetudine, lo espella, in modo tale che in
futuro non possa più essere accettato né da lui né da alcun vescovo.
Dunque per promuovere i chierici si richiedano
assolutamente queste due; l'onestà di vita unita alla sana dottrina: E
non sfugga che quei precetti e moniti coi quali i vescovi si rivolgono a
coloro che stanno per ricevere gli ordini sacri, sono rivolti a questi
non meno che a coloro che vi aspirano, allorché viene detto: "Si deve
fare in modo che quelli scelti per tale compito siano illustri per
saggezza spirituale, onestà di costumi e costante rispetto della
giustizia ... Siano onesti e assennati tanto nella scienza quanto nelle
opere … splenda in essi la bellezza della santità nella sua interezza".
E certamente dell'onestà di vita si sarebbe detto
abbastanza, se questa potesse con poco sforzo essere separata dalla
cultura e dalle opinioni, che ciascuno si sarà riservato di sostenere.
Ma, come è nel Libro dei Proverbi: L'uomo è stimato secondo la sua
cultura (Prov. XII, 8) e come insegna l'Apostolo: Chi... non rimane
nella dottrina di Cristo, non possiede Dio (II Giov., 9). Quanto impegno
sia da dedicare alle molte e varie cose da imparare bene, lo insegna
persino la stessa pretesa dell’epoca attuale, la quale proclama che
niente è più glorioso della luce dell’umanità che progredisce. Dunque
quanti sono nelle file del clero, se vogliono dedicarsi al loro compito
conformemente ai tempi; con frutto esortare gli altri nella sana
dottrina e convincere quelli che la contraddicono (Tito, I,9); applicare
le risorse dell’ingegno a vantaggio della Chiesa, devono
necessariamente raggiungere una conoscenza delle cose tutt’altro che di
basso livello, e avvicinarsi all’eccellenza nella cultura. Infatti c'è
da lottare con nemici tutt'altro che inesperti, i quali aggiungono ai
buoni studi un sapere spesso intessuto di trabocchetti, e le cui
sentenze belle e vibranti sono proposte con grande abbondanza e rimbombo
di parole, affinché in esse sembri risuonare quasi un qualcosa di
esotico. Perciò bisogna predisporre opportunamente le armi, cioè,
preparare abbondante foraggio di cultura per tutti coloro che, nella
vita ritirata della scuola, si stanno accingendo ad assumere incarichi
santissimi e difficilissimi.
E' vero che, poiché la vita dell'uomo è circoscritta
da limiti tali per cui da un fonte ricchissimo di conoscenze a stento è
dato di assaggiare qualcosa a fior di labbra, bisogna anche temperare la
sete di apprendimento e rammentare l'affermazione di Paolo: non è pio
sapere tutto quanto necessita sapere, ma sapere in giusta misura (Rom.
XII,3). Per cui, dato che ai chierici già sono imposti molti e pesanti
studi, sia per quanto riguarda le sacre scritture, i fondamenti della
Fede, le consuetudini, la conoscenza delle devozioni e delle
celebrazioni, che vanno sotto il nome di ascetica, sia per quanto
riguarda la storia della Chiesa, il diritto canonico, la sacra
eloquenza; affinché i giovani non perdano tempo nel seguire altre
questioni e non vengano distratti dallo studio principale, vietiamo del
tutto a costoro la lettura di qualsiasi quotidiano e periodico, anche se
ottimo, pena un onere sulla coscienza di quei rettori che non avranno
vigilato scrupolosamente per impedirlo.
Inoltre per allontanare il sospetto che qualsiasi
modernismo si introduca di nascosto, non solo vogliamo che siano
assolutamente rispettate le cose prescritte sopra al n° II, ma
comandiamo inoltre che ogni singolo insegnante, prima di cominciare le
lezioni all'inizio dell'anno, mostri al suo Vescovo il testo che si
propone di insegnare, o le questioni che tratterà, oppure le tesi;
quindi che per quell’anno stesso sia tenuto sotto osservazione il metodo
d’insegnamento di ciascuno; e se questo sembrerà allontanarsi dalla
sana dottrina, sarà causa sufficiente per rimuovere quell’insegnante. Ed
infine, che, oltre alla professione di fede, presti giuramento al suo
Vescovo, secondo la formula sotto riportata, e firmi.
Questo giuramento, preceduto da una professione di
fede nella formula prescritta dal Nostro Predecessore Pio IV, con
allegate le definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno dunque
davanti al loro vescovo:
I. I chierici che stanno per ricevere gli ordini
maggiori; ad essi singolarmente sia previamente consegnato un esemplare
sia della professione di fede, sia della formula del giuramento da
emettere, in modo che le conoscano in anticipo accuratamente, essendovi
una sanzione, come si vedrà sotto, in caso di violazione del giuramento.
II. I sacerdoti destinati a raccogliere le
confessioni, e i sacri predicatori, prima che sia loro concessa facoltà
di svolgere tali compiti.
III. I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di entrare in possesso del beneficio.
IV. Gli ufficiali nelle curie episcopali e nei tribunali ecclesiastici, inclusi il Vicario generale e i giudici.
V. Gli addetti ai sermoni che si tengono nei tempi quaresimali.
VI. Tutti gli ufficiali nelle Congregazioni Romane o
nei tribunali, in presenza del Cardinale Prefetto o del Segretario di
quella Congregazione o di quel tribunale.
VII. I Superiori e i Docenti delle Famiglie e Congregazioni religiose, prima di assumere l'incarico.
I documenti della professione di fede, di cui abbiamo
detto, e dell'avvenuto giuramento siano conservati in appositi registri
presso le Curie episcopali, e parimenti presso gli uffici di ciascuna
Congregazione Romana. Se poi qualcuno osasse, Dio non voglia, violare
qualche giuramento, costui sia deferito al tribunale del Sant'Uffizio.
FORMULA DEL GIURAMENTO
Io ... fermamente accetto e credo in tutte e in
ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero
infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che
contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.
Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le
cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato
con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm
1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.
Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della
rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le
profezie, come segni certissimi dell'origine soprannaturale della
religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli
uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.
Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la
Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita
immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre
viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia
ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.
Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede
trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo
stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa
eresia dell'evoluzione dei dogmi da un significato all'altro, diverso da
quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore
che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla
Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una
creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante
sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.
Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente
dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge
dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione
della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a
una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale,
fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto
quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto,
attestato e rivelato.
Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto
cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni
dell'enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa
la cosiddetta storia dei dogmi.
Riprovo altresì l'errore di chi sostiene che la fede
proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi
cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili
con le reali origini della religione cristiana.
Disapprovo pure e respingo l'opinione di chi pensa
che l'uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità
del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito
difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle
premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché
non siano positivamente negati.
Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di
interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della
Chiesa, l'analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre
al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia
applica la critica testuale come regola unica e suprema.
Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che
l'insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per
iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia
sull'origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell'aiuto
promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità
rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi
scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa
autonomia critica ammessa per l'esame di qualsiasi altro documento
profano.
Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore
dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c'è niente di
divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo
ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia,
per cui gli uomini con il proprio impegno, l'abilità e l'ingegno
prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli
apostoli.
Mantengo pertanto e fino all'ultimo respiro manterrò
la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e
sempre sarà nella successione dell'episcopato agli apostoli (S. Ireneo,
Adversus haereses, 4, 26, 2: PG 7, 1053), non perché si assuma quel che
sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni
epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio
dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo
intesa (Tertulliano, De praescriptione haereticorum, 28: PL 2, 40).
Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente,
integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai
discostarmene né nell'insegnamento né in nessun genere di discorsi o di
scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi
Vangeli di Dio.
DELLA SACRA PREDICAZIONE
(parte non ancora tradotta di sole 9 pagine: si cercano volontari) […]
Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 1 settembre dell’anno 1910, ottavo del Nostro Pontificato.
Pio PP. X
Sacrorum antistitum
Motu proprio
che stabilisce alcun eleggi per respingere il pericolo del modernismo
(traduzione fatta dagli Acta Apostolicae Sedis, AAS 02 [1910], pp. 655-669, presenti in http://www.vatican.va , a cura di Mammadidario del forum di www.totustuus.name: si chiede un'Ave in ringraziamento)
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro e Antonio Casini
"PASCENDI DOMINICI GREGIS": ENCICLICA CHE BOLLA LE ERESIE MODERNISTE DI PRETI, RELIGIOSI E TEOLOGI. COME DISTINGUERE I VERI DAI FALSI PROFETI? |
Il Cardinale Ciappi, il teologo di papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II (all’inizio del suo pontificato): “Il Terzo Segreto dice che la grande apostasia nella Chiesa inizia dal suo vertice. La conferma ufficiale del segreto de La Salette (1846): “La Chiesa subirà una terribile crisi. Essa sarà eclissata. Roma (il Vaticano) perderà la fede e diventare la sede dell’Anticristo “.
ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...
▼
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.