A Vito Mancuso preoccupa che, nel mondo, sia in forte calo il numero dei credenti. Ad allarmarlo, nello specifico, è un rapporto dell’Università di Chicago che conferma, dalle nostre parti, l’eclissi del sacro. Per la verità la notizia circola da quasi mezzo secolo, ma si vede che alla redazione di Repubblica è giunta solo di recente. Tanto da meritare, per l’appunto, un commento di Mancuso, il quale ha naturalmente colto la palla al balzo per azzannare la Chiesa, che non ne vuole sapere «di guardare in faccia la situazione e correre ai ripari abolendo la legge ecclesiastica e non biblica del celibato sacerdotale, aprendo al diaconato e al cardinalato femminile, rivedendo le leggi anacronistiche in tema di morale sessuale e di disciplina dei sacramenti» (La Repubblica, 20/4/2012, p. 31).
Ringraziato Mancuso per l’originalissimo sermone, proporrei, per par condicio, di dare la parola a qualcun altro. Tranquilli, non penso al cardinal Ruini, al cardinal Bagnasco e neppure al Santo Padre: penso direttamente a Lui, al Principale, a Gesù Cristo. Il quale, nel suo soggiorno terrestre non ha mancato – a proposito di calo di partecipazione dei fedeli – di impartire una lezione molto interessante. La riferisce il Vangelo di Giovanni, allorquando «molti discepoli, dopo aver udito» quello che Gesù aveva predicato, «dissero:”Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?”» (Gv, 6:60). Curioso: già allora c’era chi si lamentava, chi trovava difficilmente praticabile il messaggio cristiano. Il Figlio di Dio però fece solo una cosa: tirò dritto. Al punto che «da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv, 6:66); al punto che perfino i dodici furono sul punto di lasciarlo: «Perciò Gesù disse ai dodici: “Non volete andarvene anche voi?”» (Gv, 6:67).
Nessun cambio di rotta, tuttavia: anche a costo di restar solo, Gesù rimase sulle sue posizioni, sul suo «parlare duro». Non concesse neppure mezza “apertura” alle critiche dei discepoli. Forse per testardaggine, forse perché non aveva letto Mancuso o forse perché quanto aveva da dire – e da testimoniare – aveva, ed ha, un prezzo “non trattabile”. Del resto, che Cristo non fosse così interessato alla popolarità lo dimostra anche il fatto che la gente, quando fu il momento, non seppe preferirlo non dico ad un brav’uomo, a qualcuno che faceva beneficienza o a un cittadino modello, ma a Barabba: rendiamoci conto. E dire che il Figlio di Dio, specie quando la situazione, dopo l’Ultima cena, stava per precipitare, avrebbe potuto anch’egli «guardare in faccia la situazione e correre ai ripari». Ma non lo fece e continuò a vivere, più scomoda che mai, la sua missione.
Se questo, dunque, fu l’atteggiamento del Capo, perché mai oggi la Chiesa dovrebbe, dinnanzi al calo della fede, «correre ai ripari»? Ai ripari, se avessero a cuore il destino della loro anima, dovrebbero correre coloro che abbandonano la fede per l’idolatria (magari spacciandola per agnosticismo o ateismo) e magari anche Vito Mancuso, mica altri. Quanto a Repubblica, è da un pezzo che insistono. Ad accusare la Chiesa di essere poco popolare, intendo. Ricordo che giusto qualche anno fa – era il 25 marzo 2009 – in prima pagina, in alto a destra, il quotidiano di Ezio Mauro, con la solita inchiesta-sondaggio, spiegava che le posizioni di Benedetto XVI sul testamento biologico e sul profilattico sarebbero condivise solo da una esigua minoranza di italiani. Benissimo, e allora? Perché a Repubblica, dove sono tutti perbene e “laici”, seguitano ciclicamente a preoccuparsi della scarsa attenzione sociale al Magistero della Chiesa? Evitino certe pagliacciate, per favore. E festeggino. Suvvia, avanti: diano pure il Cristianesimo per morto. Tempo tre giorni e potrebbero avere delle sorprese.
(Fonte: http://campariedemai
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