Cari amici, in questi giorni sta tornando di attualità il battito sulla possibile nascita di un nuovo soggetto o movimento politico ispirato alla dottrina sociale della Chiesa. Devo dire che m’appassionano poco i ragionamenti sulle alchimie politiche, le alleanze, il gioco delle strategie: spesso mi capita, ascoltando in Tv le interviste ai nostri parlamentari nei servizi del Tg, di assistere a uno spettacolo surreale. Mi sembra infatti che non ci si renda conto, o si finga di non rendersi conto, del crescente distacco dell’attuale classe dirigente dal suo elettorato.
Trovo invece interessante, al di là delle strategie di palazzo, la domanda su quale ruolo possano avere i cattolici, nel dialogo e nel confronto con altre forze, per il futuro del Paese. Sapranno osare, senza rincorrere benedizioni ecclesiastiche? Sapranno rischiare traducendo in proposte praticabili il portato di una tradizione che in altri momenti cruciali della storia del Paese si sono rivelate decisive per fare dell’Italia ciò che l’Italia è? Senza fare promesse impossibili da mantenere, saranno in grado di proporre e testimoniare un nuovo stile di far politica, inteso come servizio al bene comune? E soprattutto, nei partiti già esistenti (quasi tutti ammalati cronici) o in nuove aggregazioni – che avranno senso se saranno comunque laiche e non confessionali – i cattolici saranno in grado di indicare una via d’uscita praticabile dalla crisi che affligge il nostro sistema economico-finanziario?
«Ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi ha solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza, dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene più che mai dispotico in coloro che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni, dominano il credito e padroneggiano i prestiti; per cui sono in qualche modo i distributori del sangue stesso di cui vive l’organismo economico… Nell’ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l’imperialismo economico; dall’altra, non meno funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del danaro».
Non è Niki Vendola e non è nemmeno Beppe Grillo o una citazione di qualche volantino dei centri sociali o dei «no global». È un brano – profetico – dell’enciclica Quadragesimo anno di Papa Pio XI scritta nel 1931. I cattolici che sono in politica e quelli che desiderano entrarci accogliendo l’invito di Benedetto XVI e della Chiesa italiana, avranno il coraggio di rischiare in proprio, di mettersi in gioco proponendo delle vie d’uscita dalla crisi che partano davvero dalla dottrina sociale della Chiesa, troppo spesso soltanto evocata?
IL VUOTO TRA SOCIETÀ E POLITICA
L'irrilevanza dei cattolici
Non si avverte davvero bisogno di qualche nuovo partito cattolico (a proposito: ma l'Udc lo è o no? E se sì, come si spiega la sua latitanza dalla discussione che dura da circa un anno? Possibile che essa non si senta in qualche modo chiamata in causa?). Tanto meno, dunque, sembra aver senso stare a interrogarsi sul o sugli eventuali possibili leader del suddetto partito.
Ma se il sistema politico non ha bisogno di un partito cattolico, viceversa di una voce cristiana, e dunque anche cattolica, di un'iniziativa politica alta che rechi il segno di quell'ispirazione, l'Italia ha sicuramente bisogno. Oggi, infatti, davanti alla Repubblica sta una difficile via modellata su un abito nuovo di serietà e di sobrietà: una via fatta anche di rinunce a traguardi che sembravano ormai acquisiti per sempre, di spirito di sacrificio. Lo è già ora, ma ancor più nei tempi che si annunciano sarà questo il vero patriottismo. E sarebbe davvero singolare che l ' ethos cristiano - ma vorrei dire religioso in genere - che a dispetto di ogni secolarizzazione permea ancora di sé vaste masse di italiani, restasse estraneo proprio rispetto a questa sfida. Che alla fine è una sfida innanzi tutto culturale e ideale.
Non si tratta di politica, ma di altro. Si tratta di contribuire alla costruzione di una cultura civica, di rafforzare un insieme di valori pubblici, di costruire disposizioni d'animo collettivo orientate al bene comune. Ma insieme di ricercare le possibili vie d'uscita dalle strettoie in cui si trova immobilizzata da anni la società italiana. Ricordo solo quelle che mi sembrano le più gravi: un sistema d'istruzione dispersivo e programmaticamente indulgente, vittima di ridicoli conati aziendalistici; un'università che non conosce il merito e nella quale l'internazionalizzazione sta decretando la brutale retrocessione di tutto il sapere d'impianto umanistico; lo sperpero immane di risorse (con relativa corruzione dilagante) da parte di tutte le strutture pubbliche: per cui tutto, in Italia, costa tre o quattro volte più del dovuto, e per essere fatto ci mette tre o quattro volte il tempo realmente necessario, e dove lavorano inutilmente migliaia di persone; infine un'organizzazione della giustizia (dai codici alla deontologia dei magistrati, allo scandalo permanente delle carceri) che troppo spesso è organizzazione di vera ingiustizia. E come se già tutto questo non bastasse si tratta poi di capire come ricostruire su nuove basi la cittadinanza sociale e il sistema della rappresentanza parlamentare, rimettendo in riga le corporazioni e l'alta burocrazia «gabinettista» ormai governante in proprio.
Certo, alla fine tutto è politica. Ma prima c'è un grande spazio - vitalmente necessario, di mobilitazione, di ricerca, di analisi, di proposte - che è fuori della politica. Ed è qui proprio che però il silenzio cattolico è più alto. Non quello di singoli credenti, naturalmente, ma il silenzio di quella che si chiama la presenza cattolica nel Paese, del cattolicesimo organizzato (dalle Acli all'Azione Cattolica, ai tanti movimenti; e ci metterei pure la Cisl e l'Udc, sempre che essi accettino di avere qualche cosa a che fare con il cattolicesimo organizzato e sempre che si prescinda dalla loro quotidiana routine istituzionale).
È in questo ambito che si misura davvero in pieno l'irrilevanza dei cattolici nella vita pubblica. Non è un'irrilevanza politico-partitica, è un'irrilevanza prima di tutto d'opinione, di idee. Cioè assenza - sulle questioni che richiamavo prima, e su mille altre riguardanti la svolta profonda di cui ha bisogno il Paese - di approfondimenti significativi, di punti di vista forti, di effettive volontà di mobilitazione. È come se ormai da anni il combinato disposto della riduzione a ideologia di massa dei principi del Vaticano II da un lato, e della fine traumatica della Democrazia cristiana dall'altro, avessero spinto il cattolicesimo italiano non solo a disinteressarsi della «grande» politica (che è poi la sola, vera politica) ma anche a disinteressarsi dell'Italia. Dell'Italia come problema storico; come luogo di un passato che forse merita un futuro; come patria di una comunità che s'interroga sul proprio destino (se mai gliene aspetti uno...). La sola voce cattolica che oggi si fa sentire nello spazio pubblico sembra essere quella che si concentra sul tema (significativo, chi ne dubita?, ma certo non proprio generale) della «difesa della vita». Per il resto l'impressione è che nel campo cattolico tutto tenda a ridursi tra i fedeli a un certo astratto moralismo, e al vacuo, sempre prevedibile, precettismo delle relazioncine somministrate mensilmente nelle riunioni della Cei. La conclusione non può che essere una: con la fine della Dc il cattolicesimo italiano sembra aver cessato di essere matrice di una possibile cultura politica.
Quale mai novità dovrebbe o potrebbe dunque rappresentare in queste condizioni un partito di cattolici? E perché un tal partito dovrebbe essere capace di dire al Paese qualcosa di più e di diverso da quello che riescono - o meglio non riescono - a dirgli i non pochi cattolici che si trovano nel Pdl, nell'Udc o nel Pd? Come del resto - è fin troppo ovvio rilevarlo - non ci riesce neppure nessuna voce «laica». E proprio in questo consiste il dramma dell'Italia: per tornare a muoverci avremmo bisogno di respirare aria nuova, di ascoltare idee coraggiose, di scorgere nuovi orizzonti. E invece tutto appare immobilizzato in qualcosa che assomiglia sempre più al resto di niente. Mentre da lontano, ma già distintamente, echeggia il grido barbarico delle turbe di Grillo.
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