L’isola che non c'è
Alcuni danno per imminente la firma dell’accordo canonico tra i Modernisti e la FSSPX. L’Istituto Mater Boni Consilii da anni spiega come la posizione lefebvriana conduca a un vicolo cieco: o il compromesso con quelle che vengono considerate le legittime autorità della Chiesa; oppure il persistere nella prassi scismatica (disobbedire abitualmente alle cd. “legittime autorità”) tipica delle “piccole chiese”. Malgrado le supposizioni più o meno fondate di alcuni vaticanisti, non è possibile sapere in modo certo se e quando l’accordo canonico si farà.
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Invece, possiamo e dobbiamo constatare quello che è
ormai davanti gli occhi di tutti: la frequentazione sempre più
assidua, da parte della FSSPX, dell’area dei conciliari
conservatori, composta, non lo dimentichiamo, da coloro che sono
le “sentinelle” del Concilio, i difensori delle giornata
ecumeniche di Assisi, i sostenitori della legittimità e della
validità dei nuovi riti, ecc., tutti in comunione con Benedetto
XVI.
Ma la deriva della FSSPX non si arresta a questo
livello, poiché si sta consolidando la collaborazione anche con
personaggi riconducibili all’organizzazione brasiliana della
TFP, da molti considerata settaria, e alle sue molteplici sigle e
satelliti presenti in Italia, proprio tra le fila dei
conservatori. Eppure la fede e il buon senso consiglierebbero di
tenersi alla larga da simili ambienti. Sembrerebbe che a forza di
usare il messale del “beato Giovanni XXIII”, qualcuno stia
assimilando il principio roncalliano del “cerchiamo quello che
ci unisce e non quello che ci divide”…
Ricordo come il
cattolico è radicalmente diviso dai modernisti (progressisti o
conservatori, col rito vecchio o nuovo, col maglioncino o con
l’abito ecclesiastico) dalla professione della Fede. Considerate
superabili, almeno sul piano della collaborazione pratica, le
divergenze dottrinali, ecco allora che si aprono alcuni spazi
(comunque marginali) su argomenti di se buoni e lodevoli, ma che
diventano l’occasione per far confluire, confondere e poi
dissolvere i cattolici teoricamente antimodernisti nella “destra”
del modernismo. Si tratta di un meccanismo particolarmente
pericoloso, soprattutto per i più idealisti, i più generosi e i
più ingenui, che meriterebbero di essere guidati (e prima ancora
formati dottrinalmente) in modo diverso.
Una prova generale
sarà una manifestazione “pro-life”, dove i lefebvriani si
troveranno insieme agli istituti sacerdotali dell’Ecclesia Dei,
a una congregazione Novus Ordo di frati conservatori, ai gruppi
dell’area Timone-Bussola, alla TFP e alla Fondazione Lepanto e
persino all’Opus Dei e ai Legionari di Cristo! Tra l’altro
sarebbe interessante chiedere ai lepantini e ai “timonieri”
cosa ne pensano, a proposito della vita, della condizione in cui è
costretta a vivere - e a morire - l’infanzia palestinese. La
rilettura dell’articolo di don Francesco Ricossa apparso sul n.
64 di Sodalitium, relativo alle edizioni “Lindau” e “Fede e
Cultura” permetterà di approfondire la questione
dell’assorbimento della FSSPX all’area dei modernisti
conservatori e gli inquietanti legami di alcuni personaggi di
quest’area con ambienti settari.
Entrando poi nella
questione specifica della difesa della vita, da sempre e con molto
zelo le associazioni “tradizionaliste” si sono impegnate su
questo fronte, conseguenza del loro combattimento dottrinale. In
Italia il divorzio e l’aborto hanno vinto anche grazie ai
cedimenti del modernismo politico della D.C. e del modernismo
religioso all’interno della “Gerarchia” (tra l‘altro la
posizione da tenere nel referendum del 1981 segnò il passaggio di
Alleanza Cattolica dal fronte antimodernista al carrozzone
conciliare. Roberto De Mattei ebbe il merito di opporsi a Giovanni
Cantoni ma rimase devoto discepolo di Plinio De
Oliveira…).
Attualmente la situazione non è cambiata. La
CEI potrebbe condurre una battaglia energica su questo tema, ma si
guarda bene dal farlo (il “cardinal” Bagnasco preferisce
benedire il governo Monti), i politici “cattolici” sussurrano
vaghi impegni “per la vita” durante le campagne elettorali e
il gruppo interparlamentare che si è recentemente costituto non
sembra esattamente un’armata di crociati. Eppure la destra
ratzingeriana parla di un numero sempre maggiore di “cardinali”
e ”vescovi” tradizionalisti (diversi dei quali hanno aderito
alla manifestazione sopracitata), confondendo forse la difesa del
dogma con la cappa magna indossata nell’uso un po’ troppo
teatrale del Messale Romano. Se i prelati in questione fossero
davvero come vengono dipinti, stupisce allora l’assenza
sistematica, nelle loro diocesi, di vigorose azioni contro il
crimine dell’aborto. E prima ancora, o comunque in modo
parallelo, contro gli errori in materia religiosa presenti nei
testi del Concilio e nel “magistero” di Benedetto XVI.
La
verità è che tra i conservatori si è creata un’idea di
restaurazione nella Chiesa che non coincide con la realtà. Si
possono estrapolare sistematicamente le frasi “cattoliche” dai
testi modernistici di Ratzinger, si può tentare di arrampicarsi
sugli specchi per giustificare l’ingiustificabile e tentare
delle acrobazie da mozzafiato per conciliare l’inconciliabile,
si può mentire agli altri e a se stesi, si può preferire la
carriera, gli spazi giornalistici, i successi editoriali alla
testimonianza della fede, ma non si può cambiare la realtà
oggettiva della cose. Benedetto XVI e tutti coloro che
nell’episcopato sono in comunione con lui proseguono l’opera
nefasta del Concilio, con l’insegnamento di errori che offendono
Nostro Signore, contraddicono la fede cattolica e il magistero dei
Papi sino a Pio XII, recano danno gravissimo alle anime. La
controriforma dottrinale e liturgica di Ratzinger esiste quindi
solo nella fantasia dei conservatori-tradizionalisti della destra
conciliare.
Tutto questo mi ricorda il titolo di una
canzone di Edoardo Bennato, “l’isola che non c’è”.
Un’isola, peraltro, con tanti insidiosi scogli, contro i quali
rischiano di incagliarsi il clero e i fedeli della Fraternità,
prima ancora che il loro comandante faccia l’atteso e definitivo
inchino a Benedetto.
8 maggio 2012
don
Ugo Carandino
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