Il Papa reinterpreta tre vangeli:

Repubblica.it 06 Agosto 2012
Il volume, intitolato Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, sarà presentato alla stampa giovedì 10 marzo. Benedetto XVI  affronta i temi più delicati della storia. Dalla figura di Giuda a quella di Ponzio Pilato, dalle date dell’Ultima Cena e della Pasqua, fino alla morte del Nazareno

CITTA’ DEL VATICANO – Con il suo secondo libro sulla vita di Gesù, Papa Benedetto XVI affronta una nuova analisi dei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) e reinterpreta da teologo i temi più importanti della sua storia. Dalla figura di Giuda, a quella di Ponzio Pilato, dalle date dell’Ultima Cena fino alla morte del Nazareno e alla responsabilità del popolo ebreo sulla morte del redentore. Punto cruciale della nuova esegesi del Pontefice è proprio il ruolo avuto dal popolo ebraico sulla crocifissione. Non furono gli ebrei in quanto tali a volere la morte di Gesù. Il Papa smentisce l’interpretazione ‘deicida’ del Vangelo e in un capitolo anticipato oggi dalla sala stampa della santa sede d’intesa con l’editore Herder di Friburgo, che ha curato l’edizione principe del volume, contesta una lettura “razzista” della morte di Cristo.
Quando il Vangelo di Matteo parla di “tutto il popolo”, attribuendo ad esso la richiesta della morte di Gesù, “sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte di Gesù?”. Per Benedetto XVI è “fatale nelle sue conseguenze” l’interpretazione che è stata data di questa frase di Matteo. “La realtà storica – spiega – appare in modo sicuramente corretto in Giovanni e in Marco. Il vero gruppo degli accusatori – infatti – sono i circoli contemporanei del tempio e, nel contesto dell’amnistia pasquale, si associa ad essi la ‘massa’ dei sostenitori di Barabba”. Il volume, intitolato Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Libreria Editrice Vaticana), sarà presentato alla stampa giovedì 10 marzo alla presenza del cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, e Claudio Magris, scrittore e germanista.
Il popolo d’Israele. Riguardo agli accusatori di Gesù, “secondo Giovanni – scrive il Papa – essi sono semplicemente i ‘Giudei’”. Ma questa espressione “non indica affatto come il lettore moderno forse tende a interpretare – il popolo d’Israele come tale, ancor meno essa ha un carattere ‘razzista’”. In definitiva, infatti, “Giovanni stesso, per quanto riguarda la nazionalità, era Israelita, ugualmente come Gesù e tutti i suoi”. Così come “l’intera comunità primitiva era composta da Israeliti”. In Giovanni, dunque, “tale espressione ha un significato preciso e rigorosamente limitato: egli designa con essa l’aristocrazia del tempio”.  Invece in
Marco, “il cerchio degli accusatori – che risposero alla domanda se liberare Barabba o Gesù – appare allargato”. Secondo Matteo poi “tutto il popolo avrebbe detto: ‘Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli’”. Letta nella prospettiva della fede, essa significa che tutti noi abbiamo bisogno della forza purificatrice dell’amore, e tale forza è il suo sangue. Non è maledizione, ma redenzione, salvezza”. E dunque “soltanto in base alla teologia dell’Ultima Cena e della croce presente nell’intero Nuovo Testamento la parola di Matteo circa il sangue acquisisce il suo senso corretto”.
La guerra. “Con la potenza militare, da sola, non si può stabilire nessuna pace”, dice Papa Benedetto XVI nel suo libro. “Se il potere, e precisamente il potere militare, è caratteristico per la regalità e il regno – niente di ciò si trova in Gesù. Per questo non esiste neanche una minaccia per gli ordinamenti romani. Questo regno è non violento. Non dispo ne di alcuna legione”. Il regno di Gesù è fondato sulla “verità“. Ma in che modo la verità può essere fondamento di un “potere”?, si chiede Ratzinger. “Verità e opinione errata, verità e menzogna – scrive il pontefice – nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile. La verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare. Il mondo è ‘vero’ nella misura in cui rispecchia Dio, il senso della creazione”.
E se oggi la scienza sembra aver reso il mondo intellegibile e quindi aver rivelato la ‘verita su di esso, Benedetto XVI ribatte che è solo la “verità funzionale sull’uomo” a essere “diventata visibile. Ma la verità su lui stesso non si può leggere in tal modo” Di qui, la riflessione del Pontefice su Pilato: “La grande verità, di cui aveva parlato Gesù, gli è rimasta inaccessibile; la verità concreta di questo caso, però, Pilato la conosceva bene. Sapeva che questo Gesù non era un delinquente politico e che la regalità rivendicata da lui non costituiva alcun pericolo politico – sapeva quindi che era da prosciogliere. Come prefetto egli rappresentava il diritto romano su cui si basava la pax romana – la pace dell’impero che abbracciava il mondo. Questa pace, da una parte, era assicurata mediante la potenza militare di roma. Ma con la potenza militare, da sola, non si può stabilire nessuna pace”. Infatti, scive il papa, “la pace si fonda sulla giustizia”.
Gesù e Barabba. “Gesù non è un rivoluzionario politico, il suo messaggio e il suo comportamento non costituiscono un pericolo per il dominio romano”, scrive Benedetto XVI nel terzo capitolo intitolato “Gesù davanti a Pilato” diffusa dalla sala stampa vaticana. Nello stesso capitolo il Papa parla anche di Barabba spiegando che “Giovanni qualifica Barabba, secondo le nostre traduzioni, semplicemente un ‘brigante’. Ma nel contesto politico di allora – specifica – la parola greca da lui usata aveva assunto il significato di ‘terrorista’, ovvero di ‘combattente della resistenza’”
Giuda. La figura più controversa degli apostoli, il traditore, nell’analisi di Benedetto XVI viene umanizzata, in parte, deresponsabilizzata. Nella seconda parte del libro Giuda viene descritto come “tesoriere del gruppo dei discepoli”, accecato dal denaro, tradito egli stesso dagli altri discepoli. Soprattutto posseduto dal demonio. “Ciò che a Giuda è accaduto – commenta Joseph Ratzinger – per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. E’ finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo ‘dolce giogo’, non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze, o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, al quale si è aperto”. Ma Giuda cerca un’ultima redenzione, lo fa mentre dice “ho peccato” ai suoi committenti, e “cerca di salvare Gesù, ridandogli il denaro”. Il suo pentimento diventa disperazione. E poi morte, autoinflitta. Questo pentimento tuttavia non è il vero pentimento. “Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù″. Alla fine Gesù lo salverà? In proposito Benedetto XVI cita la famosa affermazione di Pascal per il quale “la sofferenza di Gesù, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo”, sottolineando che questa verità possiamo esprimerla “anche dal punto di vista opposto: Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia”.
La data dell’Ultima Cena. Sulla data dell’Ultima Cena ha ragione il Vangelo di Giovanni e torto i sinottici: “Al momento del processo di Gesù davanti a Pilato, le autorità giudaiche non avevano ancora mangiatola Pasquae per questo dovevano mantenersi ancora culturalmente pure”. E dunque “la crocifissione non è avvenuta nel giorno della festa, ma nella sua vigilia”, scrive Benedetto XVI nella seconda parte del volume. “Gesù – scrive il Papa – è morto nell’ora in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali. Che i cristiani in ciò vedessero in seguito più di un puro caso, che riconoscessero Gesù come il vero Agnello, che proprio così trovassero il rito degli agnelli portato al suo vero significato – tutto ciò è poi solo normale”. Non è chiaro perché i sinottici abbiano parlato di una cena pasquale. Secondo il Pontefice infatti nel racconto vero e proprio dell’ultima cena non si menzionerebbela Pasqua”.