Una delle pratiche di devozione più raccomandabili ai fedeli cattolici in onore del glorioso arcangelo, è la recita della corona Angelica, detta il Rosario di San Michele. Questa devozione, approvata dalla Chiesa fin dal 1851, è arricchita da numerose indulgenze. Questa pratica di devozione è molto antica, poiché San Michele l'ha portata lui stesso dal cielo alla terra.
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Un libro recentemente
pubblicato si intitola: Ratzinger, custode della fede [2] Tuttavia abbiamo serie ragioni per
interrogarci sulla natura della fede che il cardinale custodisce. Vediamo
alcune di queste ragioni.
Nel giugno 2000 il
Vaticano pubblicò il "terzo segreto di Fatima" insieme ad un lungo
commento del Cardinal Josef Razinger.
Il brano intitolato
"La struttura antropologica delle rivelazioni private" rivela l'incompetenza
del cardinale, il quale cerca di spiegare il "carattere antropologico
(psicologico)" delle rivelazioni private scrivendo:
"L'antropologia
teologica distingue in questo ambito tre forme di percezione o « visione »: la
visione con i sensi, quindi la percezione esterna corporea, la percezione interiore
e la visione spirituale (visio sensibilis - imaginativa - intellectualis).
È chiaro che nelle visioni di Lourdes, Fatima, ecc. non si tratta della normale
percezione esterna dei sensi: le immagini e le figure, che vengono vedute, non
si trovano esteriormente nello spazio, come vi si trovano ad esempio un albero
o una casa. Ciò è del tutto evidente, ad esempio, per quanto riguarda la
visione dell'inferno (descritta nella prima parte del « segreto » di Fatima) o
anche la visione descritta nella terza parte del « segreto », ma si può
dimostrare molto facilmente anche per le altre visioni, soprattutto perché non
tutti i presenti le vedevano, ma di fatto solo i « veggenti ». Così pure è
evidente che non si tratta di una « visione » intellettuale senza immagini,
come essa si trova negli alti gradi della mistica. Quindi si tratta della
categoria di mezzo, la percezione interiore, che certamente ha per il veggente
una forza di presenza, che per lui equivale alla manifestazione esterna
sensibile."
Joseph Ratzinger in
quanto cardinale conosce senza dubbio la storia della conversione di San Paolo
raccontata in diversi passaggi degli Atti degli Apostoli (Ac IX, 1-19 ; XXII,
3-21 ; XVI, 9-20).
San Paolo ci dice di
aver avuto una visione di Nostro Signore, mentre i suoi compagni udivano senza
vedere. Se si applica a questo caso le regole che il cardinale ci dà per Fatima
si può "dimostrare molto facilmente" che la visione di San Paolo non
era una visione sensibile, poiché "non tutti i presenti le vedevano, ma di
fatto solo il « veggente »".
Il guaio è che San
Paolo è diventato cieco a causa di questa visione; anche supponendo che San
Paolo fosse dotato di un'immaginazione assai sviluppata, si stenta a capire in
che modo una visione immaginativa (la sola che il cardinale ammette in un caso
simile) abbia potuto privarlo dell'uso della vista.
Similmente nelle
apparizioni di Fatima i bambini erano abbagliati dalla luce; Lucia pare abbia
avuto gli occhi ustionati dall'apparizione [3]. In ogni modo i segni esteriori visibili da
tutti (segni atmosferici, rami dell'albero che si piegavano ecc.) dimostrano
assai chiaramente che si trattava di un fenomeno esteriore e non di una visione
puramente immaginativa dei veggenti.
Dunque il cardinale
in questa questione manifesta una certa incompetenza. Ma c'è qualcosa di più
grave ancora.
In che cosa il cardinale dà prova di una pessima
filosofia
Il cardinale
prosegue:
"La « visione
interiore » non è fantasia, ma una vera e propria maniera di verificare,
abbiamo detto. Ma comporta anche limitazioni. Già nella visione esteriore è
sempre coinvolto anche il fattore soggettivo: non vediamo l'oggetto puro, ma
esso giunge a noi attraverso il filtro dei nostri sensi, che devono compiere un
processo di traduzione. Ciò è ancora più evidente nella visione interiore, soprattutto
allorché si tratta di realtà, che oltrepassano in se stesse il nostro
orizzonte." [4]
Qui il cardinale ci
mostra la sua inclinazione all'idealismo; può essere un elemento inconscio da
parte sua, poichè egli è vissuto immerso nella filosofia moderna a partire
dalla sua giovinezza [5] e senza dubbio non ha mai studiato
seriamente l'altra filosofia, quella vera, quella della Chiesa Cattolica,
quella di San Tommaso d'Aquino e di Aristotele.
Dire che noi non
vediamo "l'oggetto puro" ma "il risultato di un processo di
traduzione attraverso il filtro dei nostri sensi" non è cosa molto differente
da ciò che ha detto Kant: per il padre della filosofia moderna
infatti noi non conosciamo "l'oggetto in sé" ma solo "i
fenomeni" (l'oggetto tale e quale ci appare).
La filosofia del
cardinale rinchiude il soggetto nel proprio universo psichico impedendogli ogni
contatto diretto con il reale.
Supponiamo infatti
che vi si parli di un libro scritto in cinese senza che possiate vederlo. Uno
dei vostri amici vi propone di tradurvene ogni giorno qualche pagina. Siccome
non potete vedere l'originale [6] non potrete mai essere sicuri del fatto
che il vostro amico dica la verità.
Peggio ancora, non
potrete mai accertare che la lingua cinese esista e che il vostro amico non
inventi ciò che vi scrive a partire da caratteri che non hanno testa né coda.
O ancora, se
"non vediamo l'oggetto puro, ma esso giunge a noi attraverso il filtro dei
nostri sensi, che devono compiere un processo di traduzione", allora siamo
simili a qualcuno rinchiuso in un luogo ove ha contatto col mondo esterno solo
per mezzo di uno schermo televisivo; costui non potrà mai essere sicuro che ciò
che vede sullo schermo corrisponda alla realtà. Bisognerebbe che potesse uscire
da quel luogo e vedere direttamente la realtà, ma per il cardinale proprio
questo è impedito, perché non possiamo vedere "l'oggetto puro".
I tomisti, come ad
esempio Étienne Gilson [7], hanno dimostrato a sufficienza che se si
comincia col tagliare il legame diretto della realtà con l'intelligenza umana,
non si potrà mai più ristabilire un ponte tra di esse; ci si rinchiude nel
soggettivismo, poi nell'idealismo ed infine nell'agnosticismo [8].
Tuttavia è
proprio l'alleanza di questa filosofia idealista ed agnostica con la
religione cristiana che ha generato il modernismo, ed il cardinale, volente o
nolente, lo favorisce.
Ma c'è qualcosa di
ancora peggiore.
In che cosa il cardinale dà prova di una strana
teologia
Il 17 gennaio 2001 la
congregazione per la Dottrina della fede, di cui il cardinal Ratzinger è
prefetto, è giunta, dopo un " intenso lavoro di chiarificazione
teologica" [9] ad una "decisione
fondamentale" [10]: la messa nella liturgia assira di
Addai e Mari può essere considerata come valida [11].
Però questa liturgia,
tale quale è celebrata dai nestoriani, non contiene le parole della
consacrazione.
È evidentemente la
prima volta che "Roma" ammette che si possa celebrare validamente la
messa senza pronunciare le parole della consacrazione; è stato necessario
attendere il cardinal Ratzinger e la sua strana teologia.
Non c'è bisogno di
essere un chierico famoso per sapere che le parole della consacrazione sono
necessarie alla validità di una Messa. Ma se si vogliono degli argomenti
d'autorità si può fare riferimento al Concilio di Firenze ("la forma che
riveste questo sacrammento è costituita dalle parole del Redentore [...]. In
virtù di queste stesse parole la sostanza del pane e del vino è trasformata in
Corpo di Cristo", DS 1321) oppure al Concilio di Trento
("istantaneamente dopo la consacrazione il vero corpo di Cristo ed il Suo
vero Sangue sono presenti sotto le specie", DS 1640). D'altronde ciò è
evidente, nel rito romano, dagli stessi gesti che il prete deve compiere, inginocchiandosi
subito dopo la consacrazione [12].
Malgrado ciò, il
cardinale cerca di fornire dei motivi per cercare di giustificare questa
decisione:
- in primo luogo,
l'anafora [13] di Addai e Mari è una delle più antiche
anafore, che risale ai primordi della Chiesa. È stata composta ed utilizzata
con la chiara intenzione di celebrare l'eucaristia in piena continuità con
l'ultima cena e secondo l'intenzione della Chiesa. La sua validità non è mai
stata messa in questione ufficialmente né nell'Oriente né nell'occidente
cristiano.
- in secondo luogo la
Chiesa cattolica riconosce la Chiesa Assira d'Oriente come un'autentica Chiesa
particolare ondata sulla fede ortodossa e sulla successione apostolica. La
Chiesa assira d'Oriente ha anche conservato la pienezza della fede eucaristica
nella presenza di Nostro Signore sotto le specie del pane e del vino, così come
nel carattere sacrificale dell'eucaristia. Ecco perché, nella Chiesa assira
d'Oriente, sebbene non sia in piena comunione con la Chiesa cattolica, si
trovano "veri sacramenti - principalmente in virtù della successione apostolica:
il sacerdozio e l'Eucaristia " (Unitatis redintegratio 15).
- infine le parole
dell'istituzione dell'eucaristia sono di fatto presenti nell'anafora di Addai e
Mari non sotto la forma di una narrazione coerente e ad litteram,
ma in maniera eucologica e disseminata, cioé sono integrate alle preghiere di
azione di grazie, di lode e d'intercessione che seguono [14].
Esame del primo argomento del cardinale
Il primo argomento (l'antichità dell'anafora) non
prova nulla [15]. Senza dubbio l'anafora è antica [16], ma i manoscritti più antichi furono redatti
solo molti secoli dopo la fine dell'antichità [17].
Anche se questi testi
fossero antichi, non ci si potrebbe basare sull'autorità del loro uso
immemorabile, perché si tratta dell'uso di una Chiesa scismatica; perché
l'argomento dell'uso possa avere un'autorità, bisognerebbe che vi fosse stata
una recezione pacifica di questa liturgia nella Chiesa cattolica,
ma così non fu.
Di fatto è del tutto
falso affermare che "la validità di questa liturgia non è mai stata
ufficialmente messa in dubbio": l'anafora celebrata senza le parole
dell'istituzione è stata ufficialmente riconosciuta come incompleta visto che
gli assiri tornati all'unità della Chiesa dovettero includere queste parole nel
loro sacramentario [18]. Quest'aggiunta si può constatare nei libri
liturgici ufficiali [19].
Vi sono diversi
motivi per i quali gli assiri avrebbero potuto omettere di
scrivere le parole della consacrazione, ad esempio a causa
della legge dell'arcano (all'inizio della Chiesa non si scrivevano le
formule dei sacramenti per evitare le profanazioni). Quest'ipotesi è assai
probabile in quanto la spiritualità della Chiesa assiro-caldea è marcatamente
semitica e segnata dal giudaismo, da cui il rifiuto scrivere lesancta e terribilia (le
cose sante e terribili) così come gli ebrei temono di scrivere il nome di Dio.
Il professor Barth,
seguendo Dom Botte, dimostra che "tra le due preghiere che precedono
imediatamente l'epiclesi [20] esiste evidentemente una lacuna logica.
Per di più la preghiera che precede immediatamente l'epiclesi presenta
indubitabilmente il carattere di anamnesi" [21]. Questo è un argomento serio a favore
della presenza in origine delle parole della consacrazione.
Sono possibili
ulteriori ipotesi per spiegare l'assenza delle parole della consacrazione; per
esempio non si può scartare la possibilità che il nestorianesimo avesse finito
per esercitare un'influenza sul concetto di presenza reale [22]. Altri pensano che questo sia il risultato
di quelle false teorie circolanti in Oriente sul valore consacratorio
dell'epiclesi [23].
Il professor Barth ha
effettuato una ricerca per stabilire se si potesse trovare nei primi secoli
della Chiesa cattolica una liturgia che mancasse certamente delle parole della
consacrazione; ha trovato solo "delle testimonianze di
carattere gnostico che si ritrovano in scritti apocrifi, come
per esempio gli atti di Tommaso e quelli di Giovanni i quali, fatta astrazione
del loro contesto eretico (celebrazione con solo il pane), non permettono
assolutamente di sviluppare un quadro completo" [24]
La storia dunque
conferma il buon senso: simili pratiche si accompagnano alla perdita della
Fede cattolica.
Esame del secondo argomento del cardinale
Quanto al secondo
argomento (la fede di questa Chiesa assira), è anch'esso invalido: questa
Chiesa non è più ortodossa di quella, essendo intaccata dal
nestorianesismo.
Come esempio di
eterodossia di questa Chiesa, il professor Barth segnala che essa non ha più un
vero e proprio sacramento della penitenza, e che al posto del sacramento
dell'estrema unzione si amministra al malato una bevanda costituita da olio,
acqua e polvere proveniente dalle tombe dei santi. D'altronde per ciò che
riguarda l'Eucaristia, gli assiri scismatici pensano che il pane ed il vino
rimangano tali dopo la consacrazione, anche se ammettono una certa presenza
reale (questa è anche la concezione di Lutero) [25].
Il testo di Roma
pretende che, malgrado tutto ciò, questa Chiesa abbia conservato "la
pienezza della fede eucaristica".
Ma, secondo la dottrina cattolica, quando si mette in dubbio un dogma della Chiesa (ed i nestoriani non accettano l'unità della persona di Nostro Signore Gesù Cristo) si perde la Fede. Non si può conservare "la pienezza della fede eucaristica" se non si possiede la Fede cattolica [26].
Ma, secondo la dottrina cattolica, quando si mette in dubbio un dogma della Chiesa (ed i nestoriani non accettano l'unità della persona di Nostro Signore Gesù Cristo) si perde la Fede. Non si può conservare "la pienezza della fede eucaristica" se non si possiede la Fede cattolica [26].
Si noti che questi
due primi argomenti in favore della validità di questa anafora (antichità
dell'anafora e fede della Chiesa assira in cui è conservata) non spiegano per
nulla come essa possa essere valida senza le parole della consacrazione; si
tratta di "argomenti d'autorità" che si basano specialmente
sull'autorità diUnitatis redintegratio, il testo conciliare
sull'ecumenismo.
Ma proprio
questo testo conciliare è uno dei più contestabili, poiché afferma il
seguente grossolano errore: "Lo Spirito di Cristo infatti non ricusa
di servirsi di queste Chiese [non cattoliche] e comunità separate come di
strumenti di salvezza".
Non sorprende che,
appoggiandosi su un testo così poco cattolico, si giunga ad
una conclusione erronea.
Esame del terzo argomento del cardinale
Quanto al terzo
argomento, che pretende che le parole della consacrazione siano presenti di
fatto "non sotto forma di una narrazione coerente e ad litteram,
ma in maniera eucologica e disseminata", esso non vale più dei
due precedenti. "Se si esamina l'anafora di Addai e Mari, si cercheranno
invano le parole consacratorie. (...) Perfino al di fuori dell'anafora, cioè
nell'insieme del testo della liturgia assira, non si trova qualcosa con cui
colmare questa lacuna" [27].
In un articlo
intitolato «Réflexion sur l'admission à l'eucharistie entre l'Eglise
chaldéenne et l'Eglise assyrienne d'Orient», (Riflessioni sull'ammissione
all'eucaristia tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira d'Oriente), che si
propone il fine di "chiarificare il contesto, il contenuto e
l'applicazione pratica di queste disposizioni", l'Osservatore Romano (in
lingua francese) del 27 novembre 2001 cita le preghiere nelle quali, secondo la
congregazione per la fede, sarebbero "di fatto presenti" benché
"disseminate" le "parole dell'istituzione
dell'eucaristia", in modo che esse costituiscono un
"quasi-racconto [sic] dell'istituzione eucaristica".
Eccole:
1) Tu, mio Signore,
per le tue numerose ed indicibili misericordie, ricordati nella tua bontà di
tutti i padri, giusti e retti, che fecero il bene davanti a te, nella memoria
del corpo e del sangue del tuo Cristo che ti offriamo sull'altare puro e santo,
come tu stesso ce l'hai insegnato.
2) Che tutti gli
abitanti della terra ti conoscano (...) ed anche noi, mio Signore, tuoi
servitori piccoli, fragili e miserabili, riuniti davanti a te, noi abbiamo
ricevuto per tradizione l'esempio che viene da te, rallegrandoci, glorificando,
esaltando, facendo memoria e celebrando questo grande e terribile mistero della
passione, della morte e della resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
3) Venga, Signore, il
tuo Spirito Santo e riposi sulle offerte dei tuoi servi, che le benedicano
[sic] e le santifichi affinché siano per noi, Signore, per la remissione dei
debiti, per il perdono dei peccati, per la grande speranza della resurrezione
dalla morte e per la vita nuova nel Regno dei cieli, contutti coloro che ti
furono graditi [28].
Senza dubbio,
commenta Julianus nel Courrier de Rome - Sì sì no no [29], queste preghiere presuppongono la
consacrazione, attestano che essa si trovava un tempo nell'anafora di Addai e
Mari, ma il lettore può, come abbiamo fatto noi, leggerle e rileggerle
e non troverà, neppure disseminate, le parole della consacrazione:
"Questo è il mio Corpo"; "Questo è il mio Sangue".
Ad esempio l'epiclesi
di questa anafora (la terza delle tre preghiere sopra riportate) domanda a Dio
la consacrazione (la parola "santificare" ha verosimilmente il senso
di "consacrare"); ma il modo nel quale la consacrazione è espressa
è invalido perché non comporta la formula consacratoria.
Nella liturgia romana
si trovano simili formule, ad esempio la preghiera Quam oblationem che
precede la consacrazione, nella quale si domanda a Dio di benedire le oblate
affinché divengano il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo; ma è chiaro che, se il
sacerdote fosse distratto ed omettesse la preghiera seguente in cui si trovano
le parole della consacrazione, non si avrebbe la Presenza reale.
D'altronde la
questione è decisa poiché Roma si è espressa a più riprese condannando coloro
che attribuivano valore consacratorio a questa preghiera di epiclesi. In un
breve dell'8 maggio 1822 indirizzato al patriarca greco-melchita di Antiochia
ed ai suoi vescovi, Papa Pio VII scrive:
"Non senza
dolore constatiamo che certe posizioni sono diffuse da degli scismatici i quali
affermano che la forma di questo sacramento vivificante (l'eucaristia) non
consiste nelle sole parole di Cristo - che i ministri latini come quelli greci
utilizzano per la consacrazione - ma che la consumazione della consacrazione
suppone la preghiera (l'epiclesi) la quale presso di noi precede, presso di
loro segue le parole sopra ricordate. (...) Nel nome della santa ubbidienza
ordiniamo che costoro non osino mai più sostenere quest'opinione affermante che
questa trasformazione ammirabile di tutta la sostanza del pane nella sostanza
del corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del sangue
supponga che oltre alle parole di Cristo occorra recitare questa formula di
preghiera (ecclesiasticam precum formulam) che noi abbiamo già
menzionato (DS 2718).
Parimenti San Pio X
nella lettera Ex quo non del 26 dicembre 1910 condanna coloro che dell'uso
dell'epiclesi fanno una conditio sine qua non per la
validità dell'eucaristia (DS 3556).
L'articolo
dell'Osservatore Romano conclude: "In questo modo nell'anafora di Addai e
Mari le parole dell'istituzione non sono assenti ma sono menzionate
esplicitamente, anche se si trovano disseminate nei passaggi più importanti
dell'anafora". Ma in realtà non le si trova proprio.
Un'influenza del mistero pasquale?
Nell'articolo già
citato dell'Osservatore Romano in lingua francese del 27 novembre
2001, il pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani
conclude i suoi argomenti teologici a favore della validità dell'anafora con queste
riflessioni:
"D'altronde è
chiaro che i brani sopra menzionati [le tre preghiere da noi riprodotte]
esprimono la piena convinzione della commemorazione del mistero pasquale del
Signore nel senso forte di renderlo presente, cioè con l'intenzione di tradurre
in atti esattamente ciò che Cristo ha stabilito con le parole e gli atti mentre
istituiva l'eucaristia".
Vi è qui
verosimilmente un'influenza della "teologia del mistero pasquale [30] che deriva a sua volta dalla
"teologia del mistero" di Dom Casel. Questa
teologia ritiene che la concezione che ha la scolastica dei sacramenti
come "strumenti produttori di grazia santificante" è riduttiva; per
Dom Casel ed i suoi discepoli il sacramento è un mistero che contiene il Cristo
tutto intero e la sua opera redentrice.
"Per loro [i
teologi del mistero] la grazia è Cristo stesso e la sua opera redentiva in
tutta la sua pienezza, e non solamente un fluido che ne deriva
e che il sacramento ci dà più o meno "come un medicinale in un
cialdino" [31]. Ma i segni sacramentali contengono e
realizzano ciò che rappresentano - quest'espressione, di Eugène Masure,
suscitava l'ammirazione di Dom Casel" [32].
Questa teologia del
mistero afferma che il Cristo sarebbe presente con una presenza misterica
grazie agli atti dell'assemblea che fa memoria di lui; logicamente, per la
teologia del mistero, il semplice fatto di realizzare un memoriale rituale
dell'ultima Cena sarebbe sufficiente a rendere valida la messa.
Con
o senza l'influenza della teologia del mistero, i "nuovi teologi" si
sono dimostrati sodisfatti di questa decisione romana nella misura in cui
essa li conferma nel loro rigetto della teologia tradizionalesulla materia
e forma dei sacramenti (qualificata come "concezione magica dei
sacramenti").
Il
padre Robert Taft S.J., [33] sostenitore di questa nuova
teologia, ritiene che questo documento romano sia "probabilmente la
decisione più significativa emessa dalla Santa Sede negli ultimi
cinquant'anni", perché essa "ci fa sorpassare una teologia medievale
di "parole magiche" [34].
Questa nuova teologia
ha conquistato la conferenza episcopale tedesca; nel documento "Dei
genitori nel dolore perché hanno perduto il loro neonato. Indicazioni per
l'accompagnamento religioso e spirituale", essa si esprime così: "Se
nel passato, in casi urgenti, si battezzava anche senza l'autorizzazione dei
parenti, e se si battezzavano perfino dei feti, ciò era perché la Chiesa voleva
impiegare la "via sicura" (nel senso deltuziorismo). Occorre
rendersi conto che così si rischiava di favorire una concezione magica dei
sacramenti. Bisogna al contrario sottolineare: colui che non si oppone alla
grazia di Dio non può uscire fuori da essa"[35].
Sempre secondo il
gesuita Taft, "il documento riconosce gli enormi progressi fatti
negli studisull'evoluzione della preghiera eucaristica. Chiunque legga un libro
sulla liturgia scritto negli ultimi cinquant'anni sa che oggi è generalmente
accettato che la preghiera consacratoria dell'eucaristia è l'intera preghiera
sui doni, e non solo una formula verbale estratta dal suo contesto" [36].
Questa è anche
l'opinione del P. Peter Hofrichter, sostenitore della validità di
quest'anafora, il quale scrive:
"La
testimonianza dell'anafora degli apostoli Addai e Mari può portare a farci
comprendere che l'antica controversia tra cattolici ed ortodossi sulla
questione di sapere se la presenda di Cristo nel sacramento dell'eucaristia si
effettua per mezzo delle parole dell'istituzione oppure per mezzo dell'epiclesi
dello Spirito Santo è di fatto priva di significato. Non è per
mezzo di questa o di quella formula, ma per mezzo dell'insieme della
celebrazione con la sua grande preghiera o anafora che il Cristo diviene
presente nelle offerte eucaristiche del pane e del vino non meno che in
conformità alle sue promesse: "Laddove due o tre sono riuniti nel Mio
Nome, Io sono in mezzo a loro" (Mt.18,20) [37].
Tuttavia in questo
modo si giunge a confondere la Presenza reale e sostanziale di Nostro
Signore nell'eucaristia con la sua presenza spirituale nell'assemblea; si
ritrova qui l'errore della prima versione dell'articolo 7 dell'Institutio
generalis del nuovo messale:
"La Cena del
Signore, altrimenti detta la messa, è una sacra sinassi, cioè la
riunione del popolo di Dio sotto la presidenza del sacerdote per celebrare il
memoriale del Signore. Ecco perché la riunione della Chiesa locale realizza in
modo eminente la promessa del Cristo: "Quando due o tre sono riuniti nel
Mio Nome, Io sono là in mezzo a loro" (Mt. 18, 20) [38].
Ma in questo modo,
come notavano i cardinali Ottaviani e Bacci, ci "si allontana in
modo impressionante, nell'insieme come nel dettaglio, dalla teologia cattolica
della Santa Messa quale è stata formulata alla XXII sessione del Concilio di
Trento. [39]
Come il cardinale si condanna da sé
Qualunque possa
essere il momento in cui - secondo il pensiero degli autori del documento
romano - si realizzasse la transustanziazione, ci si sorprende molto di leggere
al termine del testo:
"Quando i fedeli
caldei [cioè i cattolici] partecipano ad una celebrazione assira della santa
eucaristia, il ministro assiro è caldamente invitato ad introdurre nell'anafora
di Addai e Mari le parole dell'istituzione"[40].
Di fatto il
cardinale ammette che la messa è valida senza le parole della consacrazione,
però ora domanda di aggiungere queste stesse parole.
Ma allora si consacra
due volte, cosa che è strettamente proibita; è infatti una grave mancanza di
rispetto verso il sacramento il ripeterlo nel momento in cui è stato già
validamente confezionato [41].
Così è proibito
ribattezzare chiunque sia stato validamente battezzato, e non dimentichiamo che
Mosè fu severamente punito per aver colpito due volte la roccia nell'intento di
farne uscire acqua, poiché dubitava che un solo colpo potesse essere
sufficiente.
A meno che la prima
consacrazione, quella realizzata dall'insieme dell'anafora, sia dubbia, ma
allora non si ha il diritto di comunicare ad una tale cerimonia.
In breve, il
cardinale si condanna da se stesso con questo "caldo invito" ad
aggiungere le parole della consacrazione ad una cerimonia che aveva ammesso
essere valida senza queste stesse parole.
Un successo per l'ecumenismo?
Il cardinal Walter
Kasper, presidente del pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei
cristiani presenta quest'atto come un grande successo ecumenico; nel suo
discorso pronunciato in occasione del congresso "Prospettive dell'ecumenismo
nel XXI secolo" tenutosi a Berlino dall'1 al 4 novembre 2001 egli ha
dichiarato:
Abbiamo riconosciuto
la validità dell'anafora di questa Chiesa (assira) anche se questa preghiera
riporta il racconto dell'istituzione eucaristica solo attraverso allusioni
disseminate e non sotto forma di una narrazione coerente. Così, al
cuore e nel punto culminante della vita cristiana, della celebrazione
dell'eucaristia, è stata riconosciuta l'unità nella diversità" [42].
Questo testo è forse
un gran successo ecumenico; ma soprattutto manifesta che l'ecumenismo conciliare
non è cattolico.
Quanto al cardinal
Ratzinger, se è un custode della fede, vi sono serie ragioni per chiedersi di
quale fede si tratti. [Traduzione : CSAB]
NOTE:
[1] Le Sel de la terre, Editoriale
del n° 43.
[2] "Le edizioni Piemme hanno
pubblicato un'aggiornata biografia del prefetto della congregazione per
la Dottrina della Fede: Ratzinger custode della fede (Ratzinger gardien de
la foi, 219 pagg.). L'autore è Andrea Tornielli, vaticanista del Giornale e
collaboratore della nostra rivista". (30 Giorni, n° 4, 2002, pag. 21).
[3] Secondo la testimonianza di una persona
che viveva in Portogallo, Lucia, avendo bisogno di farsi fare gli occhiali, fu
visitata da un oftalmologo, il quale avrebbe detto: questa persona ha subito
tempo fa un'ustione dovuta ad una luce intensa che avrebbe dovuto renderla
cieca.
[4] In questo modo il cardinale si dimostra
l'obiettivo alleato di coloro che, come il padre Dhanis, cercano di rendere le
visioni di Fatima il più "soggettive" possibile e perciò meno certe.
Si veda il libro di frère MICHEL DE LA TRINITÉ, Toute la vérité sur
Fatima (specialmente il tomo I), Saint-Parres-lès-Vaudes, CRC, 1985.
[5] Si veda Le Sel de la terre 40,
p. 244 e sgg.
[6] Non dimentichiamo che, per il cardinale,
l'oggetto esteriore ci perviene solo attraverso il filtro dei nostri sensi che
devono compiere un processo di traduzione; in altri termini io ho sempre solo
un testo tradotto, e non vedo mai l'originale.
[7] Ad esempio Étienne Gilson, Le réalisme
méthodique, Téqui, 1936; Étienne GILSON, Réalisme thomiste et critique
de la connaissance, Vrin, 1939.
[8] Almeno se si traggono logicamente le
conseguenze dai principi. È tuttavia vero che spesso gli uomini sono illogici.
[9] Cardinal RATZINGER citato dal professor
BARTH, La Messe en question, Actes du 5è congrès de Sì Sì
No No, avril 2002, Publication du Courrier de Rome, 2002, p.
404.
[10] Ibidem.
[11] DC 3 marzo 2002, n° 2265, p. 214. Mgr
Tissier de Mallerais ne ha parlato nel suo sermone per le ordinazioni ad Écône:
si veda Le Sel de la terre 42, p. 12.
La liturgia di Addai
e Mari è utilizzata dai siriaci orientali, chiamati anche assiro-caldei;
costoro contano tra di loro dei nestoriani (che si chiamano da poco
"assiri") i quali sono scismatici (eretici), e dei caldei che sono
cattolici. Anche questi ultimi (i caldei) utilizzano questa liturgia di Addai e
Mari ma con le parole della consacrazione, cosa che fa proprio una immensa
differenza.
Sui cristiani
d'Oriente si veda l'articolo dell'abbé Michel BONIFACE, Bref résumé de
histoire de l'Église d'Orient, Le Sel de la terre 35, p.
166.
[12] Questo gesto è stato soppresso nella
nuova messa. Anche se questo gesto d'adorazione è stato aggiunto più tardi
nella Messa romana, ciò è sufficiente a provare che in quel momento esiste la
Presenza reale: la Chiesa non può imporre un gesto d'adorazione se la
transustanziazione non ha avuto luogo.
Le liturgie orientali
hanno altri segni d'adorazione; esse fanno uso dopo ogni consacrazione di
acclamazioni "amen! amen!" che non lasciano alcun dubbio
sull'efficacia delle parole dell'istituzione. (Si veda AMIOT, Histoire
de la messe, éd. du CIEL, 2000, p. 112).
[13] "Anafora" è un termine greco
che in Oriente designa ciò che nella liturgia romana chiamiamo il Canone della
Messa.
Messa.
[14] DC 3 marzo 2002, n° 2265, p. 214.
[15] Il cardinal Ratzinger si appoggiava su
questo stesso argomento dell'antichità per rimproverare a Mons. Lefebvre il suo
rifiuto della nuova liturgia in una lettera del 20 luglio 1983. In effetti gli
autori della nuova messa pretendevano di basarsi su di un canone antichissimo,
quello di Sant'Ippolito, che risalirebbe al III secolo; tuttavia, nel
pubblicare una versione ricostruita dell'"anafora di Ippolito" nel
1946, Dom Botte si era preoccupato di affermare che si trattava di una forma
ipotetica; di più ancora, il testo della prex n° II non
contiene gran che di antico poiché si tratta di un semplice adattamento di
quella pubblicata da Dom Botte. Infine numerosi elementi di critica interna
dovrebbero portare a rigettare questo formulario (si veda Louis GRENIER
in Quark, n° 12, pag. 57-58 ; si veda anche la lettera di Stéphane
Wailliez a Mgr Raffin pubblicata in DICI n° 42, in cui egli dimostra che è
proprio dal 1946 che si è saputo dello stato assai ipotetico di questa anafora,
anche se poi degli studi più recenti hanno confermato ciò.).
[16] La tradizione caldea narra che
sant'Addai e San Mari furono tra i primi 72 discepoli; interpretando
liberamente il termine "apostoli" essa chiama questa preghiera
eucaristica "anafora dei santi apostoi Addai e Mari" o ancora "anafora
dei santi apostoli", sebbene il loro apostolato in Mesopotamia resti un
fatto storicamente dubbio. Si pensa che questa liturgia potrebbe risalire al
III secolo.
[17] Professor BARTH, L'Anaphore
d'Addaï et Mari, p. 423.
[18] Professor BARTH, L'Anaphore
d'Addaï et Mari, p. 433-434. Il fatto è ammesso dai "teologi"
attuali favorevoli alla validità di quest'anafora come Peter HOFRICHTER: L'anaphore
d'Addaï et Mari dans l'Église d'Orient. Une eucharistie sans récit de
l'institution?, Istina (revue publiée par les dominicains de Paris), 1995,
n° 1, p. 97.
[19] L'ultima edizione, dell'anno 1982, di
questo messale caldeo contiene le parole della consacrazione:Missel chaldéen edito
da Mons. Francis Youssef ALICHORAN, Paris, 1982, p. 16 sgg. Così già
nell'edizione del 1767 a Rome (DTC, Messe, col. 1459).
Gli stessi anglicani
hanno inserito le parole della consacrazione nei libri liturgici che hanno
stampato ad uso degli assiri convertiti all'anglicanesimo (Professor BARTH, «L'Anaphore
d'Addaï et Mari», p. 434).
[20] L'epiclesi è la forma deprecativa (di
conseguenza priva della forma consacratoria) con cui si chiede a Dio di
inviare il Suo Spirito sui doni offerti, pane e vino, per trasformarli nel
Corpo e Sangue di Gesù Cristo.
[21] Professor BARTH, L'Anaphore d'Addaï et
Mari, p. 426. Anamnesi: preghiera posta dopo la consacrazione in cui, in tutti
i riti, si fa memoria dell'economia della salvezza mentre si offre il
sacrificio. Nel rito romano, è l'Unde et memores....
[22] Si veda Nouvelles de Chrétienté n°
73, marzo-aprile 2002, pag. 5-10.
[23] Si veda DTC, Messe, col.
1328 (P. Jugie).
[24] Professor BARTH, L'Anaphore
d'Addaï et Mari, p. 440.
[25] Si veda: Professor BARTH, L'Anaphore
d'Addaï et Mari; l'articolo di JULIANUS nel Courrier de Rome – Sì
sì no no, aprile 2002, pag. 1-4 [in italiano Sì sì no no 15 Gennaio 2002];
e l'articolo dell'abbé LORBER in Nouvelles de Chrétienté n°
73, marzo-aprile 2002, pag. 5-10. Ciò detto, l'ignoranza del clero
nestoriano è tale che non si sa esattamente quale sia la fede di questa
comunità.
[26] Per la Roma conciliare si può
ritagliare a pezzi la fede; infatti il nuovo Codice ammette che degli eretici
possano ricevere i sacramenti cattolici nel momento in cui professano "la
fede cattolica su questi sacramenti", anche se per il resto non hanno la
fede cattolica: "I ministri cattolici amministrano lecitamente i
sacramenti della penitenza, dell'eucarestia e dell'unzione dei malati ai (...)
cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, (...) purché
manifestino la fede cattolica su questi sacramenti e che siano debitamente
disposti" (Can 844, § 3 et 4).
[27] Professor BARTH, L'Anaphore
d'Addaï et Mari, p. 437. Si tratta beninteso della forma nestoriana
(assira) dell'anafora.
[28] L'ORLF, 27 novembre 2001, p. 9. La
terza preghiera è il testo dell'epiclesi.
Abbiamo conservato il "tu" della traduzione dell'ORLF, ma il caldeo-siriaco, secondo uno specialista, utilizza una forma che si può tradurre col "voi" (conformemente all'uso francofono nei testi sacri - fino al concilio).
Abbiamo conservato il "tu" della traduzione dell'ORLF, ma il caldeo-siriaco, secondo uno specialista, utilizza una forma che si può tradurre col "voi" (conformemente all'uso francofono nei testi sacri - fino al concilio).
[29] Courrier de Rome – Sì sì no no,
aprile 2002, pag. 3 [in italiano Sì sì no no 15 Gennaio 2002].
[30] Si veda la seconda parte del libro
della Fraternità San Pio X, Le Problème de la réforme liturgique,Étampes,
Clovis, 2001 (recensito nel n° 38 di Le Sel de la terre).
[31] G. SÖHNGEN, Symbol und
Wirklichkeit in Kultmysterium, Bonn, 1940, 21° ediz., pag. 58.
[32] Dom Éloi DEKKERS (sostenitore di
questa teologia del mistero), La Liturgie, mystère chrétien,
La Maison-Dieu n° 14 (1948), pag. 40.
[33] Padre Taft è ex vice-rettore del
Pontificio Istituto Orientale e membro della Commissione speciale per le
liturgie orientali, conosce bene la questione di Addai et Mari perché ha
insegnato a Bagdad.
[34] Courrier de Rome - Sì sì no no,
aprile 2002, pag. 4.
[35] Citato dal professor BARTH, L'Anaphore
d'Addaï et Mari, p. 443. I sacramenti non hanno nulla di
"magico", essi operano in virtù dell'onnipotenza di Nostro Signore
che si serve di questi riti come di strumenti per conferire la Sua grazia.
[36] È esatto affermare che l'insieme delle
preghiere e dei gesti della Messa, specialmente durante il canone, sono
importantissimi. Non è sufficiente assicurare la validità (per esempio nella
nuova messa) per avere una messa "buona". Ma da ciò non si può
concludere dall'importanza di queste preghiere la loro necessità per la
validità. Ancor meno si può ammettere che queste preghiere, astrazion fatta per
le parole della consacrazione, sarebbero sufficienti per assicurare la
transustanziazione.
[37] Peter HOFRICHTER, L'anaphore
d'Addaï et Mari dans l'Église d'Orient. Une eucharistie sans récit de
l'institution?, Istina, 1995, n° 1,
pag. 104.
pag. 104.
[38] Institutio generalis missalis romani 7.
Enchiridion documentorum instaurationis liturgicæ 1402, nota a piè di pagina
(testo latino), o Les nouveaux rites de la messe, Centurion, 1969,
p. 23.
[39] Bref examen critique de la nouvelle
messe, présenté à Paul VI par les cardinaux Ottaviani et Bacci, [Breve esame critico...] supplemento à
Introibo n° 95, Association Noël Pinot, 54 rue Delaâge, 49100 Angers, pagg. 2 e
3. Testo riedito da Clovis in: La Raison de notre combat, la messe
catholique, Clovis, BP 88, 91152 Étampes cedex.
[40] DC 3 marzo 2002, n° 2265, pag. 214.
[41] Il luogo in cui devono essere aggiunte
le parole dell'istituzione non è indicato; negli antichi messali caldaici e
malabarensi (che utilizzano anch'essi i testi siriaco-orientali per la messa),
le parole consacratorie si trovano dopo la preghiera eucaristica; nei più
recenti si trovano dopo il Sanctus.
[42] Citato dal professor BARTH, L'Anaphore
d'Addaï et Mari, p. 436. Mentre il documento romano afferma che le parole
dell'istituzione «sono presentate, nell'anafora d'Addai et Mari, (...) in
maniera eucologica et disseminata», il cardinal Kasper, più onestamente, parla
solo di «allusioni disseminate».
Fonte: Le Sel
de la terre, Editoriale del n° 43 dei dominicani d'Avrilè legati alla FSSPX
e pubblicato in CAHIERS SAINT-CHARLEMAGNE n° 216 fonte della
traduzione italiana fatta per il Progetto Barruel
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