«È dunque solo in seno alla vera Chiesa che può fermentare
l’eresia antiliturgica,
vale a dire quell’eresia che si pone come nemica delle forme
di culto.
Soltanto dove c’è qualche cosa da demolire
il genio della distruzione cercherà di introdurre il veleno».
(Dom Prosper Guéranger)
«Quando la
Messa sarà distrutta, penso che avremo distrutto anche il
papato…
infatti il papato poggia sulla Messa come su una roccia.
Tutto questo crollerà quando crollerà la loro abominevole e
sacrilega Messa».
(Martin Lutero)
Come rileva Jungmann, «il Concilio di Trento separò, con le
sue sentenze dogmatiche, la verità dall’errore, mise in luce il carattere
oggettivo del sacrificio della Messa». Le barriere dottrinali e dogmatiche
definite da quel santo Concilio vennero impresse nella Messa che da esso
scaturì. «Una barriera invalicabile contro qualunque eresia» era stata eretta
in difesa della Chiesa Cattolica e della sua santa ortodossia.
La Messa di san Pio V venne celebrata, senza sostanziali
modifiche (eccettuata la riforma della Settimana Santa operata, sotto il
pontificato di Pio XII, da Annibale Bugnini), fino al termine del Concilio
Vaticano II. Attraverso questa assise – che si volle pastorale, ma che poi fu
eretta a “superdogma” – si introdussero in seno alla Chiesa dottrine nuove, che
contraddicevano – più o meno apertamente – il Magistero tradizionale.
Il documento conciliare Unitatis redintegratio,
per esempio, aprì la strada più che ad un sano ecumenismo (consistente nel
piegarsi delle ginocchia eretiche di fronte alla Croce di Cristo), ad un becero
irenismo. La dichiarazione conciliare Nostra ætate fece tirare
un sospiro di sollievo agli Ebrei che, da quel momento, non furono più
considerati deicidi. Lo stesso documento, strappando a Cristo l’unicità della
Verità e della Salvezza degli uomini, affermò che «Essa (la Chiesa Cattolica)
considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e
quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa
stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella
verità che illumina tutti gli uomini». La dichiarazione conciliare Dignitatis
humanæ, infine, detronizzò Cristo e pose l’uomo – la creatura –
al posto del Creatore. I tre documenti citati rappresentano i cardini della
Chiesa conciliare: ecumenismo, antropocentrismo, libertà religiosa.
Come scrive dom Guéranger, «la liturgia è argomento troppo
eccellente nella Chiesa per non essersi trovata esposta dagli attacchi
dell’eresia» e, infatti, dopo aver infettato il Concilio Vaticano II con le
eresie liberali, la gerarchia conciliare – consapevole del fatto che, per
mutare la lex credendi dei fedeli, è necessario in primo luogo
modificare la lex orandi – cominciò lo smantellamento
della vecchia Messa per fabbricarne, a tavolino, una nuova. Era necessario un
nuovo rito per un nuovo Credo.
Sull’Osservatore Romano del 19 marzo 1965, Annibale Bugnini
– artefice, assieme a Paolo VI, del Novus Ordo Missæ – affermò
che era necessario eliminare dalla Messa «ogni pietra che potesse costituire
anche solo l’ombra di un rischio di inciampo o di dispiacere (…) per i fratelli
separati».
Era necessario creare un rito ecumenico che potesse esser
celebrato sia dai protestanti che dai cattolici. Si cancellarono, quindi, i
nomi dei Santi e della Vergine (esattamente come la liturgia protestante che
«crede di non mancare di rispetto all’Essere Supremo invocando l’intercessione
della Santa Vergine e la protezione dei santi ed esclude tutta l’idolatria
papista che domanda alla creatura quello che dovrebbe domandare solo a Dio»),
si abolirono le formule appartenenti alla Tradizione della Chiesa,
sostituendole con passi delle Sacre Scritture o con altre innovazioni
liturgiche («nella loro furia di innovare, essi (gli eretici) non si
accontentano di sfrondare le formule di stile ecclesiastico, da loro marchiate
col nome di parola umana, ma estendono la loro riprovazione alle letture e alle
preghiere che la Chiesa ha improntato alla Scrittura. Cambiano, sostituiscono,
non vogliono pregare con la Chiesa, ma così facendo, si scomunicano da se
stessi»), fu abolito il latino («l’odio per la lingua latina è innato nel cuore
di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici
nell’universo, l’arsenale dell’ortodossia contro tutte le sottigliezze dello
spirito settario, l’arma più potente del papato») e, infine, si distrussero gli
altari e il sacerdozio («dove vi è un pontefice vi è un altare, e dove vi è un
altare vi è un sacrificio, e quindi un cerimoniale mistico»).
Il risultato fu la creazione di un rito protestante 2.0,
riveduto e, cattolicamente, scorretto. Non siamo profeti, ma le parole di
Lutero – «quando la Messa sarà distrutta, penso che avremo distrutto anche il
papato» – paiono drammaticamente vere: dopo aver distrutto la Messa con le
proprie mani, la Chiesa Cattolica sta vivendo il Suo più grande momento di
crisi.
Dom Guéranger scrive che «nel Communicantes come
nel Confiteor, non si menziona san Giuseppe, perché la
devozione a questo Santo benedetto era riservata agli ultimi tempi». Il nome di
san Giuseppe, però, è stato introdotto nel Canone da Giovanni
XXIII nel 1962 e, osservando la situazione della Chiesa Cattolica
contemporanea, pare davvero che si stiano vivendo gli ultimi tempi, quelli in
cui «dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo inquo, il figlio
della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che
viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio,
additando se stesso come Dio».
Matteo Carnieletto
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