“Avvenire”,
il quotidiano dei Vescovi, ha dato questo titolo al commento della
trasmissione La dolce morte, andata in onda mercoledì 5 settembre
su “Rai 3”: Eutanasia, dramma della solitudine. È possibile che il
primo quotidiano cattolico del paese banalizzi in questo modo la scelta
demenziale e feroce del servizio pubblico di fare pubblicità a Dignitas,
l’organizzazione che in Svizzera ha l’obiettivo di «assicurare ai suoi
membri una vita e una morte dignitose, valori a cui ogni essere umano ha
diritto», come dice lo statuto?
Non una parola sente di pronunciare “Avvenire” sulla
scelta di propagandare il suicidio da parte della “Rai-Tv”? Perchè
“Avvenire” non sottolinea che questa trasmissione è andata in onda proprio nei
giorni in cui si sviluppava la canea eutanasica attorno alla morte del Cardinal
Martini?
Conosce “Avvenire” quanto dichiarato da Emma Bonino in un’intervista a
“Left Avvenimenti” dello scorso 8 settembre? «Che differenza c’è tra
Piergiorgio Welby e il Cardinale Martini?», ha chiesto la giornalista e la
vice-presidente del Senato ha risposto: «Il cardinal Martini non ha
rifiutato l`accanimento – ovvero un trattamento inutile, che è già vietato – ma
ha rifiutato cure vitali, ovvero nutrizione e idratazione artificiali».
Sa “Avvenire” che attorno all’eutanasia si sta coagulando
da tempo uno schieramento omicidiario, che vuole mutare l’antropologia
umana e offrire alla modernità un concetto falso ed equivoco di libertà, che
corrisponde solo all’appagamento dei desideri individuali, al fine di
distruggere la stessa nozione di natura umana? Che senso ha parlare, allora, di
«solitudine» legata all’eutanasia?
Quella trasmissione intendeva esaltare la libertà di
regalarsi la morte. Una morte contrattualizzata, amministrata da
un’organizzazione che dichiara di aver dato la morte fino a tutto il 2010 a
1.138 persone. L’aiuto al suicidio passivo, oltre che con il pentobarbitale
sodico, uno stupefacente, viene dato con l’elio. Una tecnica sbrigativa, messa
a punto negli Stati Uniti, da Derek Humphry, membro del Final
Exit-Network, che nel 1992 diffuse un manuale contenente le indicazioni per
suicidarsi,Eutanasia: uscita di sicurezza, per poi pubblicare il volume
intitolato Liberi di morire, nel quale scrive che il trascorrere
degli anni aiuterà la causa della libertà del morire: «Con lo scomparire di
quelle generazioni che hanno attraversato le barbarie del ventesimo secolo, le
sue due guerre mondiali, le bombe atomiche, i genocidi, le devastazioni
ambientali e i suoi stili di vita irrispettosi dell’ambiente, le nuove
generazioni saranno capaci di guardare alle decisioni sulla morte con più buon
senso e compassione».
Buon senso, compassione, comprensione della solitudine,
forse anche tenerezza nei confronti di chi si fa uccidere. Sono forse
questi i canoni attraverso i quali giudicare il comportamento suicidiario? Non
esiste forse la norma che dice: «Ciascuno è responsabile della propria vita
davanti a Dio che gliel’ha donata. E’ lui che ne rimane il sovrano Padrone. Noi
siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e
per la salvezza delle nostre anime. Siamo gli amministratori, non i proprietari
della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo?»
La norma è chiara e delinea una situazione di peccato
mortale per chi si toglie la vita o per chi chiede gli venga tolta. Ma
il Catechismo della Chiesa è superato dalla modernità, tanto che viene
insegnato sempre meno nelle Parrocchie. Nelle redazioni dei giornali cattolici,
invece, sembra che non venga neanche consultato. Ci si affidi allora alla
preghiera, perché Dio aiuti quei cattolici attratti dall’andazzo di questo
mondo che vogliono avere comprensione per tutto e per tutti, tranne che per i
principi della dottrina cattolica.
di Danilo Quinto
fonte: Corrispondenza Romana
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