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Come è noto, di fronte alla crisi morale e religiosa
del nostro tempo, la diocesi di Padova ha interpretato l’esigenza della nuova
evangelizzazione nel senso di un' inversione dei ruoli: non è la Chiesa che
deve portare l’annuncio cristiano al mondo (cioè trasmettere la fede), ma è il
mondo che deve comunicare alla Chiesa i valori della
propria “cultura”.
[Per questo si potrà dire a buon diritto che, se
il Santo Padre ha indetto l’anno della fede, questo debba essere inteso
propriamente come "anno della fede nel mondo"].
Le linee programmatiche di questo nuovo modo di intendere il
compito della Chiesa, tradotte negli orientamenti pastorali 2012/2013,
da estendere a tutte le diocesi del Triveneto e presentate al recente convegno ecclesiale di Aquileia 2°,
vanno a fondersi con il programma della nuova iniziazione cristiana -di
cui si è già parlato- in un unico corpus, che approda ora in veste patinata
nelle parrocchie diocesane.
Gli estensori, non più avvezzi, per aver abbandonato
San Tommaso, alle geometrie della logica aristotelica e insofferenti agli
schemi sintattici del discorso, adottano spontaneamente il più aggiornato stile
dell’impressionismo linguistico, vicino ai giovani della scuola
dell’obbligo, che con la calda umanità dell’approssimazione si affida più
al suono delle parole che al loro significato.
Cosicché, l’uso
libero, immaginifico e fluviale di esse può creare qualche imbarazzo
all’interprete inesperto.
Ma, al di là del fumo, si può trovare anche l’arrosto,
assicurato dalla forza creativa e dal vigoroso pensiero che aleggia in
Diocesi, sostenuto da una sapiente sensibilità “bocconiana”, capace di indicare
finalmente nell’economia il fondamento di ogni reale palingenesi.
Se compito primario della Chiesa è farsi innervare dallo
spirito del tempo e colmare così ogni distanza dalla cultura contemporanea,
occorre anzitutto, si dice -con commovente fiducia nella salubrità
dell’aria mondana- “aprire porte e finestre”, ma non senza una
preventiva pulizia interna. E’ necessario "abbandonare la logica del fare
e abbracciare quella dell’essere". In che modo? Cambiando stile di vita,
e improntando questo a quella nuova categoria dello
spirito, anch’essa risaputamente bocconiana, che è la
“sobrietà”.
Qualche dubbio sull’appartenenza dello stile di vita
all'Essere e qualche curiosità su quali siano stati gli stili vita
adottati finora in Diocesi permane, ma non bisogna darsene
troppa pena. Infatti, l’attenzione del lettore è subito richiamata sull’importanza
di una pulizia ancor più sostanziale all’interno della
Chiesa. Essa deve, infatti, abbandonare
l’"autoreferenzialità”, cioè ogni posizione dottrinale e ogni pretesa
di verità. Si deve riconoscere, d’altra parte, che (testuale): “i
cristiani hanno contribuito al degrado attuale”; “i cattolici
non sono i detentori esclusivi del bene comune”; “la Chiesa è
stata pavida nell’assecondare il potere e il denaro”; “i laici sono
stati troppo subalterni ai loro pastori”, e via discorrendo.
Compiuta la necessaria pulizia interna, la Chiesa padovana,
insieme alle chiese sorelle, dopo essere entrata in vero e
profondo dialogo con la cultura contemporanea, dovrà infine
mettere in campo la propria laicità (sic!).
Qui la novità è assoluta, perché per la prima volta
scopriamo, accanto alla laicità dello Stato, la laicità della Chiesa,
possibilità finora sconosciuta per quell’obsoleto principio di non
contraddizione, ora insperabilmente superato. Assumere un atteggiamento laico
significa, secondo la vulgata diocesana: “capacità critica di fronte ai
problemi, attinenza alle situazioni, rispetto della legalità”.
Insomma, la Chiesa, una volta abbandonati i
criteri “religiosi” di un tradizione ormai sorpassata e adottati
quelli sanamente “laici”, potrà realizzare con il mondo una sorta
di fusione per incorporazione, che le permetterà di intraprendere il
cosiddetto “cammino comune”; il tutto nella nuova
luce e con la forza della “sinodalità”. E’ lungo
questa strada che si formeranno i nuovi cristiani, capaci finalmente
di perseguire il “bene comune”.
Ma cos’è questo bene comune? Quello che si realizza con
"l’educazione alla legalità” e con "la capacità di affrontare
immigrazione e integrazione”(!!!).
Può essere così accantonata la vecchia
raccomandazione di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è
di Dio, perché il bene comune, assicurato incondizionatamente dalle
leggi dello Stato, si sostituisce una volta per tutte a quella che in
tempi oscuri era la salvezza delle anime, concetto oramai imbarazzante dacché
non vende più all’intellighenthia di rito ambrosiano.
Bisogna riconoscerlo, il problema secolare del
rapporto tra legalità e giustizia, che tanto ha affannato la cultura
giuridica occidentale, è stato risolto infine, brillantemente, dal
vicariato padovano.
Il rinnovamento della chiesa padovana e delle chiese sorelle
passa anche attraverso un nuovo rapporto con i beni materiali, in linea
con il dogma contemporaneo che esaurisce tutta la moralità nella
gestione dell’economia e riduce il decalogo all’unico sesto comandamento.
Ma qui è meglio lasciare la parola direttamente al
vicariato, tramite alcuni passi degli orientamenti pastorali che offrono un
esaustivo panorama di questa nuova etica a
sfondo esclusivamente contabile. Con una prosa vibrante, tesa a trasmettere
una vera e propria mistica della gestione dei beni ecclesiastici, ci si
propone: “la elaborazione anche intellettuale di nuovi stili di vita
personali”, “la gestione solidale dei beni e delle persone”,
“risignificare il momento dell’offertorio come espressione concreta e
condivisa delle iniziative di solidarietà, nonché riprendere nelle omelie lo
stile evangelico nell’uso dei beni caratterizzato dalla povertà”(?!), e
tanto basti…
I temi etici, sottoposti sapientemente dalla Cei
ad amministrazione controllata, sono del tutto assenti dalle linee pastorali
diocesane. Del resto, come si sa, essi sopravvivono liberamente quasi solo
nell’omiletica papale e in quella di qualche ecclesiastico eccentrico
dell’appennino tosco-romagnolo.
Al progetto della chiesa padovana si dovranno docilmente
adeguare in una stretta intesa tutte le Chiese del nord est, fino a fondare
quel corpo unitario che possiamo chiamare già Chiesa Nord o Chiesa del Nord
Est.
Ma poiché corre voce, con riguardo al nuovo cammino
sacramentale, che, accanto alla confessione collettiva sull’altopiano di
Asiago, si avrà anche il battesimo comune una volta all’anno per
immersione nelle acque del Bacchiglione, si avverte
un pericoloso scivolamento verso la contaminazione leghista.
Infatti tra autonomismo e federalismo, rivolta antiromana e
riti popolari, la vicinanza tra Lega Nord e Chiesa Nord può non essere
solo linguistica. Certo, c’è qualche divergenza sui flussi migratori, ma in fondo
si tratta di uno stesso problema, solo affrontato da angolazioni opposte.
di Patrizio Letore
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