Il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II è alle porte (11 ottobre 1962) e le diverse anime della chiesa cattolica sembrano voler affilare le armi per l’occasione.
In gioco c’è molto: il futuro della chiesa dipende anche da come
viene assunta e interpretata l’assise conciliare. Il futuro della
chiesa, e anche di coloro che ne sono fuori, fra questi gli scismatici
lefebvriani che proprio in virtù d’una interpretazione oltremodo
negativa delle novità conciliari uscirono (e ancora oggi sono fuori)
dalla comunione con Roma.
Il 22 dicembre del 2005 Benedetto XVI ci scommise sopra una buona parte del pontificato. Il primo discorso programmatico, infatti, quello rivolto ai membri della curia romana a pochi mesi dall’elezione, lo dedicò di fatto a sbugiardare una certa ermeneutica della rottura dei lavori conciliari messa in campo principalmente dalla scuola storico-teologica bolognese che ebbe in Giuseppe Dossetti prima, e in Giuseppe Alberigo poi, due fra i principali promotori.
Ma loro, i dossettiani, non ci stanno e nell’imminenza del cinquantesimo affidano a uno dei loro storici di punta, Giuseppe Ruggieri, una rivisitazione del Concilio – “Ritrovare il concilio” (Einaudi, collana Vele) – che riprende tutti i punti chiave dell’esegesi progressista e che, secondo il loro punto di vista, intende rimettere le cose a posto. Della serie: “Ve lo diciamo noi cosa fu il Concilio”, un’assise nata dentro un Vaticano “conservatore” che promosse “una liturgia barocca” come cerimonia d’apertura. Una cerimonia che oppresse a tal punto Ruggieri, e con lui il padre Yves Congar, “che mai più ho messo piede in San Pietro per partecipare a una liturgia papale, a meno che non sia stato costretto in qualche altra occasione”.
Cosa fu il Concilio? Per molti, dice in sostanza Ruggieri, il male intrufolatosi fra le fessure della chiesa: “Il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, partecipò al Concilio con un sostanziale atteggiamento di rifiuto. Nell’irruzione a Roma di vescovi e teologi stranieri che parlavano in libertà sulle verità per lui inconcusse della dottrina tradizionale, vedeva infatti un pericolo per la chiesa cattolica, anzi un ritorno di quell’‘eresia modernistica’ che era stata condannata da Papa Pio X agli inizi del Novecento”.
Anche Paolo VI, dice Ruggieri, era spaventato. Temeva che cadesse il primato petrino. Scrisse così una Nota per circoscrivere il significato della collegialità dei vescovi. Annota in proposito nel suo diario il teologo Henri de Lubac: “Il Dr. Ratzinger è contrario alla Nota”, confermando in sostanza l’ipotesi ancora oggi per molti veritiera di un Ratzinger durante gli anni del Concilio propenso ad assumere posizioni di apertura più che conservatrici.
L’ermeneutica di Ruggieri è chiara: il Concilio, per volere di Giovanni XXIII, doveva essere una “nuova Pentecoste”, tant’è che nel suo annuncio d’indizione (25 gennaio 1959) tutti notarono l’assenza di uno scopo determinato. Tant’è che, come scrisse il cardinal Augustin Bea dopo aver ascoltato l’annuncio di Papa Roncalli, dal Concilio “lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze”.
Un balzo innanzi, dunque.
Questo per Ruggieri fu, o comunque avrebbe dovuto essere, il Concilio. Non così per Benedetto XVI. Nel discorso alla curia romana spiega, da teologo, che non è valida l’ermeneutica della rottura, del balzo in avanti che tradisce il passato. E qui Ruggieri attacca.
Scrive che Ratzinger in questo modo non permette alla chiesa di identificare il Concilio come “evento”. E costringe lo storico gesuita John W. O’Malley a dire: “Vaticano II: accadde qualcosa?”.
Insistere unilateralmente sulla continuità del Vaticano II con la tradizione non può, secondo Ruggieri, non far sì che ci si chieda se dunque qualcosa nel Concilio stesso è avvenuta. Dice ancora O’Malley: “Sebbene Trento insistesse sulla continuità, qualcosa cambiò, qualcosa accadde. Altrimenti, perché parleremmo di un’‘era tridentina’?”.
Che molto accadde durante il Concilio è fuori di dubbio. Sui temi della collegialità episcopale, della libertà religiosa e sui rapporti con l’ebraismo l’atmosfera si surriscaldò parecchio. La “nuova Pentecoste” secondo Ruggieri era lì, a un passo. Ma poi tutto si fermò: “I vari Papi promettono sempre di dare esecuzione alla volontà del Concilio, ma non lo fanno”. Già, ma la sfida di uno di questi Papi, Benedetto XVI, è invece proprio quella di compiere il Concilio, però a modo suo, secondo la sua ermeneutica che non sembra essere la medesima della cosiddetta “scuola di Bologna”.
http://www.paolorodari.com/2012/09/20/dossettiano-alla-carica-di-b-xvi-traditore-della-pentecoste-del-concilio/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+PalazzoApostolico+%28Palazzo+Apostolico+-+Diario+Vaticano+di+Paolo+Rodari%29&utm_content=Netvibes
Il 22 dicembre del 2005 Benedetto XVI ci scommise sopra una buona parte del pontificato. Il primo discorso programmatico, infatti, quello rivolto ai membri della curia romana a pochi mesi dall’elezione, lo dedicò di fatto a sbugiardare una certa ermeneutica della rottura dei lavori conciliari messa in campo principalmente dalla scuola storico-teologica bolognese che ebbe in Giuseppe Dossetti prima, e in Giuseppe Alberigo poi, due fra i principali promotori.
Ma loro, i dossettiani, non ci stanno e nell’imminenza del cinquantesimo affidano a uno dei loro storici di punta, Giuseppe Ruggieri, una rivisitazione del Concilio – “Ritrovare il concilio” (Einaudi, collana Vele) – che riprende tutti i punti chiave dell’esegesi progressista e che, secondo il loro punto di vista, intende rimettere le cose a posto. Della serie: “Ve lo diciamo noi cosa fu il Concilio”, un’assise nata dentro un Vaticano “conservatore” che promosse “una liturgia barocca” come cerimonia d’apertura. Una cerimonia che oppresse a tal punto Ruggieri, e con lui il padre Yves Congar, “che mai più ho messo piede in San Pietro per partecipare a una liturgia papale, a meno che non sia stato costretto in qualche altra occasione”.
Cosa fu il Concilio? Per molti, dice in sostanza Ruggieri, il male intrufolatosi fra le fessure della chiesa: “Il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, partecipò al Concilio con un sostanziale atteggiamento di rifiuto. Nell’irruzione a Roma di vescovi e teologi stranieri che parlavano in libertà sulle verità per lui inconcusse della dottrina tradizionale, vedeva infatti un pericolo per la chiesa cattolica, anzi un ritorno di quell’‘eresia modernistica’ che era stata condannata da Papa Pio X agli inizi del Novecento”.
Anche Paolo VI, dice Ruggieri, era spaventato. Temeva che cadesse il primato petrino. Scrisse così una Nota per circoscrivere il significato della collegialità dei vescovi. Annota in proposito nel suo diario il teologo Henri de Lubac: “Il Dr. Ratzinger è contrario alla Nota”, confermando in sostanza l’ipotesi ancora oggi per molti veritiera di un Ratzinger durante gli anni del Concilio propenso ad assumere posizioni di apertura più che conservatrici.
L’ermeneutica di Ruggieri è chiara: il Concilio, per volere di Giovanni XXIII, doveva essere una “nuova Pentecoste”, tant’è che nel suo annuncio d’indizione (25 gennaio 1959) tutti notarono l’assenza di uno scopo determinato. Tant’è che, come scrisse il cardinal Augustin Bea dopo aver ascoltato l’annuncio di Papa Roncalli, dal Concilio “lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze”.
Un balzo innanzi, dunque.
Questo per Ruggieri fu, o comunque avrebbe dovuto essere, il Concilio. Non così per Benedetto XVI. Nel discorso alla curia romana spiega, da teologo, che non è valida l’ermeneutica della rottura, del balzo in avanti che tradisce il passato. E qui Ruggieri attacca.
Scrive che Ratzinger in questo modo non permette alla chiesa di identificare il Concilio come “evento”. E costringe lo storico gesuita John W. O’Malley a dire: “Vaticano II: accadde qualcosa?”.
Insistere unilateralmente sulla continuità del Vaticano II con la tradizione non può, secondo Ruggieri, non far sì che ci si chieda se dunque qualcosa nel Concilio stesso è avvenuta. Dice ancora O’Malley: “Sebbene Trento insistesse sulla continuità, qualcosa cambiò, qualcosa accadde. Altrimenti, perché parleremmo di un’‘era tridentina’?”.
Che molto accadde durante il Concilio è fuori di dubbio. Sui temi della collegialità episcopale, della libertà religiosa e sui rapporti con l’ebraismo l’atmosfera si surriscaldò parecchio. La “nuova Pentecoste” secondo Ruggieri era lì, a un passo. Ma poi tutto si fermò: “I vari Papi promettono sempre di dare esecuzione alla volontà del Concilio, ma non lo fanno”. Già, ma la sfida di uno di questi Papi, Benedetto XVI, è invece proprio quella di compiere il Concilio, però a modo suo, secondo la sua ermeneutica che non sembra essere la medesima della cosiddetta “scuola di Bologna”.
IL FOGLIO
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