Chi prenderà l’eredità del cardinale Carlo Maria Martini? A chi guarderanno, in Italia, quei cattolici democratici che avevano nel biblista ed esegeta piemontese prestato alla diocesi meneghina un proprio padre putativo?
E oltre l’Italia, nell’Europa delle chiese più distanti dal
centralismo ro- mano, quelle di lingua tedesca su tutte, cosa faranno?
Esiste un nuovo Martini? E soprattutto: esiste una squadra nel collegio
cardinalizio che delle sue idee vuole ancora oggi essere portatrice?
Nel 2005 uscirono allo scoperto in modo clamoroso. Sul numero 49 di “Villa Nazareth”, il bollettino dell’istituzione per studenti universitari fondata a Roma negli anni Quaranta dal diplomatico vaticano e futuro cardinale Domenico Tardini (e rifondata nel 1983 dall’altro diplomatico e poi cardinale Achille Silvestrini), comparve con evidenza una foto di gruppo. In prima fila vi erano alcuni stu- denti ospiti della Villa. In seconda fila, alcuni cardinali. Oltre al padrone di casa, Silvestrini, i cardinali Cormac Murphy-O’Connor, Godfried Danneels, Martini, Karl Lehmann, Walter Kasper, Audrys J. Backis, Jean Louis Tauran. Si trovarono pochi giorni prima del Conclave per confrontarsi, c’è chi dice anche per trovare un’alternativa alla candidatura di Ratzinger. La storia poi andò come tutti sanno, ma oggi una doman- da resta: esiste ancora questo gruppo? E oggi che Martini non c’è più a chi guardano i suoi aderenti?
Rispondere significa mappare le diverse anime dell’episcopato mondiale e scandagliare il futuro. Di certo c’è che gli orfani di Martini non sono pochi. C’è il popolo che ha riempito, non senza stupire il Vaticano, il Duomo di Milano il giorno dei suoi funerali. E poi ci sono le gerarchie vicine all’idea di chiesa orizzontale del porporato piemon- tese: più collegialità nell’esercizio del governo della chiesa, più potere alle chiese locali e ai fedeli laici, minore ancoraggio ai dogmi di sempre nel nome di aperture che in qualche modo sappiano andare incontro ai tempi presenti. Ma un nome o più nomi esistono?
Stefano Ceccanti, senatore del Pd e studioso di teologia, dice che “non c’è in Italia un unico nome. Come non c’è un unico successore di colui che ne è stato in qualche modo l’alter ego, Camillo Ruini. Manca uno che sappia incarnare tutto ciò che Martini è stato. C’è Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, che è biblista come lui e che della Parola sa fare il medesimo prezioso uso, ma è di linea meno aperturista. C’è Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, che riesce come Martini a colpire le corde emozionali di un certo uditorio. E poi c’è l’ariovescovo Vincenzo Paglia, già padre spirituale di Sant’Egidio, oggi presidente della Famiglia, che sul piano sociale e sulla preminenza del so- ciale nella vita ecclesiale si muove come si muoveva Martini. Ma un solo nome non c’è”.
Fedeli di Martini sono i gesuiti americani della rivista America, in particolare l’ex direttore Thomas Reese che il Vaticano costrinse a dimettersi per le posizioni troppo liberal sui matrimoni gay. Fedeli sì, e per questo spesso su posizioni di dissenso rispetto a Roma.
Così recentemente, quando nella controversia fra la Dottrina della fede e le suore americane commissariate perché troppo liberal, loro, i gesuiti, hanno dichiarato di stare con le suore e dunque contro Roma. Ma oltre a Reese ci sono diversi car- dinali. Anzitutto Godfried Danneels, ex primate del Belgio, accusato di aver insabbiato sulla pedofilia. Karl Lehmann, l’allievo di Karl Rahner che guidò una Conferenza epi- scopale fra le più anti romane d’Europa. E poi anche l’emerito di Westminster Cormac Murphy-O’Connor che nel 2009 era a un pas- so dall’entrare, unico cattolico fra tanti vescovi anglicani, nella Camera dei Lord.
E oggi? Un porporato vicino alle idee di Martini è il cappuccino arcivescovo di Boston Sean Patrick O’Malley. E’ stato lui, insieme al primate di Vienna Christoph Schönborn – “uno fra i pastori più lucidi nell’affrontare i crimini di pedofilia”, ha detto lo storico dossettiano Alberto Melloni – a fare propria la svolta penitenziale sulla pedofilia. Un clero liberato dai mali del carrierismo, dell’ambi- zione, della corruzione dei costumi fino agli abusi sui minori, è la porta entro la quale un certo cattolicesimo progressista ha deciso oggi di passare. Ma in questo li ha preceduti Ratzinger, primo artefice “da destra” della lotta agli scandali. Segnale che oggi la chiesa di Martini fatica a trovare leader e nuove battaglie da combattere.
http://feedproxy.google.com/~r/PalazzoApostolico/~3/jkZGxVmj7ck/
Nel 2005 uscirono allo scoperto in modo clamoroso. Sul numero 49 di “Villa Nazareth”, il bollettino dell’istituzione per studenti universitari fondata a Roma negli anni Quaranta dal diplomatico vaticano e futuro cardinale Domenico Tardini (e rifondata nel 1983 dall’altro diplomatico e poi cardinale Achille Silvestrini), comparve con evidenza una foto di gruppo. In prima fila vi erano alcuni stu- denti ospiti della Villa. In seconda fila, alcuni cardinali. Oltre al padrone di casa, Silvestrini, i cardinali Cormac Murphy-O’Connor, Godfried Danneels, Martini, Karl Lehmann, Walter Kasper, Audrys J. Backis, Jean Louis Tauran. Si trovarono pochi giorni prima del Conclave per confrontarsi, c’è chi dice anche per trovare un’alternativa alla candidatura di Ratzinger. La storia poi andò come tutti sanno, ma oggi una doman- da resta: esiste ancora questo gruppo? E oggi che Martini non c’è più a chi guardano i suoi aderenti?
Rispondere significa mappare le diverse anime dell’episcopato mondiale e scandagliare il futuro. Di certo c’è che gli orfani di Martini non sono pochi. C’è il popolo che ha riempito, non senza stupire il Vaticano, il Duomo di Milano il giorno dei suoi funerali. E poi ci sono le gerarchie vicine all’idea di chiesa orizzontale del porporato piemon- tese: più collegialità nell’esercizio del governo della chiesa, più potere alle chiese locali e ai fedeli laici, minore ancoraggio ai dogmi di sempre nel nome di aperture che in qualche modo sappiano andare incontro ai tempi presenti. Ma un nome o più nomi esistono?
Stefano Ceccanti, senatore del Pd e studioso di teologia, dice che “non c’è in Italia un unico nome. Come non c’è un unico successore di colui che ne è stato in qualche modo l’alter ego, Camillo Ruini. Manca uno che sappia incarnare tutto ciò che Martini è stato. C’è Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, che è biblista come lui e che della Parola sa fare il medesimo prezioso uso, ma è di linea meno aperturista. C’è Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, che riesce come Martini a colpire le corde emozionali di un certo uditorio. E poi c’è l’ariovescovo Vincenzo Paglia, già padre spirituale di Sant’Egidio, oggi presidente della Famiglia, che sul piano sociale e sulla preminenza del so- ciale nella vita ecclesiale si muove come si muoveva Martini. Ma un solo nome non c’è”.
Fedeli di Martini sono i gesuiti americani della rivista America, in particolare l’ex direttore Thomas Reese che il Vaticano costrinse a dimettersi per le posizioni troppo liberal sui matrimoni gay. Fedeli sì, e per questo spesso su posizioni di dissenso rispetto a Roma.
Così recentemente, quando nella controversia fra la Dottrina della fede e le suore americane commissariate perché troppo liberal, loro, i gesuiti, hanno dichiarato di stare con le suore e dunque contro Roma. Ma oltre a Reese ci sono diversi car- dinali. Anzitutto Godfried Danneels, ex primate del Belgio, accusato di aver insabbiato sulla pedofilia. Karl Lehmann, l’allievo di Karl Rahner che guidò una Conferenza epi- scopale fra le più anti romane d’Europa. E poi anche l’emerito di Westminster Cormac Murphy-O’Connor che nel 2009 era a un pas- so dall’entrare, unico cattolico fra tanti vescovi anglicani, nella Camera dei Lord.
E oggi? Un porporato vicino alle idee di Martini è il cappuccino arcivescovo di Boston Sean Patrick O’Malley. E’ stato lui, insieme al primate di Vienna Christoph Schönborn – “uno fra i pastori più lucidi nell’affrontare i crimini di pedofilia”, ha detto lo storico dossettiano Alberto Melloni – a fare propria la svolta penitenziale sulla pedofilia. Un clero liberato dai mali del carrierismo, dell’ambi- zione, della corruzione dei costumi fino agli abusi sui minori, è la porta entro la quale un certo cattolicesimo progressista ha deciso oggi di passare. Ma in questo li ha preceduti Ratzinger, primo artefice “da destra” della lotta agli scandali. Segnale che oggi la chiesa di Martini fatica a trovare leader e nuove battaglie da combattere.
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