ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 8 ottobre 2012

Corvo Story

Il Corvo non è finito in gabbia
Tre anni ridotti a uno e mezzo per le attenuanti: è questa la condanna inflitta sabato all’ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, per furto aggravato. Il processo è durato una settimana (inizio il 29 settembre, quattro udienze). [1] La vicenda del “corvo” cominciò nell’agosto del 2011 con una serie di fughe di notizie relative a documenti riservati della Santa Sede.
Per fare chiarezza e individuare i colpevoli, il Papa istituì una commissione d’inchiesta composta da tre cardinali. A maggio l’editore Chiarelettere pubblicò il libro Sua Santità di Gianluigi Nuzzi, che conteneva carte provenienti dall’appartamento papale fornite da un fonte segreta. I sospetti si concentrarono così sull’entourage di Benedetto XVI. [2]

Gabriele, 46 anni, sposato con tre figli, fu arrestato il 25 maggio. Marco Ansaldo: «Il Papa è descritto come “disperato”. Ma, com’è tradizione in ogni giallo, alla fine il colpevole è sempre il maggiordomo. Il suo, questa volta». [3] Gian Guido Vecchi: «“Maggiordomo” non rende l’idea, anche se ad essere servito è Benedetto XVI. Perché l’“aiutante di Camera” è definito come uno dei “familiari” del Papa, la cerchia più intima della cosiddetta “famiglia pontificia”. E i “familiari” sono pochissimi: dai due segretari particolari, monsignor Georg Gänswein e monsignor Alfred Xuereb, alle quattro “Memores Domini” che si occupano dell’appartamento e della cucina, Carmela, Loredana, Cristina e Rossella». [4]

Gabriele divenne “aiutante di Camera” nel 2006, un anno dopo l’elezione di Benedetto XVI. Vecchi: «È descritto da tutti come una persona seria, semplice e per bene, cattolicissimo e devoto di Santa Faustina Kowalska, soprattutto “devoto e fedele al Papa”, insomma l’esatto contrario del “corvo”». Nuzzi descriveva la cosiddetta “fonte Maria” e le altre “gole profonde” come animate da un desiderio di verità e di trasparenza per il bene del Papa e della Chiesa. Il commento ufficiale vaticano annunciò «i passi opportuni, affinché gli attori del furto, della ricettazione e della divulgazione di notizie segrete, nonché dell’uso anche commerciale di documenti privati, illegittimamente appresi e detenuti, rispondano dei loro atti davanti alla giustizia». [4]

Gabriele ha confessato che il primo abboccamento con Nuzzi avvenne «a ottobre o forse a novembre 2011...»: «Essendo riuscito a contattare il giornalista presso la redazione de La 7 di via Sabotino, dopo una settimana circa ci siamo incontrati sempre davanti alla porta di via Sabotino ed insieme siamo andati nel suo appartamento di viale Angelico. Abbiamo quindi avuto una serie di incontri dapprima a distanza di una settimana e poi di due settimane». Poi ebbe «con Nuzzi un’intervista. In questa intervista vennero prese tutte le precauzioni necessarie perché non venissi riconosciuto». Maria Antonietta Calabrò: «Quindi è Gabriele la persona apparsa in tv il 22 febbraio scorso dove appariva camuffato, ma in cui egli stesso rivendicava di essere il “Corvo”». [5]

Il 13 agosto arrivò il rinvio a giudizio. Calabrò: «A sorpresa, gli imputati rinviati a giudizio sono stati due. L’ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele e, con un’accusa marginale, favoreggiamento personale di Gabriele, la new entry dell’inchiesta il cui nome finora era stato tenuto segreto: un dipendente laico della Segreteria di Stato, analista programmatore, Claudio Sciarpelletti. Cittadino italiano di 48 anni, andrà a processo a piede libero, dopo essere stato arrestato per una notte, il 25 maggio». [5] Marco Ansaldo: «All’uomo, che frequentava Paolo Gabriele anche con la famiglia, è stata trovata in ufficio dalla Gendarmeria una busta a nome del maggiordomo con alcuni documenti che avrebbero poi composto uno dei capitoli del libro di Gianluigi Nuzzi». [6]

Per spiegare il suo comportamento, volto, a suo dire, ad aiutare il Papa nella sua opera di pulizia grazie ad uno shock mediatico, Gabriele ha dichiarato: «Sono interessato all’intelligence... in qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera un infiltrato». Calabrò: «Il giudice istruttore ha disposto una perizia psichiatrica sull’imputato. Per il perito d’ufficio la condizione di Gabriele “non configura un disturbo di mente tale da abolire la coscienza e la libertà dei propri atti”, ma Gabriele è risultato persona “suggestionabile e quindi in grado di commettere azioni che possono danneggiare se stesso e o gli altri”». [5]

Alla domanda del presidente del tribunale Vaticano, Giuseppe dalla Torre, se si dichiarasse colpevole o innocente, sabato Gabriele ha risposto: «La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di aver agito per amore esclusivo, direi viscerale, per la chiesa di Cristo e per il suo capo visibile (il Papa, ndr). È questo che mi sento. Se mi devo ripetere, non mi sento un ladro». [7] Detto che il Vaticano non ha un penitenziario e che l’eventuale prigione di Gabriele sarebbe italiana, sembra certo che il Papa concederà la grazia. Poi è probabile che l’ex maggiordomo otterrà un impiego in Vaticano o, comunque, in seno alla chiesa cattolica, da qualche parte in Italia. [8]

Sin dalla sentenza di rinvio a giudizio, la magistratura vaticana ha precisato che il dibattimento si sarebbe concentrato sul solo reato di furto aggravato, fuori ogni altro possibile capo di imputazione: delitto contro i poteri dello Stato, vilipendio delle istituzioni dello Stato, calunnia, diffamazione, violazione dei segreti. La posizione di Sciarpelletti, e con lui i testimoni chiamati dalla difesa – tra gli altri, mons. Carlo Maria Polvani della segreteria di Stato – è stata stralciata alla prima udienza: il presidente del tribunale ha spiegato nel corso del dibattimento che nello stralcio è finito anche l’accertamento del materiale informatico trovato a casa del maggiordomo. [8]

Polvani, responsabile dell’informazione nell’esecutivo vaticano, è nipote di monsignor Carlo Maria Viganò, oggi nunzio apostolico negli Stati Uniti, e autore della lettera più dura contenuta nei documenti fuoriusciti. Marco Ansaldo: «Quella che contestava la decisione del segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, di allontanarlo dalla segreteria del Governatorato dove lavorava allora, denunciando la “corruzione” presente in Vaticano. Il documento finì sui giornali italiani e costituì l’antefatto del caso Vatileaks». [9]

Gli scontri che fanno da sfondo a Vatileaks contrappongono la vecchia e la nuova guardia dei più stretti collaboratori papali. [10] I giudici hanno escluso dagli atti del processo un articolo pubblicato sul quotidiano tedesco “Die Welt” che ipotizzava il coinvolgimento del cardinale Paolo Sardi, ex responsabile della stesura dei testi papali, del vescovo Joseph Clemens, ex segretario del cardinale Ratzinger, e di Ingrid Stampa, storica collaboratrice del Pontefice tedesco. [11] Il pezzo, oggetto della «totale riprovazione» della Segreteria di Stato Vaticana, era firmato da Paul Badde, considerato vicino al segretario del Papa, monsignor Georg Gänswein, colui che incastrò Gabriele (sul libro di Nuzzi c’erano lettere a lui indirizzate mai uscite dal suo ufficio). [12]


Note: [1] repubblica.it, 6/10; Gian Guido Vecchi, corriere.it 6/10; lastampa.it 6/10; [2] Corriere della Sera 14/8; [3] m. ans., la Repubblica 26/5; [4] Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 26/5; [5] Maria Antonietta Calabrò, Corriere della Sera 14/8; [6] Marco Ansaldo, la Repubblica 14/8; [7] Gian Guido Vecchi, corriere.it 6/10; [8] repubblica.it 6/10; [9] Marco Ansaldo, la Repubblica 30/9; [10] Giacomo Galeazzi, La Stampa 1/10; [11] Giacomo Galeazzi, La Stampa 30/9; [12] Marco Ansaldo, la Repubblica 3/10.

http://www.ilfoglio.it/singole/265


Dopo la condanna. Il maggiordomo e i suoi confidenti

Il direttore spirituale. Il cardinale Sardi. L'ex governante Ingrid Stampa. Tutti a sostegno del papa, a parole. Ma è Benedetto XVI la prima vittima del disastro

di Sandro Magister

ROMA, 8 ottobre 2012 – Tre anni di reclusione, ridotti con le attenuanti a un anno e mezzo. Questa è la pena alla quale il tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha condannato l'ex maggiordomo del papa Paolo Gabriele:

> Sentenza del Tribunale...

Ma la condanna di Gabriele per furto di documenti dall'appartamento del papa non rimedia affatto al dissesto in cui versa il governo centrale della Chiesa cattolica.

Anzi, il suo processo ha messo ancor più in evidenza quanto sia vulnerabile lo spazio di azione del papa, anche quando dovrebbe essere massimamente protetto.

Dal processo si è avuta conferma che l'ex maggiordomo ha potuto rubare oltre un migliaio di documenti importanti, anche i più riservati, anno dopo anno, con estrema facilità. Non nottetempo e di soppiatto, ma in orario d'ufficio, nella stessa stanza nella quale lavorava assieme ai due segretari particolari di Benedetto XVI, Georg Gänswein e Alfred Xuereb, sulle cui scrivanie passano tutte le carte dirette al papa o da lui provenienti.

In questa stanza, adiacente e comunicante con lo studio privato di Benedetto XVI – quello dalla cui finestra il papa benedice la folla in piazza San Pietro –, era stata assegnata a Gabriele una piccola scrivania con computer, e la fotocopiatrice a disposizione. Fotocopiava – si è saputo – anche in presenza dei due segretari, che gli affidavano piccole mansioni di segreteria e di corrispondenza.

Sottraeva e portava a casa le fotocopie dei documenti, ma non solo queste. Nei suoi armadi strapieni sono stati rinvenuti anche numerosi documenti originali, dal 2006 in avanti, anno della sua entrata in servizio. Carte firmate dal papa. Altre riguardanti sue cose personalissime. Altre con l'ordine scritto di suo pugno in tedesco: "zu vernichten", da distruggere. Altre ancora con messaggi diplomatici in cifra.

Esaurito il loro utilizzo immediato, tutte le carte personali del papa vengono riposte in un archivio che è nel piano sotto all'appartamento pontificio. Questo archivio è custodito da una consacrata tedesca in servizio presso la congregazione per la dottrina della fede, Birgit Wansing, che è anche la più capace e fidata trascrittrice su computer dei testi scritti a mano da Joseph Ratzinger. La vigilanza di Birgit Wansing risulta essere ferrea, invalicabile. Almeno questa.

Perché invece nel piano di sopra, per anni, è accaduto l'opposto. Quando Benedetto XVI aveva ospiti a tavola, Gabriele serviva, ascoltava e memorizzava. E quando di ospiti non ce n'erano, cioè nella maggior parte dei casi, il maggiordomo sedeva anche lui a mangiare col papa.

In quei momenti – ha detto in tribunale – "ho maturato la convinzione che è facile manipolare una persona che ha un potere decisionale così enorme. Il papa faceva domande su cose su cui doveva essere informato. Anch'io qualche volta esternavo".

Sta di fatto che Benedetto XVI e i suoi segretari hanno riposto una fiducia spropositata in un personaggio del quale avevano una conoscenza solo sommaria, arrivato ad essere "il laico più vicino al papa" per una serie di circostanze fortuite, e nemmeno particolarmente dotato nello svolgere le mansioni a lui affidate, secondo quanto testimoniato da monsignor Gänswein in giudizio.

Sta di fatto, ancora, che sono potuti sparire dei documenti originali, l'uno dopo l'altro, senza che scattasse mai alcun allarme. E per accorgersi che erano spariti anche un assegno di 100 mila euro e una pepita d'oro offerti al papa si è dovuto aspettare che l'uno e l'altra ricomparissero a casa di Gabriele.

Il processo ha accertato che, nell'atto materiale di rubare le carte del papa, Gabriele ha agito da solo. Già questo è un fatto di una gravità eccezionale, perché basta a intaccare la certezza che al papa si possa scrivere e parlare in assoluta riservatezza.

Ma il disordine è a più largo raggio. E lo stesso processo a Gabriele l'ha fatto intuire. Altre indagini per altri reati con eventuali altri imputati sono già in corso.

"L'istruttoria si presenta complessa e laboriosissima e quindi potrebbe durare per un periodo molto lungo", ha scritto il promotore di giustizia Nicola Picardi nella requisitoria per il rinvio a giudizio di Gabriele, annunciando ulteriori sviluppi.

Un secondo processo per favoreggiamento, a carico di un dipendente laico della segreteria di Stato, Claudio Sciarpelletti, si terrà probabilmente in novembre. In esso, tra i testimoni, sarà interrogato monsignor Carlo Maria Polvani, responsabile dell'ufficio documentazione della segreteria di Stato e nipote dell'attuale nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, le cui lettere al papa e ad altri dirigenti vaticani, trafugate da Gabriele e divenute di dominio pubblico, hanno fatto esplodere nel 2011 il caso "Vatileaks".

Ma già nel processo a Gabriele sono state chiamate in causa dall'imputato altre persone, di rango anche molto elevato, che egli ha indicato tra coloro con i quali si confidava.

Uno di questi era il suo confessore, don Giovanni Luzi. A lui Gabriele consegnò una seconda copia di molti dei documenti in suo possesso. Don Luzi ha detto ai giudici di averli bruciati, una volta conosciuta la loro provenienza disonesta. Ma al suo discepolo spirituale consigliò fino all'ultimo di negare la propria colpevolezza, "salvo che fosse il Santo Padre a chiederglielo di persona". Don Luzi è stato finora ascoltato solo come testimone.

Un altro dei confidenti citati da Gabriele è il cardinale Paolo Sardi, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, fino al 2009 responsabile dell'ufficio che cura la stesura dei discorsi del papa.

Regnante Giovanni Paolo II, Sardi si segnalava per la sua propensione a cancellare o "piallare" i suggerimenti che l'allora cardinale Ratzinger annotava a margine delle bozze dei discorsi papali datigli in visione.

E anche rispetto a Ratzinger divenuto papa Sardi ha sempre tenuto a distinguersi. Tant'è vero che in un'inchiesta del 2009 di padre Claude Barthe su "L'Homme Nouveau" – la rivista cattolica la cui editrice distribuisce in Francia "L'Osservatore Romano" – Sardi era messo non senza ragione tra i capofila del partito curiale che remava contro il segretario di Stato Tarcisio Bertone ma in definitiva contro lo stesso Benedetto XVI.

In effetti, tra le carte trafugate da Gabriele e date ai media ci sono due lettere di Sardi al papa molto feroci contro Bertone e il cardinale Dionigi Tettamanzi, ma in filigrana anche contro lo stesso Benedetto XVI, che nelle due vicende ivi richiamate stava dalla parte dell'uno e dell'altro cardinale.

Nella confezione dei discorsi di papa Ratzinger – come nell'edizione italiana dei suoi libri – ha inoltre un ruolo importante la sua colta ex governante Ingrid Stampa, oggi in servizio presso la segreteria di Stato e con libero accesso al papa. E anch'essa è stata citata da Gabriele tra i suoi confidenti.

Con Sardi, Ingrid Stampa ha un rapporto molto stretto, cementato da anni di lavoro comune. Viceversa, è in forte attrito con monsignor Gänswein, già da quando, poco dopo l'elezione di Ratzinger, ella si infilò accanto al papa e ai cardinali Angelo Sodano ed Eduardo Martínez Somalo nella cerimonia ufficiale con cui il nuovo eletto prendeva possesso dell'appartamento pontificio. La foto del quartetto, pubblicata su "L'Osservatore Romano", diede spunto a proteste e ironie che non si sono ancor oggi placate.

Ingrid Stampa abita in Vaticano nello stesso edificio di Gabriele. Ma aveva modo di incontrarlo anche nell'appartamento del papa, nel quale ella era ed è ospite almeno una volta alla settimana.

Intervistata dal "Corriere della Sera" dopo che Gabriele aveva fatto il suo nome, Ingrid Stampa ha parlato di lui in termini molto positivi: "È una persona che ragiona e osserva molto bene. Valuta le cose. Immagino che abbia raccolto tutto quel materiale per farsi un'idea della situazione. Se aveva delle preoccupazioni poteva parlarne al Santo Padre, magari avrei potuto farlo io per lui".

Stando a quanto ha detto in tribunale, Gabriele dà invece di sé un ritratto molto diverso. Si è definito "un infiltrato dello Spirito Santo" nei malaffari della Chiesa, per farvi pulizia. Nell'istruttoria e poi nel processo, i giudici vaticani si sono fatti di lui l'idea che sia facilmente suggestionabile.

Con la mole di segreti che ha carpito, l'intento delle autorità vaticane è ora che Gabriele non aggiunga danno a danno, con memorie o interviste future.

Padre Federico Lombardi ha detto che quasi sicuramente Benedetto XVI gli concederà la grazia.

In Vaticano gli assegneranno un nuovo posto di lavoro a sua misura, il più lontano possibile dalle stanze del papa.     http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350339










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