Gli errori e le scuseSi
lavora a una dichiarazione comune per il 500° anniversario della
Riforma di Lutero nel 2017. A conferma che l'interpretazione della
storia può cambiare
Ormai è più che un'ipotesi: il 31
ottobre 2017, 500° anniversario della Riforma, cattolici e
protestanti esprimeranno "qualcosa" insieme. Andare oltre per noi
è prematuro, ma c'è chi l'ha già fatto.
Al termine dell'annuale seminario fra
il prof. Ratzinger e i suoi ex alunni, a Castelgandolfo in agosto, il
presidente del Ratzinger Schülerkreis, padre Stephan Horn a
Radio Vaticana dichiarava: "Il Santo Padre ha sempre avuto l'idea
che una purificazione della memoria sia necessaria ... la storia non
si può cancellare, ma può cambiare la sua interpretazione, il modo
con cui si giudicano i fatti".
Già molte le iniziative in programma e
questa sorta di mea culpa, pronunciato a due voci dopo secoli
di incomprensioni alla ricerca di punti di contatto, potrebbe esserne
il coronamento. Che la promuova fin d'ora un papa tedesco (con
tutta probabilità uno dei pochi, o forse l'unico, ad aver letto
cronache e discorsi dell'epoca, senza bisogno di traduzioni)
sarebbe un segnale di non poco conto. Del resto dal suo ultimo
viaggio in Germania la strada è indicata: Ratzinger teologo è
convinto che la lacerazione della Chiesa non fosse l'intenzione di
Lutero.
Ma un segnale ancora più forte è
venuto dal suo numero 2 in tema di dialogo ecumenico, il card. Kurt
Koch (non secondaria la sua origine svizzera), presidente del
Pontificio Consiglio per l'Unità dei cristiani. Ancora a Radio
Vaticana sull'anniversario: "Una celebrazione penitenziale comune
nella quale riconosciamo insieme le nostre colpe, perché il fatto
che la Riforma non abbia raggiunto il suo scopo, e cioè il
rinnovamento della Chiesa, ricade nelle responsabilità di entrambe
le parti: le ragioni sono di ordine teologico e politico.
Riconoscerlo e perdonarsi vicendevolmente per tutto questo, trovo che
sarebbe un gran bel gesto". Il documento elaborato a quattro mani
"Dal conflitto alla comunione" (nonostante resistenze "esterne")
non è quindi che il primo passo, anzi, "un ottimo punto di
partenza per il cammino futuro".
Ho sempre sentito parlare di quel
"mandato" di Paolo VI alla nostra diocesi che risale al 1964: "Al
tempo del Concilio la città di Trento era stata scelta per
facilitare l'incontro, per fare da ponte, per offrire l'abbraccio
della riconciliazione e dell'amicizia. Trento non ebbe questa gioia
e questa gloria. Essa dovrà averne, come noi, come tutto il mondo
cattolico, sempre il desiderio ... Essa dovrà non costituire un
confine, ma aprire una porta; non chiudere un dialogo, ma tenerlo
aperto; non rinfacciare errori, ma ricercare virtù; non attendere
chi da quattro secoli non è venuto, ma andarlo fraternamente a
cercare".
E' seguita a ruota l'istituzione di
un Ufficio ecumenico con numerosissimi "incontri". Nel merito le
Costituzioni sinodali del 1987: "Da allora il Signore ci ha
benedetti con segni di portata storica e di grande speranza,
culminati nell'Incontro di preghiera in Cattedrale dell'ottobre
1984". La prima volta riuniti in preghiera (ai piedi del Crocifisso
di quel Concilio che ne aveva decretato l'insanabile frattura)
rappresentanti della chiesa protestante e cattolica (per rimarcare il
senso di ospitalità, i pesanti banchi di rovere erano stati
spostati). Ricordo in particolare la commozione del card. Basil Hume
la stessa di tutti i presenti e quegli abbracci di pace le cui foto
restano in archivio.
Un po' come quell'evento storico in
occasione del Giubileo del 2000 quando il 12 marzo, sfidando non
poche resistenze "interne", papa Giovanni Paolo II ha compiuto un
gesto impensabile solo qualche decennio prima, ma che forse solo il
Vaticano II, con i suoi documenti, aveva reso possibile.
"La Chiesa e le colpe del passato"
era il titolo della relazione della Commissione Teologica
Internazionale, allora presieduta da Joseph Ratzinger. "La
purificazione della memoria richiede " un atto di coraggio e di
umiltà" nel riconoscere le mancanze compiute da quanti hanno
portato e portano il nome di cristiani". "Nell'intera storia
della Chiesa che non si incontrano precedenti richieste di perdono
relative a colpe del passato, che siano state formulate dal
Magistero. I Concili e le decretali papali sanzionavano certo gli
abusi di cui si fossero resi colpevoli chierici o laici, e non pochi
pastori si sforzavano sinceramente di correggerli. Rarissime sono
state però le occasioni in cui le autorità ecclesiali - papa,
vescovi o concili - hanno riconosciuto apertamente le colpe o gli
abusi di cui si erano rese esse stesse colpevoli. Un esempio celebre
è fornito dal papa riformatore Adriano VI che riconobbe apertamente,
in un messaggio alla Dieta di Norimberga del 25 novembre 1522 ...
Bisognerà attendere Paolo VI per vedere un Papa esprimere una
domanda di perdono rivolta tanto a Dio, che a un gruppo di
contemporanei. Nel discorso di apertura della seconda sessione del
Concilio il Papa " domanda perdono a Dio [...] e ai fratelli
separati " d'Oriente che si sentissero offesi "da noi "
(Chiesa cattolica), e si dichiara pronto, da parte sua, a perdonare
le offese ricevute". La prima di una lunga serie e si ricordano le
colpe ammesse dal Concilio, nei confronti dell'unità, della genesi
dell'ateismo ...
"La domanda di perdono non deve
essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come
rinnegamento della sua storia bimillenaria certamente ricca di meriti
nei campi della carità, della cultura e della santità. Essa
risponde invece a un'irrinunciabile esigenza di verità, che accanto
agli aspetti positivi, riconosce i limiti e le debolezze umane delle
varie generazioni dei discepoli di Cristo ", diceva Giovanni
Paolo II nel '99.
Una strada di pentimento e richiesta di
perdono per gli errori commessi nel passato (peraltro annunciati
nella Tertio Millennio Adveniente) che non era nuova al papa
polacco (conterraneo di Nikolaj Kopernik), vista la sua
"riabilitazione" di Galileo: "Concluso il caso Galileo"
titolavamo al settimanale diocesano la cronaca di una magistrale
lezione di padre Enrico di Rovasenda. Il 10 novembre 1979, ad un solo
anno dalla sua elezione, di fronte ai membri della Pontificia
Accademia delle Scienze annunciava: "La grandezza di Galileo è
nota a tutti, ma questi ebbe molto a soffrire da parte di uomini e
organismi della Chiesa. Così come è stato anche riconosciuto dal
Concilio Vaticano II, io auspico che teologi, scienziati e storici,
da qualsiasi parte provengano, approfondiscano l'esame del caso
Galileo, nel leale riconoscimento dei torti". Viene istituita la
"Commissione pontificia per lo studio della controversia
tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo", suddivisa in
quattro gruppi di lavoro, uno dei quali (e non poteva essere che
l'esegesi biblica), affidato a Carlo Maria Martini. La "relazione
Poupard" denuncia esplicitamente l'errore: "I giudici di
Galileo credettero a torto che l'adozione della rivoluzione
copernicana fosse tale da far vacillare la tradizione cattolica e che
fosse loro dovere proibirne l'insegnamento. Dobbiamo riconoscere
questi torti con lealtà, come ha chiesto Vostra Santità". Il
volume dell'attuale cancelliere della Pontificia Accademia delle
Scienze, Marcelo Sànchez Sorondo, o la prefazione ad un volume dello
storico Fantoli a firma del geuista Coyne, direttore della Specola
vaticana, affrontano la questione, senza dimenticare che spesso
qualcuno preferisca minimizzare (come accaduto con la censura
all'articolo di padre Brovedani).
Certo per secoli non era usuale
l'umiltà ma, come ebbe a dire ancora Giovanni Paolo II nel 350°
anniversario della pubblicazione del "Dialogo sui due massimi
sistemi": "Che la Chiesa abbia potuto avanzare con difficoltà in
un campo così complesso non ci deve sorprendere, né scandalizzare.
La Chiesa fondata da Cristo che si è dichiarato la Via, la Verità e
la Vita, resta tuttavia costituita da uomini limitati e legati alla
loro epoca culturale".
Nella Grande preghiera universale del
2000 si chiedeva perdono per ogni peccato commesso, per le colpe nel
servizio della verità, per i peccati che hanno compromesso l'unità
del Corpo di Cristo, per le colpe nei rapporti con Israele, per i
comportamenti contro l'amore, la pace, i diritti dei popoli, il
rispetto delle culture e delle religioni, i peccati che hanno offeso
la dignità della donna e l'unità del genere umano, i diritti
fondamentali della persona.
E numerose altre occasioni per
ammettere errori: in Spagna parlando dell'Inquisizione "si
produssero tensioni, errori ed eccessi che la Chiesa deve oggi
valutare e valuta alla luce obiettiva della storia"; in Camerun
chiede "perdono ai fratelli africani che tanto hanno sofferto per
la tratta degli schiavi". "La Chiesa - spiega nel 1984 a Santo
Domingo - non intende negare l'interdipendenza tra la croce e la
spada che caratterizzò la prima fase della penetrazione missionaria
nel Nuovo Mondo". Al Parlamento europeo "La cristianità latina
medievale non è mai sfuggita alla tentazione integralista di
escludere dalla comunità temporale coloro che non professavano la
vera fede" (e chi può dimenticare le scuse alle donne nella
Mulieris dignitatem?).
E abbiamo dovuto chiedere scusa anche
per lo scandalo pedofilia ...
"Fratelli divorziati" titolavamo
sempre al settimanale il numero scorso dopo un convegno diocesano
dove abbiamo ascoltato: "Alla Chiesa non chiediamo accoglienza, ma
il riconoscimento di farne già parte". Chissà che non si finisca
per chiedere scusa anche per loro, e per i loro figli.
di Maria Teresa Pontara Pederiva
30/11/2012 14:43 macv
ma perchè chieder scusa SOLO ai luterani? allora dobbiamo chieder scusa a tutti gli eretici!
"cari eretici, scusateci per aver creduto nella Verità e difeso
l'Ortodossia! Scusateci anche voi ariani, gnostici, cainiti, sabelliani,
montanisti, scusateci per aver creduto che vi fosse una Verità e delle
eresie!
Abbiamo capito che tutte le eresia hanno diritto come la Verità ad essere credute verità!
Scusateci per tutti coloro , Santi compresi, che hanno dato la vita
per la Verità, poveri illusi, non si rendevano conto che la verità non
esiste!
http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1067
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