È Anna, il sommo sacerdote, a svolgere il ruolo di “diabolos” nel quarto Vangelo
Nel
canto XXXIII dell’«Inferno», Dante Alighieri immagina che nel corpo di
un frate gaudente, Alberigo Manfredi da Faenza, si sia insediato un
diavolo; e che l’anima del frate sia già morta in vita, sicché non si
tratta della possessione diabolica di un vivo, ma della sostituzione
dell’anima di un essere umano con un Diavolo che, entrato nel suo corpo,
gli dà la mera apparenza di essere ancor vivo.
È
possibile che l’autore (o gli autori) del quarto Vangelo,
universalmente noto con il nome di Giovanni, abbia voluto alludere a un
fatto del genere, là dove, nel racconto della Passione di Gesù Cristo,
ci presenta la figura di Anna, il sacerdote giudeo che briga per
ottenere la morte del Salvatore, accecato da uno spirito di superbia e
di cupidigia che scaturisce, in ultima analisi, dalla brama di denaro,
il denaro a causa del quale la dimensione religiosa della vita del
Tempio di Gerusalemme si era spenta, soffocata dalla mentalità
affaristica?
È
possibile, cioè, che Anna sia stato uno strumento del Diavolo, e molto
più di quanto lo sia stato quel Giuda che, oltre a offrire una
informazione di valore assai dubbio a quelli che volevano catturarlo
(chiunque poteva riconoscere Gesù, che migliaia di persone avevano
ascoltato predicare nella città santa), aveva almeno, forse, delle
motivazione non del tutto spregevoli, ad esempio il fervore
nazionalistico anti-romano, rimasto deluso dall’atteggiamento di Cristo;
e che, comunque, con la sua azione, pur malvagia in se stessa, aveva
però involontariamente collaborato al piano di salvezza voluto da Dio
nei confronti dell’umanità?
Anna,
quindi, può essere stato, se non proprio una figura simbolica del
Diavolo, il Calunniatore, quanto meno uno strumento del Diavolo, che di
lui si sarebbe servito per togliere di mezzo Gesù Cristo, estendendo la
responsabilità del peccato a tutti coloro i quali, davanti al Pretorio
gerosolimitano, gridarono rivolti a Pilato: «Il suo sangue ricada su di
noi e sui nostri figli!» (Mt., 27, 25), dopo aver chiesto la liberazione
di Barabba e sancito, così, la condanna a morte del Salvatore?
“Diabolos”
è il termine greco che traduce la parola ebraica “Satan” e indica colui
che, in un tribunale, formula l’accusa nei confronti dell’imputato; in
questo senso ad esempio, è adoperato il termine tanto nei Salmi, quanto
nel Primo libro dei Maccabei.
Più
tardi, nel Libro di Giobbe, “Satana” è diventato quasi un nome proprio,
quello di un membro della corte celeste che accusa l’uomo davanti a
Dio: non un diavolo, dunque, ma un angelo, l’angelo della giustizia. Il
passo successivo è quello che vede la parola Satana adoperata per
indicare non più un angelo, ma il Diavolo in persona, il Nemico o
l’Avversario di Dio; colui che, per odio verso il Creatore, desidera
guastarne il piano provvidenziale mediante la tentazione dell’uomo, che
vuol condurre a rovina. È chiamato anche il Perverso, colui che riunisce
in se stesso la massima concentrazione di Male e che si adopera per
rovinare la bontà della creazione.
Nel
quarto Vangelo il termine “diabolos” ricorre tre volte e tutte e tre le
volte, nelle parole di Gesù Cristo, sembra avere a che fare con il
denaro. Una volta, infatti, Gesù lo adopera per designare Giuda, che si
appresta a tradirlo per denaro; un’altra volta per indicare l’ispiratore
del tradimento di Giuda; un’altra ancora lo usa per rimproverare ai
capi dei Giudei di avere come padre il Diavolo: «Se Dio fosse vostro
padre (..), certamente mi amereste, perché io procedo e vengo da Dio, e
non sono venuto da me stesso, ma egli mi ha mandato. Perché non capite
il mio linguaggio? Perché non potete ascoltare la mia
parola. Voi avete per padre il Diavolo e volete soddisfare i desideri
del padre vostro; egli fu omicida fin da principio, e non perseverò
nella verità; perché in lui non c’è verità; quando mentisce parla di
quel che gli è proprio, perché è bugiardo e padre della menzogna. A me
invece, perché dico la verità, non credete» (Gv., 8, 42-45).
Ora,
Gesù aveva scacciato i profanatori dal tempio, accusandoli di aver
trasformato la casa di Dio in una spelonca di ladri: in pratica, di aver
fatto mercato delle cose sacre, idolatrando il denaro e facendo
gravitare il proprio interesse verso il Tesoro del Tempio, anziché verso
la preghiera e il colloquio con il Padre celeste. È un concetto che
verrà ripreso da Paolo e portato alla massima chiarezza possibile: «La
radice di tutti i mali è l’avidità di denaro» (1 Timoteo, 6, 9-10). E
Giuda ha chiesto e accettato il denaro dei sacerdoti del Tempio proprio
per tradire lui, il Maestro, mostrando con tutta evidenza in cosa
consista la capacità di seduzione che Satana, il Nemico, il
Calunniatore, esercita sugli esseri umani.
È
rivelatore il particolare, narrato nel quarto Vangelo, di Satana che
entra in Giuda allorché questi mangia il boccone che Gesù gli offre:
preparandosi a tradirlo, egli profana la cena pasquale (il corpo e il
sangue di Cristo) e non permette allo Spirito di vita di entrare in lui,
ma si dà in pasto allo Spirito di morte; che, infatti, quella notte
stessa, dopo l’arresto e l’inizio del processo-farsa di Gesù, vedrà il
suicidio di Giuda, appesosi al ramo di un albero in quello che, da
allora in poi, sarebbe stato chiamato “il campo del sangue”.
Ma
c’è una dimensione più precisa in cui si manifesta la figura del Nemico
nel quarto Vangelo, nel corso del frettoloso processo notturno la cui
sentenza è già stata scritta prima ancora che i sacerdoti vi diano
inizio. Il prigioniero viene condotto al cospetto di Anna e, in un
secondo tempo, di Caifa; ed è proprio Anna, il padre padrone del
Sinedrio, che soleva collocarvi in posizione strategica i suoi
congiunti, sì da averne sempre uno stretto controllo, a recitare la
parte del Nemico, dell’Accusatore ingiusto, dunque del Calunniatore e,
perciò, del Diavolo. Gesù, davanti a lui, è l’innocente che viene
accusato contro ogni verità, che viene incriminato con false accuse.
Quando
Gesù viene tradotto, di notte, davanti al Sinedrio per essere
processato, a ricoprire la carica di sommo sacerdote era Caifa; ma
sappiamo che la sua era una autorità puramente formale, perché il vero
capo continuava ad essere Anna, suo suocero, che lo era stato prima di lui e seguitava a esercitare un fortissimo ascendente sul Sinedrio.
Scrivono
Juan Mateos e Juan Barreto nella preziosa monografia «Dizionario
teologico del Vangelo di Giovanni» (titolo originale: «Vocabulario
teologico del Evangelio de Juan», Madrid, Ediciones Cristianidad, 1980;
traduzione dallo spagnolo di Teodora Tosatti, Assisi, Cittadella
Editrice, 1982, pp.218-19):
«La
figura di Anna rappresenta in questo Vangelo quella del “Nemico”.
Affermando che era suocero di Caifa (18, 13) Giovanni mette in chiave
narrativa quanto prima espresso (cfr. 8, 44): dietro i dirigenti giudei
vi è un padre, principio della loro condotta, che li rende omicidi e
menzogneri; la ripetuta precisazione su Caifa: “essendo sommo sacerdote
in quell’anno” (11,51; 18,14) vuole indicare appunto che dietro i
detentori transitori del potere vi è un principio direttivo che ispira
la condotta dell’intero sistema. Alla figura del Nemico-padre
corrisponde quella di Anna-suocero.
Se
Giuda, istigato dal Nemico (13,2), aveva condotto le truppe che
catturarono Gesù (18,3), è il “comandante” con la truppa e le guardie a
condurre Gesù davanti ad Anna (18,12 s.) Poiché questa figura appartiene
alla cerchia dell’autorità romana, Giovanni indica che ogni potere ha
come principio ispiratore il profitto personale che porta
all’ingiustizia e all’omicidio; esso guiderà la condotta di Caifa
(18,24) e poi anche quella di Pilato (19,16).
La
relazione di Anna col “Nemico” è indicata in primo luogo dal suo
incarico di “sommo sacerdote” (18, 15-16-19), parallelo a quello di
Caifa (18,24), ma che lo designa come l’autorità suprema davanti alla
quale Gesù appare ufficialmente; in secondo luogo dalla menzione
dell’”atrio” (18,15), in relazione con quello del tempio (cfr. 10,1). ,
luogo di sfruttamento (10,10): “l’atrio” (Sal. 29,2; 96,8); “gli atri
del Signore” (Sal. 65,5; 84,3; 92,14, ecc.), si sono trasformati
nell’”atrio del sommo sacerdote”, l’altro dio.
Si
noti che il termine greco “arkón” (capo) entra nella composizione di
vari altri: arkhiereus, sommo sacerdote; hoi arkhontes”, i capi (3,1; 7,
26-48; 12,42); “ho arkhitriklinos”, il maestro di tavola o capo del
banchetto, figura dei dirigenti che rifiutano la sostituzione della
alleanza proposta da Gesù, e infine del “capo di questo ordinamento”
(12,32; 14,30; 16,11); quest’ultimo rappresenta il circolo di potere
personificato da Caifa, sommo sacerdote in carica [“ho arkhôn ou cosmo”:
il capo di questo mondo, inteso come il capo dell’Inferno], tutti
compiono, però, i desideri di un potere superiore, il dio-denaro
rappresentato da Anna.»
Sempre
nel quarto Vangelo, come hanno fatto osservare gli Autori sopra citati,
e precisamente durante l’Ultima cena, Gesù rivolge al Padre divino una
preghiera affinché i suoi discepoli vengano custoditi contro il
Perverso; e, subito dopo, che siano consacrati nella verità, che è la
parola di Dio (Gv. 17, 15). Pertanto, secondo questa linea
interpretativa, il Perverso sarebbe da identificarsi con il dio-denaro
che allontana gli uomini da Dio, che è lo Spirito di verità.
Ciò
fa subito venire alla mente la forte reazione di Pietro davanti a Simon
Mago, che gli aveva offerto del denaro in cambio del potere dello
Spirito Santo: «Va’ in perdizione tu e il tuo denaro, perché tu hai
creduto che il dono di Dio si potesse acquistare col denaro! Tu non hai
parte, né sorte alcuna a questo riguardo; perché il tuo cuore non è
retto davanti a Dio. Pentiti dunque di questa tua malvagità e prega il
Signore che ti sia perdonato, se possibile, il pensiero del tuo cuore,
poiché vedo bene che tu sei nell’amarezza e nel fiele e nei legami
dell’iniquità» (Atti, 8, 20-23).
In
tutto il quarto Vangelo, inoltre, ricorre continuamente l’espressione
“mondo”, contrapposta al mondo così come Dio lo vuole, per indicare,
appunto, un ordinamento sociale e religioso che è in aperto contrasto
con la verità e con l’amore divini e caratterizzato dall’egoismo,
dall’avidità, dalla menzogna e dallo spirito di prevaricazione (il che
ha fatto supporre ad alcuni esegeti che il pensiero teologico di
“Giovanni”abbia subito dei consistenti influssi gnostici o manichei,
questione però che rimane aperta a diverse possibili interpretazioni).
L’autore di tale Vangelo adopera anche le espressioni “tenebre” e
“Nemico” per indicare il medesimo concetto.
Il
“mondo”, nel quarto Vangelo, designa pertanto non solo una realtà
sociale e morale che si è radicalmente allontanata da Dio, ma l’insieme
concreto di quanti si riconoscono in essa, di quanti vi traggono dei
vantaggi e di quanti, per difendere le loro posizioni economiche o di
prestigio, si fanno servitori del Diavolo e combattono aspramente -
anche se, spesso, nascondendosi dietro il velo ipocrita dei difensori
della Legge divina, farisaicamente intesa - contro i depositari della
verità, ossia contro coloro che si conservano nell’autentico spirito di
Dio.
Tornando
alla figura di Anna, dunque, a quell’Anna che per primo interrogò Gesù
la notte di Venerdì santo, prima di mandarlo da Caifa, e che,
evidentemente, era stato il vero regista della sua cattura; a quell’Anna
che permise a un suo servo di schiaffeggiare Cristo sulla bocca, il
primo di una lunga serie di oltraggi e violenze che sarebbero culminati
nella Passione sulla croce, sembra che anche Dante l’abbia interpretata
come sopra si è suggerito, visto che lo pone all’Inferno, insieme a suo
genero, crocifisso per terra nella bolgia degli ipocriti (XXIII canto,
vv. 110-126) e calpestato dagli altri dannati, il cui peso è accresciuto
a dismisura da gravosi cappucci di piombo.
Né
lui, né Caifa formularono l’accusa contro Gesù con spirito di verità, e
sia pure di una verità obnubilata e fraintesa; entrambi si fecero
schermo della volontà di preservare la purezza della Legge, accusando il
prigioniero di avere bestemmiato contro Dio, proclamandosi suo Figlio;
mentre il loro vero intento era la difesa a oltranza del proprio potere
personale (Anna, in particolare, non essendo più sommo sacerdote in
carica, non avrebbe dovuto disporre di potere decisionale e tanto meno
della facoltà di interrogare per primo l’accusato) e il sistema
pseudo-religioso ed economico che gravitava intorno ai lucrosi affari
cui la vita spirituale del Tempio era stata ridotta, e che aveva
suscitato la ferma denuncia di Gesù.
Anna,
dunque, nel quarto Vangelo, è figura di un vero e proprio Anticristo:
con la sua pretesa di difendere il vero culto a Dio contro un
bestemmiatore, egli incarna in sommo grado lo spirito del “mondo”, come
aveva preconizzato Gesù: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno
anche voi» (Gv., 15, 20); «anzi viene l’ora in cui chiunque vi uccide,
crederà di rendere un culto a Dio» (16, 2).
di Francesco Lamendola - 17/11/2012
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]
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