Si indaga su altri responsabili
Verso la richiesta di un clamoroso appello per l'informatico condannato nel processo in Vaticano
Rischia il licenziamento, ha due figli e non accetta di passare per "corvo". La difesa del funzionario della Segreteria di Stato coinvolto nella vicenda della fuga di documenti riservati dall'appartamento papale ha presentato appello contro la sentenza di condanna del tribunale vaticano. Sciarpelletti era stato condannato a quattro mesi, ridotti a due dal tribunale che aveva concesso le attenuanti generiche. La pena era stata sospesa per i cinque anni successivi.
L'avvocato, in ogni caso, aveva fatto sapere che vi sarebbe stato ricorso in appello anche perché la sospensiva rischiava di avere comunque una ricaduta negativa sul possibile licenziamento del suo assistito. Da ambienti vicini al tecnico informatico, si apprende che negli anni Sciarpelletti ha rifiutato offerte di lavoro da 10mila euro al mese pur di restare al "servizio del Santo Padre" e che ha accolto "con sconcerto" l'emergere dal dibattimento primo grado di nomi come quello di monsignor Pennacchini che "non c'entrano nulla con gli atti e con il capo d'imputazione". Adesso si tornerà in aula. Ci sarà un nuovo capitolo nella vicenda giudiziaria legata al caso "Vatileaks". Claudio Sciarpelletti ha creato il sistema "cloud" del Vaticano, perciò la delicatezza dei dati da lui trattati rende il secondo processo al capotecnico informatico un evento "sensibile".
Al contrario dell'ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele, Sciarpelletti ha deciso di dare battaglia. Il ricorso è stato depositato martedì allo scadere dei tre giorni di tempo fissati dal codice di Procedura penale vaticano, mentre ancora comunque si attendono le motivazioni della sentenza, che saranno pubblicate nelle prossime settimane, con cui la corte d'Oltretevere ha deciso di accogliere le richieste del promotore di giustizia Nicola Picardi. Il quale, al processo, aveva invocato la condanna dell'imputato per aver egli «ostacolato la ricerca della verità» sul furto e la diffusione di carte riservate, intralciando così il corso della giustizia.
Il processo d'appello viene celebrato con un collegio giudicante e un promotore di giustizia diversi da quelli del primo grado. L'accusa sarà rappresentata dal professor Giovanni Giacobbe, mentre la corte d'appello è presieduta da monsignor José Serrano Ruiz.Sciarpelletti era stato rinviato a giudizio per favoreggiamento per aver dato agli inquirenti, durante la fase istruttoria, versioni diverse su chi gli avesse fornito una busta con documenti incriminanti, poi finiti nel capitolo «Napoleone in Vaticano» del libro di Gianluigi Nuzzi «Sua Santità», in cui si parla della carriera del comandante Domenico Giani e delle attività extra-vaticane di alcuni uomini della Gendarmeria nel campo della security. Una volta Sciarpelletti ha detto che a consegnargliela fu Gabriele perché la esaminasse, un'altra che fu il suo capufficio in Segreteria di Stato, monsignor Carlo Maria Polvani, affinché la consegnasse all'ex maggiordomo.
All'udienza celebrata con le deposizioni dello stesso Sciarpelletti, di Paolo Gabriele, già condannato a un anno e mezzo per furto e attualmente detenuto in cella, e di monsignor Polvani, è tuttavia emerso che la busta era stata effettivamente consegnata da Gabriele. In particolare, è stato il maggiordomo infedele con la sua deposizione a "scagionare" definitivamente Polvani, coinvolto dal tecnico informatico in uno degli interrogatori cui era stato sottoposto nella fase istruttoria.
Al termine delle deposizioni, l'avvocato difensore di Sciarpelletti, Gianluca Benedetti, aveva comunque chiesto l'assoluzione per il suo assistito. Per lui, infatti, la busta era «irrilevante» ai fini dell'inchiesta e non c'era stato né movente né dolo. Di avviso diverso il collegio giudicante presieduto da Giuseppe Dalla Torre che ha inflitto una condanna a quattro mesi di reclusione, poi ridotti a due in virtù delle attenuanti generiche, considerato «lo stato di servizio e la mancanza di precedenti penali». Si vedrà ora di quale parere sarà il collegio che si esprimerà nel secondo grado di giudizio. Condanne miti, ma pur sempre condanne.
Entrambi gli imputati per la vicenda "Vatileaks" sono stati riconosciuti colpevoli dei reati loro contestati, il furto aggravato delle carte segrete per il primo, il favoreggiamento per il secondo. Insomma, il Vaticano non fa sconti sulla bufera che ha scosso dalle fondamenta i Sacri Palazzi. Per ora, niente colpi di spugna, anche se resta evidente come a pagare lo scotto siano solo laici. Per loro, tra l'altro, pur nella «mitezza» delle pene che il Tribunale vaticano ha inflitto loro, com'è d'uso Oltretevere, «in nome di Sua Santità Benedetto decimo sesto, gloriosamente regnante», e «invocata la Santissima Trinità», le conseguenze sono pesanti. Gabriele, per una condanna a 18 mesi per la quale ad esempio in Italia nessuno andrebbe in carcere, rimane in cella, in attesa di una «grazia» dai tempi e dalle modalità del tutto incerti. L'iter della destituzione di diritto, partito nel momento in cui la condanna è diventata definitiva, farà inoltre sì che l'ex aiutante di camera di Sua Santità non potrà più lavorare come dipendente della Santa Sede, fatta salva l'eventualità di incarichi in enti collegati.
GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANO
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