Col telefonino in
mano, padre Régis Charre ha una parola per ognuno degli operai che lavorano ancora nella chiesa a
tre giorni dalla sua apertura ufficiale, domenica 2 dicembre. Impreca un po'
contro i ritardi dei
lavori, si innervosisce sorridendo per il fatto che la strada che porta alla
chiesa,un edificio quadrato
che termina con una specie di corazza a forma di guscio bianco, sia ancora in costruzione.
Nella
chiesa dalle linee sobrie, dalle vetrate ultramoderne e colorate, mostra anche
gli spazi vuoti previsti
per delle icone, bloccate ad Aleppo, in Siria. Ma, malgrado questi
contrattempi, domina un certo
orgoglio nel prete che lavora da anni alla costruzione della chiesa
Saint-Thomas di Vaulx-en-Velin
(dipartimento Rhône, a nord est di Lione).
“La consacrazione di
una chiesa resta un evento rarissimo”,conferma
l'arcivescovo di Lione,Philippe Barbarin,
che celebrerà domenica la “messa di dedicazione”. Nella diocesi l'ultima costruzione risale al
2002, le precedenti agli anni '60. A livello nazionale, le costruzioni di
chiese sono rare, ad
eccezione di una manciata di progetti nelle città nuove. Di fronte alla
diminuzione della pratica, è
venuto piuttosto il momento di vendere o di chiudere gli edifici che
invecchiano.
“È una scommessa
audace”,riconosce il
cardinale. Una scommessa da 4 milioni di euro, lanciata nel contesto
multiculturale di questo centro dell'agglomerazione lionese, dalla reputazione
a lungo offuscata dalle
violenze urbane degli anni '90.
Ma le prospettive
demografiche e le evoluzioni sociologiche di questa città di 42000 abitanti di
50 nazionalità hanno
convinto la Chiesa cattolica a ricostruire sulle rovine di una cappella giunta“a fine corsa”.
“Entro dieci o
quindici anni, Vaulx-en-Velin avrà 10 000 nuovi abitanti”,
assicura Bernard
Genin, il sindaco comunista di
questo comune impegnato da anni nella ristrutturazione delle case popolari e nello sviluppo
dell'edilizia privata.
Da parte della
Chiesa, l'arrivo potenziale di nuovi fedeli coincide con la crescita continua
di una comunità
assiro-caldea, venuta dall'Iraq e con la volontà della diocesi di dare alla
città, che ha già tre luoghi di culto
cattolici,“un nuovo impulso –
religioso -” secondo
Mons. Barbarin.
Nel corso degli anni
la presenza di circa 1000 assiro-caldei ha obbligato padre Charre a destreggiarsi tra gli
orari delle messe. Questi credenti, che celebrano in arabo e in aramaico, usano ormai una delle
chiese della città. La nuova costruzione, prevista per 500 persone, servirà
quindi in gran parte ai fedeli
“latini”, 800 persone, in maggioranza provenienti da comunità antillane,africane, tamul,
indiane o portoghesi.
Perché, ed è questa
la sfida del prete di Vaulx-en-Velin, deve proporre un'offerta di culto che
tenga conto della diversità
dei suoi fedeli, pur mantenendo “l'unità della
Chiesa”. “A seconda delle domeniche, vengono
previsti dei canti in portoghese, una lettura in lingua creola o una musica diversa, perché cantare
o pregare nella propria lingua materna è importante,spiega questo prete progressista,
impegnato nella Gioventù operaia cristiana.
Dall'altro lato, lo
scopo della Chiesa cattolica è lottare
contro le chiusure comunitaristiche.”
E oggi, questo è la necessità
ad imporlo: la penuria di preti non
permette più, come vent'anni fa, di celebrare“per comunità e per
lingua”,anche se l'eccezione
caldea contraddice oggi questo principio.
In questo contesto,
la chiesa Saint-Thomas è quindi stata pensata per essere più di un semplice luogo di culto.
“Oggi, una chiesa non
deve più essere solo un luogo dove si celebra la messa.
Bisogna poter
accogliere i bambini, i giovani, adeguatamente,precisa il prete.
Inoltre, a seconda delle origini, certi
fedeli ci tengono a perpetuare la tradizione delle agapi, cioè dei pasti organizzati dopo la
messa. In occasione dei decessi, c'è chi riceve decine di visite di
condoglianze,anche per più
giorni.”
Il nuovo edificio
potrà accogliere queste riunioni comunitaristiche.
Questa gestione della
diversità culturale non è specifica dei cattolici. I protestanti riformati, che
da quattro anni si sono
sistemati in pieno centro di un'ex sobborgo operaio della città, hanno visto i loro
fedeli rinnovati per il 50%.
“Non tutti provengono
dalla Chiesa riformata; vediamo arrivare persone immigrate in
cerca di una comunità”,testimonio la pastora
Corinne Charriau. E capita che alla domenica, la
musica classica dell'organo si trovi arricchita dai suoni del djembe [tamburo africano].
Pensato da più di
trent'anni, un progetto di moschea ha trovato appena ora un inizio di concretizzazione. Per
anni, i musulmani originari del Maghreb, dell'Africa, delle Comore, della Turchia, del Pakistan
o di Bosnia non sono riusciti a federarsi attorno ad un progetto unico. Su richiesta del comune,
in cerca di interlocutori, è finalmente nata un'associazione, che ha acquistato un terreno nel
quartiere popolare del
Mas du Taureau.
Da luglio, si
cominciano a vedere i muri della futura moschea, prevista per più di 1000
fedeli. Ma l'associazione fatica
a trovare i finanziamenti.
“Si son fatti partire
i lavori, valutati attorno ai 4 milioni di euro, con
solo 300 000 euro”,riconosce il
responsabile dell'associazione Faouzi Hamdi. I collaboratori del
sindaco notano tentativi di creazione di sale di preghiera da parte di turchi,
bosniaci o salafiti,
tradizionalmente presenti nell'est lionese. Il sindaco assicura di aver
recentemente fatto
chiudere un padiglione trasformato in luogo di culto da questi ultimi “per ragioni di
sicurezza”.
“Luoghi di culto
decenti, con un'architettura adatta, fanno sì che le diverse comunità si
avvicinino le une alle altre”,sostiene il sindaco,
che, pur dicendosi a favore di una laicità “senza concessioni”,promuove il dialogo
tra religioni e comunità. Con i rappresentanti degli altri culti e con i principali
eletti locali, Bernard Genin si recherà all'inaugurazione della chiesa,
domenica pomeriggio. Dopo la
messa, però.
di Stéphanie Le Bars
in “Le Monde” del 2 dicembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
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