Introduzione
Nel Vangelo di San Matteo, capitolo XXIV versetti 1-35, Gesù
pronuncia un discorso escatologico, che ha fatto scorrere molto
inchiostro. Questo discorso di Gesù è definito comunemente come “la pagina più
difficile del Vangelo” (Severiano del Pàramo, La Sagrada
Escritura, Texto y comentario, Nuevo Testamento, I, Evangelios, Madrid,
1961)[1].
Alcuni (pochi) lo interpretano come esclusivamente riferito alla
fine del mondo, altri (pochissimi) solo alla distruzione di Gerusalemme. I
Padri ecclesiastici, San Tommaso d’Aquino[2] e l’esegesi più qualificata lo divide in due parti, delle
quali la prima affronta il tema della distruzione di Gerusalemme, mentre la
seconda il problema della fine del mondo.
Il Dottore Comune della Chiesa commenta (In Matth., XXIV,
34): «Qualcuno potrebbe pensare che questo discorso di Cristo riguardi solo la
fine di Gerusalemme […]; però sarebbe un grosso errore riferire
tutto quanto è stato detto alla sola distruzione della Città
santa e quindi la spiegazione è diversa, cioè che tutti gli uomini e fedeli in
Cristo sono una sola generazione e che la Fede cristiana durerà
sino alla fine del mondo». L’Angelico riprende questo testo nella ‘Somma
Teologica’ (la distruzione di Gerusalemme è una figura della fine del
mondo; la Nuova Alleanza è anche Eterna, quindi durerà sino alla fine del
mondo) per confutare l’errore gioachimita secondo cui la Chiesa non sarà più
presente alla fine del mondo[3].
Per capire meglio quanto detto da Gesù occorre tornare
indietro di qualche versetto e leggere Mt., XXIII, 37-39.
Gesù ha appena apostrofato i Farisei, dicendo loro per sette volte “Guai
a voi Scribi e Farisei ipocriti” (Mt., XXIII, 13-32), infine dice loro:
“Io vi mando Profeti ed Apostoli e voi ne ucciderete, crocifiggerete e ne
flagellerete nelle vostre sinagoghe. […]. Sicché ricadrà su di voi tutto il
sangue innocente versato sulla terra. […]. In verità vi dico tutte queste cose
ricadranno su questa generazione”.
1a parte del discorso escatologico
La distruzione di Gerusalemme
La prima parte del discorso escatologico e
delle parole di Gesù non sono solo un aspro rimprovero dell’ipocrisia
farisaica, ma anche una profezia di ciò che sarebbe successo di lì a quaranta
anni. Infatti la generazione allora presente arriverà a crocifiggere il Verbo
Incarnato (33 d. C.) e quindi attirerà su di sé l’ira di Dio che tramite Roma
castigherà la Gerusalemme deicida e il suo Tempio (70 d. C.).
Dalle parole di Gesù è chiaro che Egli considera il
popolo ebreo, una volta eletto, come un’entità morale dal principio della sua
esistenza (Abramo, 1900 a. C.) sino al presente (30 d. C.) e sino alla fine del
mondo, quando si convertirà al vero Messia Gesù Cristo (Rom., XI,
25-33) e lo chiama “questa generazione” (Mt., XXXIII, 32) come
un “unicum”.
Le uccisioni dei Profeti dell’Antico Testamento, del Verbo
Incarnato e degli Apostoli (S. Stefano nel 35, S. Giacomo nel 62) sono crimini
nazional-religiosi, che comportano una responsabilità collettiva dell’ebraismo
cabalistico ed antimosaico nell’A. T.; talmudico ed anticristiano nel N. T.,
ebraismo che ha osteggiato il mosaismo ed il profetismo dell’Antica Alleanza e
poi il Messia della Nuova ed Eterna Alleanza, volendo porre Israele al posto
del Messia Gesù e il regno di questo mondo contro il Regno dei Cieli. Ma il
deicidio farà scendere la collera di Dio sull’Israele infedele e distruggerà
Gerusalemme ed il suo Tempio.
Al 1° versetto del capitolo XXIV Matteo narra: “Uscito Gesù
dal Tempio, mentre camminava gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli
ammirare la costruzione del Tempio”. Evidentemente anche essi pensavano che
Israele avrebbe dominato sul mondo intero e che il suo Tempio ne sarebbe stato
il centro, come insegnava l’Apocalittica giudaica[4].
La risposta di Gesù è sorprendente: “Vedete tutte queste
cose? In verità vi dico che non resterà pietra su pietra che non sia
rovesciata” (XXIII, 2). I discepoli restano stupefatti e gli chiedono ulteriori
spiegazioni: “Dicci quando avverranno queste cose? E quale sarà il segno della
tua venuta e della fine del mondo?” (v. 3).
La maggior parte degli esegeti studia e divide questo
versetto in due questioni distinte ed indipendenti l’una dall’altra, la prima
sulla distruzione del Tempio di Gerusalemme e la seconda sulla fine del mondo.
Con buona pace della “missione divina” del “popolo eletto”, il mondo gira anche
senza il Tempio di Gerusalemme. Solo la Chiesa romana della Nuova ed
Eterna Alleanza durerà sino alla fine del mondo.
Dai testi rabbinici risulta che l’attesa di un regno
messianico con la fine dell’Impero romano era vivissima in Israele ai tempi di
Gesù. Essa sarebbe stata preceduta da immani calamità, che sarebbero cessate
solo con l’instaurazione del regno d’Israele sul mondo intero. Quindi gli
Apostoli chiedevano quando sarebbe successa la distruzione del Tempio e la
venuta gloriosa di Gesù come Messia militante con la fine dell’oppressore
romano.[5]
Allora Gesù rispose, per correggere la loro erronea credenza
apocalittica mutuata dal rabbinismo, ripresa poi dal modernismo giudaizzante,
che la distruzione del Tempio era ben distinta dalla Parusia: “Badate che
nessuno vi inganni! Molti verranno sotto il mio nome dicendo. ‘Io sono il
Cristo’, e inganneranno molti. Sentirete parlare di guerre e di rumori di
guerre. È necessario che tutto ciò avvenga, ma non è ancora la fine […], tutte
queste cose saranno l’inizio dei dolori. […]. Sorgeranno molti falsi profeti e
inganneranno molti. […]. Quando poi questo Vangelo sarà predicato in tutto il
mondo e a tutte le genti, allora finalmente giungerà la fine” (vv. 4-13).
Gesù rispondendo alla loro questione vuole innanzitutto
metterli in guardia dal pericolo dell’Apocalittica insegnata dai falsi dottori.
La distruzione del Tempio è prossima, ma non significa che con essa verrà il
Regno del Messia militante e d’Israele sul mondo intero, anzi prima di giungere
alla Parusia e alla fine del mondo bisogna che Israele e le genti passino
attraverso molte sventure. La storia umana sarà costellata da catastrofi senza
che venga immediatamente la fine del mondo. Il Vangelo dovrà essere predicato
nel mondo intero prima della fine del mondo, mentre Gerusalemme sarà distrutta
molto prima che ciò avvenga. Il messaggio di Gesù è sostanzialmente lo stesso
che ci dà San Giovanni nell’Apocalisse: molti mali colpiranno l’umanità, essi
si aggraveranno verso la fine del mondo con la persecuzione dell’Anticristo
finale, ma non bisogna aver paura: Cristo ha vinto il mondo e le persecuzioni
sono la strada per giungere in Paradiso. Gesù e San Giovanni ribaltano la
dottrina dell’Apocalittica del Messia militante e del regno glorioso su questa
terra. No! “Per crucem ad lucem”, prima di entrare nel Regno dei Cieli
nell’aldilà, e non nell’aldiquà, occorre passare attraverso molte tribolazioni!
Come si vede tra giudaismo rabbinico-talmudico e Cristianesimo vi è
un’opposizione di contraddizione per diametrum come quella
esistente tra l’antropocentrismo e il teocentrismo. Per il rabbinismo tutto
ruota attorno a Gerusalemme, a Israele e al Giudeo in questa vita, per il
Cristianesimo tutto è finalizzato a Cristo e all’aldilà.
Quindi Gesù prosegue: “Quando vedrete l’abominio della
desolazione nel Tempio, predetto da Daniele, allora quelli che sono in
Galilea fuggano sui monti […] perché vi sarà allora una grande tribolazione,
quale non si è avuta dal principio del mondo, né si avrà mai” (vv. 15-22).
Il Signore insiste: non scambiate il segno prossimo della
distruzione di Gerusalemme per la fine vicina del mondo, che per l’Apocalittica
sarebbe coincisa col trionfo d’Israele e del Messia temporale. Il segno in
questione è la profanazione del Tempio, predetta dal profeta Daniele (IX, 27;
XI, 31; XII, 11); perciò quando il Tempio sarà profanato, non venite festanti
in Giudea e a Gerusalemme per assistere alla venuta gloriosa del Messia, anzi
fuggite sui monti perché Gerusalemme sarà per essere distrutta. La Parusia
del vero Messia, invece, avverrà alla fine del mondo, purificato con gran
dolore dal fuoco.
Il segno predetto da Daniele viene individuato dagli esegeti
nella profanazione del Tempio da parte degli zeloti o sicari nel 69, che
uccisero nel Tempio centinaia di persone. Giuseppe Flavio (Guerre
Giudaiche, V, 1, 3) descrive la distruzione del Tempio e di
Gerusalemme con l’uccisione di circa 1 milione di persone.
“Se quei giorni non fossero accorciati non si salverebbe
nessuno. Tuttavia a causa degli eletti saranno abbreviati” (v. 22).
Ossia: se non moriranno tutti gli abitanti di Gerusalemme e della Giudea sarà
solo a motivo dei “giusti” cioè dei Cristiani che mantengono nell’animo la
grazia di Dio e la vera Fede nel Messia Gesù, il quale in considerazione della
loro buona vita abbrevierà la vendetta romana su Gerusalemme deicida.
“Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, che faranno grandi
prodigi da ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti” (v. 24). Questi
falsi profeti vorrebbero deviare la Fede dei Cristiani in Gesù e farli aderire
al Messianismo rabbinico, dicendo. “Ecco, il Messia è nel deserto, è nascosto
in casa, ma voi non vi andate, non credete loro. Infatti come la folgore esce
dall’oriente e balena sino all’occidente, così sarà la Parusia del Messia” (vv.
25-27). Il vero Messia apparirà alla fine del mondo glorioso e trionfante sulle
nubi del Cielo e tra gli Angeli per giudicare i buoni e i cattivi e far entrare
i primi in Paradiso e precipitare i secondi nel fuoco eterno dell’Inferno.
2a parte del discorso escatologico
La fine del mondo
Poi inizia la seconda parte del discorso
escatologico, che risponde alla seconda domanda degli Apostoli, sulla fine
del mondo (vv. 29-35): “Subitamente il sole si oscurerà , la luna non
darà più il suo chiarore , le stelle cadranno dal cielo […]. Allora nel cielo
apparirà il segno del Figlio dell’Uomo e tutte le tribù della terra si
percuoteranno il petto. […]. Quando vedrete tutte queste cose sappiate che Egli
è vicino”.
Qui occorre fare attenzione al fatto che non si tratta del
tempo o del quando verrà la fine del mondo: Gesù non vuole rivelarlo. Ma bisogna
por mente alla natura dei segni o degli avvenimenti che la precederanno. Questi
segni appariranno “improvvisamente, subitamente” (v. 29), non subito dopo la
distruzione di Gerusalemme, ma all’improvviso, quando meno ce lo si aspetta. I
cataclismi enumerati da Gesù, secondo gli esegeti, non vanno presi alla lettera
come sconvolgimenti puramente naturali, che sempre sono esistiti nella storia
umana, ma fanno pensare ad un intervento divino straordinario[6].
Il segno del Messia sarà la Croce, visibile a tutti nello
spazio, come un fulmine che illumina il cielo oscurato dalle nubi. Allora tutti
gli uomini saranno colti da gran timore, avendo capito l’imminenza del Giudizio
universale. Gesù si manifesterà come Giudice, Messia glorioso e trionfante, per
dare il Regno dei Cieli ai giusti e non il potere sul mondo intero a Israele.
Ma quali sono i segni specifici e prossimi della fine del
mondo? I teologi e gli esegeti, fondandosi sulla Tradizione e la S. Scrittura,
ci dicono che Gesù si è rifiutato di rivelare il giorno e la data esatta
(v. Mc., XIII, 32;Mt., XXIV, 36; Atti, I,
6-7). Tuttavia nelle fonti della Rivelazione si trovano quattro segni prossimi
che precorrono la fine del mondo: 1°)il Vangelo annunziato
universalmente (Mt., XXIV, 14). Ma ciò non vuol dire che sarà
accettato da tutti coloro ai quali sarà annunziato (Lc., XVIII,
8); 2°) la conversione d’Israele (Rom., XI,
25-26). S. Paolo rivela che gli Ebrei sono accecati nella maggior parte tranne
una “reliquia”, che ha accettato Gesù, e che tale accecamento è temporaneo sino
a che la massa dei pagani sia entrata nella Chiesa; allora Israele si
convertirà; 3°) il ritorno di Elia (Malach., III,
1; IV, 5) e di Enoch (Gen., V, 24; Enoch, LC,
31; IV Esdra, VI, 26); 4°) il regno
dell’Anticristo[7] finale e la grande apostasia (II Tess., II,
3-12; I Giov., II, 18; II Giov., VII; Lc., XVIII,
8; San Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 8, a. 8; Suppl., q.
73, a. 1).
Conclusione
«Il Messianismo è la dottrina sul Messia e il suo Regno o
Nuova Alleanza; […] esso costituisce il punto centrale d’incontro (nelle
Profezie del Vecchio Testamento) e di opposizione (nella
realizzazione: Nuovo Testamento) tra il giudaismo e il cristianesimo»[8]. Tutto l’Antico Testamento è proteso a Cristo e al suo Regno.
Infatti il Messia «verrà ucciso proprio da Israele, che gli resiste e lo
disprezza (Is., LIII, 8 s.), ma che espierà con un lutto nazionale
il suo crimine (Zach., XII, 8-13; Mt., XXIV,
30; Jo.,XIX, 37)»[9].
Il vero Messia, Gesù Cristo, è soprattutto Re spirituale di
tutti gli uomini e non di una sola Nazione e quindi non potrà non essere
odiato, combattuto e messo a morte dai “falsi profeti” o “veggenti”
dell’Apocalittica, che dal 170 a. C. avevano cominciato a corrompere la Fede
del vero Israele in senso millenaristico, temporalistico, mondialistico
e di dominazione universale. Questo è il dramma di Israele: aver seguito
nella maggior parteun falso concetto di Messia cosmico,
militante e temporale (che è un puro uomo o addirittura una collettività:
Israele stesso, “Padrone di questo mondo”) ed aver rifiutato, tranne “una
piccola reliquia”, il vero Messia, Salvatore di tutti gli uomini, il cui
Impero è universale, definitivo, spirituale e soprattutto proteso nell’al di
là, pur iniziando già in questo mondo, anche se imperfettamente. La sua morte
in Croce è l’Unico Sacrificio perfetto e senza macchia (“oblatio munda”, Mal., I,
11). Purtroppo «i Giudei [apocalittici], nonostante la paziente insistenza del
Redentore nel rettificare e correggere i loro preconcetti falsi, rimasero
fatalmente fuori della salvezza (cfr. Mt., VIII, 1
s.)»[10].
Certamente l’Antica Alleanza, «concretata nel patto del
Sinai, è l’unica vera religione, ma sfocerà in un’Alleanza più perfetta
e definitiva, estesa a tutte le genti; Israele ne sarà il veicolo
conduttore; un discendente di Davide ne sarà il realizzatore»[11]. Tuttavia «il periodo maccabico orientò i Giudei verso
un’interpretazione errata del Messia, che si afferma nella letteratura apocrifa
e rabbinica. […]. L’opposizione tra la Rivelazione attuata dal Cristo e
la interpretazione giudaica dominante non poteva essere più stridente; essa
fu fatale a Israele, che rimase fuori dalla salvezza eterna. […]. Gli israeliti
avrebbero preso le idee mitologiche [dell’Apocalittica apocrifa] applicandole
alla loro Nazione: lo sconvolgimento cosmico avrebbe rovinato i pagani,
mentre avrebbe dato a Israele felicità terrena definitiva»[12].
Gesù rimprovera soprattutto l’ipocrisia e la falsità dei
Farisei, che li aveva portati e li porterà ad uccidere i Profeti ed il Messia
stesso; non imitiamoli nei loro vizi nascosti e pubbliche “virtù”.
Ma questo delitto di deicidio ricadrà su di loro e sui loro
seguaci con la distruzione di Gerusalemme e del Tempio ed il loro vagabondare
per il mondo.
Quanto a noi costatiamo che Gerusalemme è già stata
distrutta, il Tempio non è stato mai più riedificato. Tuttavia quanto alla fine
del mondo mancano due segni prossimi della sua imminenza: la conversione di
Israele e il regno dell’Anticristo.
L’essenziale è avere la Fede retta nel vero Messia Gesù
Cristo, vivificata dalla grazia santificante. Poi potremo attendere con
serenità la fine del microcosmo (la nostra morte e il Giudizio particolare) e
la fine del macrocosmo (fine del mondo e Giudizio universale).Estote parati,
quia qua hora non putatis Filius hominis veniet! Cuor sereno non teme
l’uragano.
d. Curzio Nitoglia
[1] Cfr. M. J. Lagrange, L’avénement du Fils de
l’homme, RB, 1906, pp. 382-411; F. Segarra, Algunas
obervaciones sobre los principales textos escatològicos de Nuestro Señor, Greg.,
n. 18, 1937, pp. 534-589; n. 19, 1938, pp. 349-375; n. 21, 1940, pp. 543-572;
A. Cellini, Saggio storico-critico di esegesi biblica sulla
interpretazione del sermone escatologico, Firenze, 1906; A.
Vaccari, Il discorso escatologico nel Vangeli, ScCatt., n. 68,
1940, pp. 3-22; L. Billot, La Parousie, Parigi, 1920; L.
Tondelli, Gesù Cristo, Torino, 1936.
[2] Nella sua Catena aurea S. Tommaso cita i
Commenti al Vangelo secondo Matteo di diversi Padri ecclesiastici (Origene,
Rabano Mauro, Remigio, S. Giovanni Crisostomo, S. Girolamo e S. Agostino), che
sono unanimi nell’interpretare la prima parte di Mt., XXIV
sino al v. 13 riguardante la distruzione di Gerusalemme e la seconda parte dal
v. 14 sino al v. 35 riguardante la fine del mondo. Tale consenso moralmente
unanime dei Padri rende certa la suddetta interpretazione del discorso
escatologico.
[3] S. Th., I-II, q. 106, a. 4, ad 4; III, q. 34,
a. 1, ad 1; III, q. 7, a. 4, ad 3; III, q. 8, a. 8; Suppl., q. 73, a. 1.
[4] Monsignor Francesco Spadafora qualifica l’Apocalittica
come «odio atroce contro i Gentili, morbosa attesa della rivoluzione e
della liberazione futura di Israele. All’Apocalittica si deve la
formazione del più acceso nazionalismo ebraico, che sfocerà nella
ribellione all’Impero romano. Tramite essa si spiega la fiducia cieca
dei Giudei per straordinarie rivincite nazionali vaticinate dai ‘falsi
profeti’» (Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce
“Apocalittica”, p. 42).
Monsignor Antonino Romeo specifica: «l’Apocalittica ha
falsificato il Vecchio Testamento e, abbassando l’ideale messianico dei
Profeti, ha ostruito le vie al Vangelo, ha predisposto i Giudei a respingere
Gesù. Presentando un Messia che ridona a Israele l’indipendenza politica e
gli procura il dominio universale, l’Apocalittica accentuò il
particolarismo nazionalistico e spinse Israele alla
ribellione contro Cristo e contro Roma, quindi al disastro»
(voce “Apocalittica”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del
Vaticano, 1948, I vol., col. 1624).
[5] J. Bonsirven, Le Judaisme palestinien au temp de
Jésus Christ, Parigi, 1925, 2 voll. ; Id., Textes
rabbiniques des deux premiers siècles chrétiens, Roma, 1955; A. Romeo,
voceApocalittica, in ‘Enciclopedia Cattolica’, Città del Vaticano,
1949, I vol., coll. 1615-1626; F. Spadafora, voce Apocalittica
letteratura, in ‘Dizionario Biblico’, Roma, 1963, III ed., pp. 41-43;
M. J. Lagrange, Le Judaisme avant Jésus Christ, II ed.,
Parigi, 1931, pp. 70-90.
[6] Cfr. M. J. Lagrange, Le messianisme …, cit.,
pp. 48 ss.; J. Jouon, Les forces des cieux seront ebranlée (Mt.,
XXIV, 29), RScR, n. 29, 1939, pp. 114 ss.
[7] S. Giovanni è il primo a dargli nel Nuovo Testamento
l’appellativo di Anticristo: “Figliuoli miei, avete sentito che l’Anticristo
deve venire” (I Ep. XXII, 18). Nell’Apocalisse, poi, ci svela il
nome dell’Anticristo mediante un numero misterioso: “Chi ha intelligenza
calcoli il nome poiché è numero d’uomo ed il suo numero è 666” (Ap.,
XIII, 17). Il significato di tale cifra resta per noi oscuro e soltanto quando
l’Anticristo sarà comparso diverrà chiaro; per ora diciamo, con S. Roberto
Bellarmino, che “è verissima la sentenza — a tale riguardo — di coloro che
confessano la loro ignoranza”. Quindi ci basti il nome generico di Anticristo o
Bestia che S. Giovanni usa nell’Apocalisse (XIII, 1 e segg.), dove
al cap. XIII ci descrive la Bestia: “Vidi una bestia che saliva dal mare, che
aveva sette teste e dieci corna, e sopra le sue corna dieci diademi, e sopra le
sue teste nomi di bestemmia (…) le fu data una bocca per dire cose grandi e
bestemmie; e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. aprì dunque la
bocca in bestemmie contro Dio (…) e le fu concesso di fare guerra ai santi e di
vincerli. e le fu dato potere sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione. e
la adorarono tutti quelli che abitano la terra, i nomi dei quali non sono
iscritti nel libro della vita”. I commentatori, unanimi, vedono nella Bestia
l’Anticristo. Molti di essi, inoltre, vedono nell’altra bestia allegorica che
subito dopo la prima l’evangelista di Patmos dice di aver vista salire dal mare
un precursore dell’Anticristo e un suo primo ministro: “Poi vidi un’altra
bestia (…) ed esercitava tutta la potestà della prima bestia, e taceva sì che
la terra e tutti quelli che in essa abitano, adorassero la prima bestia (…) e
faceva anche essa grandi segni e prodigi, e faceva uccidere quelli che non
adoravano la prima bestia”. S. Paolo nella II epistola ai Tessalonicesi dice
che la fine del mondo dovrà essere preceduta dall’Anticristo e che l’Anticristo
sarà preceduto a sua volta dall’apostasia generale. Si tratterà della defezione
di un gran numero di cristiani provocata dall’indifferentismo o dall’eresia o
dalla persecuzione o da tutte queste cause ed altre unite insieme. Circa
l’universalità dell’apostasia S. Roberto Bellarmino afferma che sarà proprio
l’Anticristo a doverla completare, per cui, se questa non ha ancora toccato il
vertice, farà in tempo a toccarlo. S. Paolo ci dice inoltre che dopo la
defezione e l’apostasia l’uomo del peccato apparirà “in omni seductione
iniquitatis”; esso aumenterà quindi l’apostasia e la renderà universale. Ma,
viene da domandarci, che cosa manca ormai più se non l’avvento stesso
dell’Anticristo e la persecuzione fisica? La situazione odierna è spiegabile
solo alla luce di quanto la S. Scrittura (Apocalisse compresa) ci rivelano
riguardo alla grande apostasia e all’interpretazione che ne danno i Padri, i
Dottori e il Magistero. Infine “L’Anticristo è un vero uomo e stimo che
tale assioma sia di fede” (F. Suarez, De Antich., sect. I, n.
4). S. Paolo lo definisce “Homo peccati, filius perditionis”
(II Tess., II, 3). Errano quindi coloro che dicono che l’Anticristo è
un’allegoria, una setta, un’eresia o l’insieme di tutti i cattivi. Occorre
distinguere tra “anticristi iniziali” che sono la figura dell’Anticristo
finale. Gli anticristi iniziali possono essere le sette, gli errori e gli
uomini che li hanno propagati sin dalla Resurrezione. Invece l’Anticristo
finale è un uomo, non è neppure un diavolo incarnato: “l’Anticristo non sarà
una persona diabolica incarnata” (F. Suarez, ib.). Ciò non toglie
che l’Anticristo si assoggetterà talmente al diavolo da diventarne uno
strumento, sebbene sempre cosciente; S. Giovanni Crisostomo, a questo
proposito, scrive: “ Chi è l’Anticristo’? Forse un demonio? No, ma un uomo che
si è dato completamente al demonio” (Homilia 3, in 2 Tess.).
[8] F. Spadafora, Dizionario Biblico, III
ed., 1963, Roma, Studium, voce “Messia”, p. 410.
[9] F. Spadafora, Dizionario Biblico, cit., voce
“Messia”, p. 413.
[10] F. Spadafora, Dizionario Biblico, cit., voce
“Messia”, pp. 413-414; Id., “Enciclopedia Cattolica”, Città del
Vaticano, 1952, voce “Messia”, vol. VIII, coll. 843-849.
[11] F. Spadafora, voce “Messia”, in “Enciclopedia
Cattolica”, Città del Vaticano, vol. VIII, 1952, col. 843; cfr. A.
Vaccari, La Redenzione, Roma, 1934.
[12] F. Spadafora, voce “Messia”, in “Enciclopedia
Cattolica”, cit., coll. 8447-848.
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