Questa conferenza di Mons. Fellay è certamente interessante per i fedeli della FSSPX, se non altro perché è la prima dopo diversi mesi.
Tenuta alla fine di un anno così turbolento e burrascoso per la FSSPX, il Superiore generale l’avrà ragionevolmente considerata sia come un’opportunità per esporre in qualche modo “la sua versione di fatti”, sia per presentare ai suoi sacerdoti e ai suoi fedeli un resoconto dell’anno trascorso.
Dopo tutto, era necessario tutto questo trambusto del 2012? Di cosa si è trattato? A quale scopo? Deve prolungarsi l’attuale situazione? E se sì, perché?
I trambusti del 2012
Il Superiore generale utilizza la prima parte della sua conferenza per commentare i diversi trambusti, senza dilungarsi troppo. Inizia la sua conferenza dicendo ai presenti che le controversie e i trambusti nella FSSPX non sono una novità. Praticamente, ogni anno – egli dice – la FSSPX “è oggetto di attacchi del demonio. Io uso volutamente queste parole – non si tratta di una metafora, ma di una realtà. Voi sapete che le Scritture dicono che il diavolo si aggira cercando chi divorare…”
Quindi, continua dicendo che finora questi “attacchi del demonio” erano rimasti relegati in un angolo o un altro, in una precisa area della FSSPX in qualche parte del mondo. Questo è il primo anno, egli dice, che il “problema” non si è limitato a qualche parte della FSSPX, ma si è esteso più o meno all’intera FSSPX nel mondo.
Come possiamo essere certi che gli “attacchi” del 2012 siano stati opera “del diavolo”? Secondo Mons. Fellay, per questo motivo:
Cari lettori, se vi aspettavate delle risposte più precise da parte del Superiore generale, temo che rimarrete delusi.
Qual era esattamente la natura e la dimensione (presumibilmente piccola?) del “problema” al quale hanno reagito in modo eccessivo certe persone (quali?)?
Qual è stata esattamente la natura di questa “reazione”, e come possiamo essere certi che la reazione di costoro fosse sproporzionata?
Sembra quasi che Mons. Fellay, ogni volta che cerchi di rispondere ad una domanda, ne sollevi altre quattro o cinque. Infatti, vengono sollevate così tante questioni, che potremmo riempire questo articolo con una discussione su ciò che il Superiore generale non dice e non spiega. Ci viene detto poco, tranne qualche vago discorso e delle generalizzazioni, insieme ad una richiesta piuttosto palese di fiducia (“…ho dovuto sopportare…”). Per di più, il tutto dà l’impressione che egli creda di aver detto quanto fosse necessario per mettere le cose in chiaro.
Prediamo per esempio la parte verso l’inizio, dove sembra che egli sollevi una domanda ovvia, che poi sorprendentemente mette da parte con una non risposta:
Ma cos’è che ha causato la confusione? La perdita di fiducia nell’autorità!
Benissimo: ma cosa ha causato la perdita di fiducia nell’autorità? Silenzio.
Tutto quello che ci si dice è che la perdita di fiducia nell’autorità è una cosa sbagliata. Il che, di per sé, è vero, ma certo non è questo il punto. In questo caso particolare, la perdita di fiducia è stata giustificata o no? È stata causata dalla stessa autorità?
Molti fedeli della FSSPX, specialmente in Occidente, hanno perso ogni fiducia nelle autorità secolari, ma il fatto è che i nostri governi non meritano sicuramente la nostra fiducia o il nostro ostegno – certo il Superiore generale non intenderebbe affermare che sbagliamo a diffidare di “autorità” come Barack Obama o David Cameron! Tale che si può dire che la perdita di fiducia nell’autorità può essere cosa buona o cattiva, può essere giustificata o no, tutto dipende.
Il diavolo internet
Egli arriva a dire che “molte cose che sono state diffuse su internet in questo periodo erano semplicemente false”.
A cos’è che si riferisce? Si riferisce forse ai vari interventi del suo primo Assistente, Don Niklaus Pfluger, ampiamente pubblicizzati dai siti ufficiali a lui fedeli e sotto il suo controllo? Prendiamo, per esempio, l’intervento di aprile 2012 ad Hattersheim, Germania, alla conferenza promossa dall’associazione Actio Spes Unica, dove Don Pfluger ha assicurato ai suoi uditori, come fosse un dato di fatto, che alla FSSPX era stato offerto un accordo senza condizioni costrittive da sottoscrivere, un riconoscimento unilaterale senza richieste alla FSSPX, cosa che giustificava i negoziati in corso con la Roma non convertita. Gli eventi successivi e le stesse parole di Mons. Fellay in Canada e altrove, hanno dimostrato che si trattava solo di notizie infondate, della diffusione di pettegolezzi senza riscontro e tanto meno prove. Per usare le stesse parole di Mons. Fellay, la tesi di Don Pfluger era “semplicemente falsa”! Stranamente, però, contro Don Pfluger non è stato preso alcun provvedimento, a quanto ne sappiamo.
E ancora, perché nessuno possa pensare che quanto detto da Mons. Fellay si riferisse a Don Pfluger, piuttosto che ai “malvagi” siti come Cathinfo e Ignis Ardens, è opportuno tenere presente la domanda (che Mons. Fellay ha anche trascurato di affrontare): perché così tante persone hanno sentito il bisogno di fare riferimento a dei siti che non sono controllati dalla FSSPX? Se un gran numero di fedeli non avesse perso totalmente la fiducia nei siti ufficiali della FSSPX (DICI, SSPX.org ed altri), non ci sarebbero state così tante “voci” (che praticamente, guarda caso, si sono rivelate essere vere).
Se il lettore desidera conoscere un concreto esempio molto recente di come DICI sia diventato del tutto inaffidabile e unilaterale, e del perché i fedeli si siano rivolti in massa ai siti “non ufficiali” della FSSPX, consulti l’articolo “Quo vadis DICI…?” pubblicato suTheRecusant.com.
In effetti, nel corso del suo intervento, Mons. Fellay ammette bene (seppure involontariamente) che quando si legge qualcosa su DICI non la si deve prendere per oro colato, e che egli può agire ed esprimersi pubblicamente con secondi fini. Così spiega ai suoi uditori di aver pubblicato su DICI la sua intervista dell’8 giugno con lo scopo primario di vedere come avrebbe reagito Roma: “Ho fatto un test, ho pubblicato un’intervista su DICI…”
Stando così le cose, come possiamo essere certi che le future interviste su DICI non siano dei meri “test”? Che le parole che egli ha pronunciato in questa stessa conferenza nell’Ontario non costituiscano un ulteriore strumento di manovra politica, atto a vedere come si reagirà ad esso? Quando il Superiore di una Fraternità che si suppone mantenga una certa dirittura e parli veritativamente al cospetto del disonesto mondo moderno, si comporta così, vi è materia per una seria preoccupazione. Nessuna meraviglia che i fedeli cattolici tradizionali si rivolgano ai “malvagi” siti non ufficiali, quando si accorgono che la principale preoccupazione dei siti ufficiali della FSSPX, come DICI, riguarda più le “relazioni con Roma”, piuttosto che la presentazione della verità.
Per non essere accusati di passarlo sotto silenzio, dobbiamo menzionare l’esempio concreto di “falsità su internet”, citato dal Superiore generale, e cioè la famosa “regola dei tre anni”. Alcuni “malvagi” siti internet hanno riportato che, a Pentecoste del 2012, in occasione di una sua visita al distretto austriaco per delle cresime, nel corso di una riunione con alcuni sacerdoti egli avrebbe rivelato loro le condizioni offerte da Roma e che egli pensava di accettare. Tra queste condizioni, avrebbe detto che c’era quella che poneva in qualche modo la Fraternità sotto l’Ordinario del luogo ove essa operava e che sarebbe stato necessario il permesso dell’Ordinario per tenere aperti i centri di Messa che contavano meno di tre anni. Ci occuperemo altrove della consistenza di questa “voce” (che riteniamo vera) e della sua successiva smentita (che riteniamo falsa), nonché della semi-smentita (che riteniamo una marcia indietro) e dello stravolgimento della vicenda (che sospettiamo costituisca un ottimo esempio di come si possa cercare di cavarsi fuori dal buco). Se quello che molti di noi sospettano è esatto, diventa ancora più evidente, a chi ha occhi per vedere, come non possano essere prese sul serio le parole di un vescovo politico. È curioso che egli scelga come esempio proprio questa vicenda; manco a dirlo, molti di noi rimangono convinti che ciò che è stato diffuso su internet riguardo a quel suo discorso ai sacerdoti austriaci sia l’esatto opposto del “totalmente falso”!
Un silenzio che la dice lunga
Gran parte del resto del discorso di Mons. Fellay si compone della narrazione delle sue varie relazioni col clero romano, che non dobbiamo permettere che ci distragga. Con i moderni politicanti è spesso il caso di un dispendio di una gran quantità di energia, di aria fritta e di retorica, messe in essere per non dire alcunché. Ed è innegabile che Mons. Fellay, nel corso di un’ora e quaranta minuti, non parla di molte delle cose più importanti che, come egli dovrebbe sapere, abbisognano di essere conosciute urgentemente.
Per esempio, non parla di una certa intervista alla CNS (oltre ad altre scandalose affermazioni: si veda l’articolo di Don Chazal: “Scuso il Consiglio”), che fino ad oggi risulta non ritrattata e la cui registrazione è accessibile a chiunque la voglia sentire.
Non fa alcun riferimento al testo scandaloso su un accordo presentato da lui stesso a Roma il 14 aprile.
Nessun riferimento al suo rifiuto attuato all’ultimo momento, di ordinare i candidati dei Francescani e dei Domenicani, per il quale non sono state ancora presentate delle serie e realmente convincenti motivazioni.
Nessun riferimento alle argomentazioni avanzate da un significativo numero di sacerdoti (e da tutti i tre i suoi confratelli vescovi, in questa o quella occasione) contro la sua posizione e le sue dichiarazioni.
Nessun riferimento alle sue pesanti misure punitive contro sacerdoti e fedeli che erano pubblicamente in disaccordo con lui o alla persistente mancanza di ogni tipo di spiegazione sul perché siano stati puniti.
E infine, più rivelatrice di tutte, nessun riferimento al gigantesco problema che è sotto gli occhi di tutti, al quale non si fa menzione o si allude neanche indirettamente: la recente espulsione di uno dei quattro vescovi consacrati dal venerato Fondatore, espulso per crimini come il viaggio in Brasile per amministrare le cresime e per essersi rifiutato di interrompere il suo breve e settimanale “Commenti eleison”, l’unico contatto che gli era rimasto con i fedeli di tutto il mondo.
Tutte cose di cui i suoi uditori avrebbero sperato di sentir parlare: questioni rilevanti che continuano a rimanere né poste né risolte.
Eppure, dobbiamo sperare e pregare che accada che il Superiore generale si ponga lui stesso alcune domande pungenti su ciò che è accaduto alla FSSPX. Dispiacersi per essere stato “attaccato dal diavolo” non serve a nulla. Deve chiedersi perché così tante persone, tra le quali dei suoi ex difensori, abbiano incominciato a parlare e a scrivere simultaneamente contro di lui. Allo stato delle cose, lascia tutti con la netta sensazione che egli pensi che un gran numero di fedeli e di chierici (molti dei quali tra i più esperti e rispettati nella FSSPX) abbiano improvvisamente, inspiegabilmente e spontaneamente perso il bene dell’intelletto, siano impazziti ed abbiano attaccato lui e la FSSPX.
E perché? Perché agivano per conto del diavolo!
A beneficio di Mons. Fellay, il lettore ci permetta di ricordare che esistono alcune cause molto concrete delle turbolenze occorse nel 2012 e della perdita di fiducia nell’autorità. Per spiegarle meglio useremo le parole di un sacerdote della FSSPX, conosciuto da molti di noi come molto equilibrato e dalla mente aperta, da lui scritte lo scorso giugno in una lettera a Don Thouvenot:
Alla luce di quanto sopra, si può capire perché Mons. Fellay voglia evitare una discussione sulle cause specifiche delle divisioni del 2012, dal momento che, più di ogni altro, è al centro di esse. La responsabilità è sua, come in ultima analisi egli è responsabile di tutte le fortune e le sfortune della FSSPX – cosa che sicuramente corrisponde a ciò che significa essere Superiore. E in definitiva, nessuno è in grado di raddrizzare la questione, se non lui stesso, se solo avesse la volontà di farlo. Se dopo tutto quello che è accaduto non lo fa, è perché, come molti di noi credono, egli ha altre priorità. Egli preferisce una più piccola, ridotta FSSPX, totalmente docile e obbediente alla sua volontà e in grado di essere facilmente condotta ad un accordo con la Roma modernista, piuttosto che una FSSPX più forte e più unita in grado di resistere ad ogni tentativo del genere.
Lamentare disunione e lotte intestine e insieme rifiutarsi ostinatamente di riconoscerne ogni possibile causa; lamentare la distruzione e non fare alcunché per prevenirla: costituisce un modello di comportamento che la Santa Madre Chiesa ha già conosciuto, in tempi relativamente recenti, ed è possibile che se Mons. Fellay non starà attento, possa passare alla storia come “il Paolo VI della FSSPX”.
L’esempio più recente che fa capire come sarebbe lui stesso quello coinvolto nelle cause di divisione della Fraternità, è dato dalle sue stesse parole:
E procede quindi parlando a lungo del suo argomento preferito, ben sperimentato in anni di utilizzo (che per molti di noi era forse interessante nel 2001, ma che ha ormai perso da tempo la sua aura di novità) – avete indovinato! – “Le nostre relazioni con Roma”.
Infatti la gran parte di questo lungo discorso di un’ora e tre quarti tratta di questo argomento, e appare un po’ sorprendente che Mons. Fellay dedichi così poco tempo alle divisioni nella FSSPX. Non era esattamente di questo che la maggior parte dei suoi uditori si aspettavano di sentir parlare?
“Una contraddizione a Roma”
Cosa dice Mons. Fellay sulle sue relazioni con Roma?
Beh, qualcosa di un certo interesse e tanto di poco interesse.
Come in precedenza, in molte occasioni, quello che riveste l’interesse maggiore è ciò che egli non dice o rivela involontariamente.
I lettori ricorderanno le affermazioni fatte da diverse persone che hanno avuto rapporti stretti con Menzingen (di cui si parla nell’articolo di The Recusant: “Knowing How to Stay Sane”), circa l’allarmante ottimismo coltivato dalle persone residenti nel centro di potere della FSSPX. Esse hanno dichiarato che da parte di Menzingen c’era un’eccessiva volontà di prestar fede ad ogni voce proveniente dai “corridoi del potere” e di accettare le parole personali, ufficiose e non verificate di singoli personaggi romani (“nostri amici”), con una ingenuità quasi infantile. Queste affermazioni su Menzingen sono corroborate, forse anche inconsapevolmente, dallo stesso Mons. Fellay, diverse volte nel corso del suo intervento. Si prenda per esempio quanto segue:
Messaggio non ufficiale di “un amico” a Roma: “Il Papa è dalla vostra parte!”; messaggio ufficiale dal Vaticano e dal Papa: “Non potete dire che nel Concilio vi sono degli errori”.
Che confusa contraddizione!
Forse Mons. Fellay dovrebbe prestare attenzione al consiglio dei fedeli e non essere pronto a dare ascolto alle voci! Dopo tutto, la contraddizione è comunque sempre la stessa: i sussurri dietro le quinte non ufficiali che sono positive, e la risposta ufficiale romana che insiste sull’accettazione del Concilio.
Mi chiedo: ha notato la cosa Mons. Fellay? Se sì, gli è capitato di chiedersi di che cosa si potrebbe trattare?
Come osserva l’autore di “Knowing How to Stay Sane”, quando si tratta con la Roma moderna, quando si deve firmare un accordo o ci si deve porre sotto l’autorità romana, si deve dimenticare ogni cosa della “Roma ufficiosa”, poiché è con la “Roma ufficiale” che si dovrà apporre la firma, la Roma che parla apertamente, la Roma le cui parole, i cui pensieri e i cui comportamenti possono essere chiaramente e concretamente osservati nelle sue diverse azioni e nei suoi documenti ufficiali.
In caso di dubbio, a quale Roma l’uomo prudente deve prestare maggiore attenzione?
Nel caso di Mons. Fellay, sembra che si sia risposto a questa domanda con un costante ottimismo basato su ciò che ci dicevano i “nostri amici a Roma” (“Il Papa è dalla vostra parte”, ecc.), senza che si apprendesse alcuna lezione dal valore di quanto affermato dai “nostri amici” della Roma modernista.
Secondo noi, la critica che Mons. Fellay rivolge all’incoerenza di Roma è del tutto ingiusta nei confronti dei romani. Essi, pubblicamente e in veste ufficiale, sono stati e rimangono del tutto coerenti; coerenti per quanto riguarda la nuova Messa, coerenti e determinati nel fare del Vaticano II la pietra miliare dell’ortodossia; coerenti e convincenti, nei fatti se non nelle parole, nel ritenere che la Chiesa ha avuto inizio nel 1965; coerenti e indifferenti (o anche ostili) nei confronti di qualsiasi cosa che c’era prima; coerenti e determinati a fare tutti i passi necessari per mettere a tacere i pochi critici rimasti del Vaticano II, tra i quali la FSSPX è forse il più grande che sia rimasto.
Molti altri problemi
La conferenza contiene molte altre cose interessanti (anche se per tante in maniera indiretta), oltre a quelle di cui ho parlato prima, ma per ragioni di spazio mi limiterò a riassumerne alcune. Il lettore abbastanza coraggioso e paziente può trovare la trascrizione dell’intera conferenza nel nostro sito, nella pagina dei “Reference materials”, così da poter giudicare se quello che ho detto sia del tutto infondato.
- Ancora una volta, Mons. Fellay rivela involontariamente la sua devozione a Roma e il suo forte desiderio di concludere un accordo con la Roma odierna. Per esempio:
- Mons. Fellay ha avanzato un argomento problematico, proponendolo (e lo ha proposto al Papa) come mezzo per “riunire” la FSSPX con Roma. I Greci ortodossi, egli ha detto, hanno adottato una dichiarazione da firmare nella quale il punto principale di disaccordo (la questione dell’annullamento del matrimonio) è stato semplicemente ignorato. Egli ha chiesto al Papa un accordo su questa falsa riga: non parlare del Vaticano II. Sorgono così tanti problemi con questo argomento, che non si sa da dove cominciare. Il lettore voglia considerare quanto segue:
Una visione semplicistica della crisi
A onor del vero, in questo discorso ciò che appare è forse la stessa visione della crisi che ha Mons. Fellay, cosa che costituisce il più grave motivo di preoccupazione. Ad un tradizionalista preparato e agguerrito, che è abituato a discutere della crisi nella Chiesa e a considerare ogni tipo di risposta addotta da persone che tengono posizione differenti, questo discorso lascia in bocca un sapore particolare.
È difficile evidenziare ciò che è esattamente sbagliato ed anche dopo un successivo esame è difficile delucidare il problema. Ancora una volta, forse il punto sta, non tanto in quello che egli dice, quanto in quello che non dice (non sempre si coglie subito se vi sia qualcosa che manchi).
Per esempio, egli arriva a dire che la libertà religiosa è un male, e questo è molto giusto, ma di per sé non è sufficiente, ed egli non offre dei motivi sufficienti per spiegare perché è un male. Non parla realmente della radice del problema. È come se dicesse semplicemente che è un male, per “provare” che egli sta ancora, per così dire, “dalla nostra parte”. Per capire cos’è che manchi esattamente, ricordiamo ciò che sull’argomento ha detto Mons. Tissier de Mallerais, nella sua intervista al giornale Rivarol, dello scorso giugno:
Se consideriamo quello che ha detto un altro vescovo (fino a poco tempo fa della FSSPX) a proposito della crisi, possiamo renderci conto, almeno in parte, di che cos’è che manca.
In questo discorso di Mons. Fellay non si parla di “cinquantismo”, del “confortevole sistema” nel quale sono caduti i cattolici nei primi degli anni ’60; non si parla di come la tiepidezza dei cattolici in un tempo di esteriore prosperità possa condurre, una generazione o due più tardi, ad una pesante caduta, e non si concepisce per niente come la stessa cosa possa essere vera per la FSSPX odierna;
non si parla del modo in cui Dio Onnipotente punisce e purifica di fronte al successo materiale, all’evidenza dei numeri, ecc., che siano accompagnati dalla mancanza di zelo e di vera devozione nei suoi confronti.
Nessun cenno al fatto che l’assoluto punto di partenza per la restaurazione della Chiesa è la fedeltà personale e la santità o, come dice Solzhenitsyn, che il confine tra il bene e il male passa lungo il centro di ogni cuore umano.
La crisi nella Chiesa non è presentata in funzione di Dio e del Suo potere di porre fine a tale situazione con la Sua grazia. Al contrario, è presentata in termini decisamente umani, quasi che Roma e la FSSPX fossero due partiti politici che negoziano un’alleanza con mezzi diplomatici.
Inoltre, come è stato detto prima, Mons. Fellay (al pari di Don Schmidberger e di Don Pfluger) soggiace ad un equivoco circa la consistenza e la forza della FSSPX.
Un certo altro vescovo è stato sulla bocca di tutti per molti anni per aver trattato della fedeltà della FSSPX e della sua capacità di rimanere incontaminata dalla peste del modernismo che ha travolto la Cristianità. In comune con molti di noi, questo arci-nemico episcopale di Mons. Fellay ha sempre avuto almeno l’umiltà di riconoscere che la FSSPX, dove un tempo egli occupava una posizione di rilievo, in realtà è relativamente piccola e fragile, una disperata opera di compartecipazione tenuta insieme con lo spago, il nastro adesivo e la gomma da masticare.
Nella visione di Menzingen, come è stato detto, la Fraternità sarebbe unta da Dio e come tale “entrerebbe nella Chiesa” e la “restaurerebbe dall’interno” (invece di essere come una zanzara in un barile di catrame!), e questo discorso sembra esprimere tutto questo.
È stato anche detto che il parlare di castigo, il menzionare la fine del mondo o il discettare in maniera anche remotamente apocalittica, costituiscono anatema alle orecchie di Menzingen. Basandoci su questa conferenza non si può dire che questo sia provato, ma, ancora una volta, essa sembra esprimere tutto questo.
La fine è vicina
Forse, a causa di questa visione semplicistica della crisi, ci tocca affrontare un ultimo punto dolente.
La crisi nella Chiesa è prossima alla fine? Migliora? Peggiora? Ebbene, secondo il Superiore generale:
Di fatto, ciò che egli sostiene è che nonostante la crisi nella Chiesa non stia volgendo al termine, essa starebbe per finire. Così sarebbero corretti entrambi i punti di vista.
In questa analogia, cogliamo un grosso problema. Innanzi tutto, la visione che abbiamo come “profeti di sventura” viene qui travisata (anche se forse involontariamente). Non è che siamo meramente in pieno inverno, ma è che la crisi nella Chiesa continua a peggiorare col passare degli anni e le cose possono andare ancora peggio. Così che è difficile vedere come si possa conciliare con facilità la nostra visione con quest’altra visione “ottimistica”. I germogli possono apparire in inverno, ma non all’inizio dell’inverno!
Per di più, i piccoli segni che Mons. Fellay ritiene siano dei “germogli” (la più giovane e più conservatrice generazione di chierici!) pone un problema ancora più complesso di quanto egli sembra credere. Come abbiamo detto prima, non stiamo parlando di due parti politiche, senza contare che vi è un altro modo di interpretare questi “segni”.
Dobbiamo ricordare che Mons. Lefebvre usava spesso riferirsi al Vaticano II come alla “Rivoluzione francese nella Chiesa”. Quello a cui stiamo assistendo adesso, in questa Rivoluzione francese conciliare, può essere il classico passo indietro che segue i precedenti due passi avanti. Dopo l’iniziale brutale e violento successo della Rivoluzione, Benedetto XVI (nel ruolo di Napoleone) deve adesso consolidare la tenuta della Rivoluzione e a questo fine deve apparire un po’ più conservatore o quantomeno più tollerante dei suoi predecessori, allo scopo di riportare tutti i recalcitranti sotto l’ombrello rivoluzionario.
Comunque, in ultima analisi, la crisi nella Chiesa non è stata causata dalla politica, ma da un bilanciamento tra il peccato e la grazia, tra il vizio e la virtù, la fedeltà e l’infedeltà, ed è a partire dalla causa che si trova la soluzione.
Pensare che la fine della crisi sia in vista perché alcuni giovani sacerdoti sono in qualche modo un po’ più conservatori dei loro immediati predecessori, ci appare essere come una visione alquanto ristretta di un problema complesso, ancora una volta legata ad una veduta personale di questa crisi e di ciò che l’ha causata. A nostro modesto avviso, Mons. Fellay non ha capito in che consista propriamente questa crisi e farebbe bene ad apprenderlo dai suoi confratelli vescovi che oggi egli perseguita: in particolare da Mons. Tissier de Mallerais e da Mons. Williamson.
Così che, in ultima istanza, quello che possiamo aspettarci può riassumersi in questa domanda: la FSSPX sarà svenduta al nemico o Mons. Fellay ha imparato la lezione?
Ebbene, come c’era da aspettarsi, Mons. Fellay non dice esplicitamente, definitivamente, si o no, dice che non lo ritiene possibile: smentendo ogni fiducia ottimistica. Appare chiaro, infatti, che a lui piacerebbe un accordo, se solo i modernisti di Roma si disponessero ad essere flessibili e diplomatici come lui. Ma come stanno le cose adesso, tutto è bloccato. Quindi, se ancora non c’è stato alcun accordo è solo perché Roma è prevenuta su di esso e non per mancanza di impegno da parte del Superiore generale.
Il fatto che egli persista nel non escludere in linea di principio ogni accordo con la Roma non convertita, come fece Mons. Lefebvre, è per noi una ragione sufficiente per essere molto preoccupati e per continuare a vegliare e a pregare.
Se Mons. Fellay proseguirà sulla sua strada, l’accordo ci sarà, ed anche se questo non accadrà, poco importa: quello che è sostanzialmente cambiato è il modo stesso in cui la direzione della FSSPX pensa e parla della crisi nella Chiesa, dei modernisti di Roma e dello scopo e della ragion d’essere della FSSPX. Forse è questo l’aspetto più terrificante: lo scivolamento c’è stato, con o senza l’accordo. E la sola persona che può agire con decisione per porre fine a questa situazione, non sembra che abbia capito bene il caos che ha contribuito a creare.
La FSSPX si trova forse nella posizione più precaria della sua storia.
Che Dio abbia pietà di noi!
Tenuta alla fine di un anno così turbolento e burrascoso per la FSSPX, il Superiore generale l’avrà ragionevolmente considerata sia come un’opportunità per esporre in qualche modo “la sua versione di fatti”, sia per presentare ai suoi sacerdoti e ai suoi fedeli un resoconto dell’anno trascorso.
Dopo tutto, era necessario tutto questo trambusto del 2012? Di cosa si è trattato? A quale scopo? Deve prolungarsi l’attuale situazione? E se sì, perché?
I trambusti del 2012
Il Superiore generale utilizza la prima parte della sua conferenza per commentare i diversi trambusti, senza dilungarsi troppo. Inizia la sua conferenza dicendo ai presenti che le controversie e i trambusti nella FSSPX non sono una novità. Praticamente, ogni anno – egli dice – la FSSPX “è oggetto di attacchi del demonio. Io uso volutamente queste parole – non si tratta di una metafora, ma di una realtà. Voi sapete che le Scritture dicono che il diavolo si aggira cercando chi divorare…”
Quindi, continua dicendo che finora questi “attacchi del demonio” erano rimasti relegati in un angolo o un altro, in una precisa area della FSSPX in qualche parte del mondo. Questo è il primo anno, egli dice, che il “problema” non si è limitato a qualche parte della FSSPX, ma si è esteso più o meno all’intera FSSPX nel mondo.
Come possiamo essere certi che gli “attacchi” del 2012 siano stati opera “del diavolo”? Secondo Mons. Fellay, per questo motivo:
“Quindi, abbiamo un problema e ci sono le persone che reagiscono a questo problema e c’è poi una certa proporzione. Direi che questo è ciò che chiameremmo un problema normale. Quando ad un tratto si verifica una totale discrepanza tra la cosa reale e la reazione, ecco che si manifestano le passioni, che vi è un’esplosione… è come un vulcano che esplode, quindi si capisce, si vede che tale sproporzione è causata dal diavolo. È questo il suo modo d’agire”.
Cari lettori, se vi aspettavate delle risposte più precise da parte del Superiore generale, temo che rimarrete delusi.
Qual era esattamente la natura e la dimensione (presumibilmente piccola?) del “problema” al quale hanno reagito in modo eccessivo certe persone (quali?)?
Qual è stata esattamente la natura di questa “reazione”, e come possiamo essere certi che la reazione di costoro fosse sproporzionata?
Sembra quasi che Mons. Fellay, ogni volta che cerchi di rispondere ad una domanda, ne sollevi altre quattro o cinque. Infatti, vengono sollevate così tante questioni, che potremmo riempire questo articolo con una discussione su ciò che il Superiore generale non dice e non spiega. Ci viene detto poco, tranne qualche vago discorso e delle generalizzazioni, insieme ad una richiesta piuttosto palese di fiducia (“…ho dovuto sopportare…”). Per di più, il tutto dà l’impressione che egli creda di aver detto quanto fosse necessario per mettere le cose in chiaro.
Prediamo per esempio la parte verso l’inizio, dove sembra che egli sollevi una domanda ovvia, che poi sorprendentemente mette da parte con una non risposta:
“Perché c’è stata confusione? Il problema con questa confusione è che alcune persone hanno perso la fiducia nell’autorità. Posso dire che è il problema maggiore, perché quando si perde la fiducia nell’autorità si è lasciati a se stessi.”
Ma cos’è che ha causato la confusione? La perdita di fiducia nell’autorità!
Benissimo: ma cosa ha causato la perdita di fiducia nell’autorità? Silenzio.
Tutto quello che ci si dice è che la perdita di fiducia nell’autorità è una cosa sbagliata. Il che, di per sé, è vero, ma certo non è questo il punto. In questo caso particolare, la perdita di fiducia è stata giustificata o no? È stata causata dalla stessa autorità?
Molti fedeli della FSSPX, specialmente in Occidente, hanno perso ogni fiducia nelle autorità secolari, ma il fatto è che i nostri governi non meritano sicuramente la nostra fiducia o il nostro ostegno – certo il Superiore generale non intenderebbe affermare che sbagliamo a diffidare di “autorità” come Barack Obama o David Cameron! Tale che si può dire che la perdita di fiducia nell’autorità può essere cosa buona o cattiva, può essere giustificata o no, tutto dipende.
Il diavolo internet
Egli arriva a dire che “molte cose che sono state diffuse su internet in questo periodo erano semplicemente false”.
A cos’è che si riferisce? Si riferisce forse ai vari interventi del suo primo Assistente, Don Niklaus Pfluger, ampiamente pubblicizzati dai siti ufficiali a lui fedeli e sotto il suo controllo? Prendiamo, per esempio, l’intervento di aprile 2012 ad Hattersheim, Germania, alla conferenza promossa dall’associazione Actio Spes Unica, dove Don Pfluger ha assicurato ai suoi uditori, come fosse un dato di fatto, che alla FSSPX era stato offerto un accordo senza condizioni costrittive da sottoscrivere, un riconoscimento unilaterale senza richieste alla FSSPX, cosa che giustificava i negoziati in corso con la Roma non convertita. Gli eventi successivi e le stesse parole di Mons. Fellay in Canada e altrove, hanno dimostrato che si trattava solo di notizie infondate, della diffusione di pettegolezzi senza riscontro e tanto meno prove. Per usare le stesse parole di Mons. Fellay, la tesi di Don Pfluger era “semplicemente falsa”! Stranamente, però, contro Don Pfluger non è stato preso alcun provvedimento, a quanto ne sappiamo.
E ancora, perché nessuno possa pensare che quanto detto da Mons. Fellay si riferisse a Don Pfluger, piuttosto che ai “malvagi” siti come Cathinfo e Ignis Ardens, è opportuno tenere presente la domanda (che Mons. Fellay ha anche trascurato di affrontare): perché così tante persone hanno sentito il bisogno di fare riferimento a dei siti che non sono controllati dalla FSSPX? Se un gran numero di fedeli non avesse perso totalmente la fiducia nei siti ufficiali della FSSPX (DICI, SSPX.org ed altri), non ci sarebbero state così tante “voci” (che praticamente, guarda caso, si sono rivelate essere vere).
Se il lettore desidera conoscere un concreto esempio molto recente di come DICI sia diventato del tutto inaffidabile e unilaterale, e del perché i fedeli si siano rivolti in massa ai siti “non ufficiali” della FSSPX, consulti l’articolo “Quo vadis DICI…?” pubblicato suTheRecusant.com.
In effetti, nel corso del suo intervento, Mons. Fellay ammette bene (seppure involontariamente) che quando si legge qualcosa su DICI non la si deve prendere per oro colato, e che egli può agire ed esprimersi pubblicamente con secondi fini. Così spiega ai suoi uditori di aver pubblicato su DICI la sua intervista dell’8 giugno con lo scopo primario di vedere come avrebbe reagito Roma: “Ho fatto un test, ho pubblicato un’intervista su DICI…”
Stando così le cose, come possiamo essere certi che le future interviste su DICI non siano dei meri “test”? Che le parole che egli ha pronunciato in questa stessa conferenza nell’Ontario non costituiscano un ulteriore strumento di manovra politica, atto a vedere come si reagirà ad esso? Quando il Superiore di una Fraternità che si suppone mantenga una certa dirittura e parli veritativamente al cospetto del disonesto mondo moderno, si comporta così, vi è materia per una seria preoccupazione. Nessuna meraviglia che i fedeli cattolici tradizionali si rivolgano ai “malvagi” siti non ufficiali, quando si accorgono che la principale preoccupazione dei siti ufficiali della FSSPX, come DICI, riguarda più le “relazioni con Roma”, piuttosto che la presentazione della verità.
Per non essere accusati di passarlo sotto silenzio, dobbiamo menzionare l’esempio concreto di “falsità su internet”, citato dal Superiore generale, e cioè la famosa “regola dei tre anni”. Alcuni “malvagi” siti internet hanno riportato che, a Pentecoste del 2012, in occasione di una sua visita al distretto austriaco per delle cresime, nel corso di una riunione con alcuni sacerdoti egli avrebbe rivelato loro le condizioni offerte da Roma e che egli pensava di accettare. Tra queste condizioni, avrebbe detto che c’era quella che poneva in qualche modo la Fraternità sotto l’Ordinario del luogo ove essa operava e che sarebbe stato necessario il permesso dell’Ordinario per tenere aperti i centri di Messa che contavano meno di tre anni. Ci occuperemo altrove della consistenza di questa “voce” (che riteniamo vera) e della sua successiva smentita (che riteniamo falsa), nonché della semi-smentita (che riteniamo una marcia indietro) e dello stravolgimento della vicenda (che sospettiamo costituisca un ottimo esempio di come si possa cercare di cavarsi fuori dal buco). Se quello che molti di noi sospettano è esatto, diventa ancora più evidente, a chi ha occhi per vedere, come non possano essere prese sul serio le parole di un vescovo politico. È curioso che egli scelga come esempio proprio questa vicenda; manco a dirlo, molti di noi rimangono convinti che ciò che è stato diffuso su internet riguardo a quel suo discorso ai sacerdoti austriaci sia l’esatto opposto del “totalmente falso”!
Un silenzio che la dice lunga
Gran parte del resto del discorso di Mons. Fellay si compone della narrazione delle sue varie relazioni col clero romano, che non dobbiamo permettere che ci distragga. Con i moderni politicanti è spesso il caso di un dispendio di una gran quantità di energia, di aria fritta e di retorica, messe in essere per non dire alcunché. Ed è innegabile che Mons. Fellay, nel corso di un’ora e quaranta minuti, non parla di molte delle cose più importanti che, come egli dovrebbe sapere, abbisognano di essere conosciute urgentemente.
Per esempio, non parla di una certa intervista alla CNS (oltre ad altre scandalose affermazioni: si veda l’articolo di Don Chazal: “Scuso il Consiglio”), che fino ad oggi risulta non ritrattata e la cui registrazione è accessibile a chiunque la voglia sentire.
Non fa alcun riferimento al testo scandaloso su un accordo presentato da lui stesso a Roma il 14 aprile.
Nessun riferimento al suo rifiuto attuato all’ultimo momento, di ordinare i candidati dei Francescani e dei Domenicani, per il quale non sono state ancora presentate delle serie e realmente convincenti motivazioni.
Nessun riferimento alle argomentazioni avanzate da un significativo numero di sacerdoti (e da tutti i tre i suoi confratelli vescovi, in questa o quella occasione) contro la sua posizione e le sue dichiarazioni.
Nessun riferimento alle sue pesanti misure punitive contro sacerdoti e fedeli che erano pubblicamente in disaccordo con lui o alla persistente mancanza di ogni tipo di spiegazione sul perché siano stati puniti.
E infine, più rivelatrice di tutte, nessun riferimento al gigantesco problema che è sotto gli occhi di tutti, al quale non si fa menzione o si allude neanche indirettamente: la recente espulsione di uno dei quattro vescovi consacrati dal venerato Fondatore, espulso per crimini come il viaggio in Brasile per amministrare le cresime e per essersi rifiutato di interrompere il suo breve e settimanale “Commenti eleison”, l’unico contatto che gli era rimasto con i fedeli di tutto il mondo.
Tutte cose di cui i suoi uditori avrebbero sperato di sentir parlare: questioni rilevanti che continuano a rimanere né poste né risolte.
Eppure, dobbiamo sperare e pregare che accada che il Superiore generale si ponga lui stesso alcune domande pungenti su ciò che è accaduto alla FSSPX. Dispiacersi per essere stato “attaccato dal diavolo” non serve a nulla. Deve chiedersi perché così tante persone, tra le quali dei suoi ex difensori, abbiano incominciato a parlare e a scrivere simultaneamente contro di lui. Allo stato delle cose, lascia tutti con la netta sensazione che egli pensi che un gran numero di fedeli e di chierici (molti dei quali tra i più esperti e rispettati nella FSSPX) abbiano improvvisamente, inspiegabilmente e spontaneamente perso il bene dell’intelletto, siano impazziti ed abbiano attaccato lui e la FSSPX.
E perché? Perché agivano per conto del diavolo!
A beneficio di Mons. Fellay, il lettore ci permetta di ricordare che esistono alcune cause molto concrete delle turbolenze occorse nel 2012 e della perdita di fiducia nell’autorità. Per spiegarle meglio useremo le parole di un sacerdote della FSSPX, conosciuto da molti di noi come molto equilibrato e dalla mente aperta, da lui scritte lo scorso giugno in una lettera a Don Thouvenot:
«Le terribili divisioni che minano oggi la nostra Fraternità, non sono il frutto della ribellione e della disobbedienza, ma chiaramente sono il risultato di un cambiamento sismico di principio da parte dei nostri Superiori nelle relazioni con Roma.
«Nessun argomento convincente è stato presentato a giustificazione di un tale fondamentale cambiamento di posizione – il Santo Padre non ha cambiato, in qualsivoglia maniera, la sua insistenza sull’ermeneutica della continuità a proposito della Tradizione e degli insegnamenti dell’ultimo Concilio. E tuttavia ci si dice di accettare il contrario.
«Di conseguenza, mi appare ben chiaro che quelli che veramente hanno la responsabilità dell’attuale crisi, non sono coloro che hanno tentato di preservare la fermezza della nostra Fraternità e la professione senza ambiguità della fede cattolica al cospetto delle autorità conciliari, bensì coloro che hanno scelto di abbandonare la saggezza di insistere su una vera conversione da parte della Roma modernista, prima di prendere in considerazione un accordo pratico». [Lettera di Don Matthew Clifton a Don Christian Thouvenot, 27 giugno 2012]
«Nessun argomento convincente è stato presentato a giustificazione di un tale fondamentale cambiamento di posizione – il Santo Padre non ha cambiato, in qualsivoglia maniera, la sua insistenza sull’ermeneutica della continuità a proposito della Tradizione e degli insegnamenti dell’ultimo Concilio. E tuttavia ci si dice di accettare il contrario.
«Di conseguenza, mi appare ben chiaro che quelli che veramente hanno la responsabilità dell’attuale crisi, non sono coloro che hanno tentato di preservare la fermezza della nostra Fraternità e la professione senza ambiguità della fede cattolica al cospetto delle autorità conciliari, bensì coloro che hanno scelto di abbandonare la saggezza di insistere su una vera conversione da parte della Roma modernista, prima di prendere in considerazione un accordo pratico». [Lettera di Don Matthew Clifton a Don Christian Thouvenot, 27 giugno 2012]
Alla luce di quanto sopra, si può capire perché Mons. Fellay voglia evitare una discussione sulle cause specifiche delle divisioni del 2012, dal momento che, più di ogni altro, è al centro di esse. La responsabilità è sua, come in ultima analisi egli è responsabile di tutte le fortune e le sfortune della FSSPX – cosa che sicuramente corrisponde a ciò che significa essere Superiore. E in definitiva, nessuno è in grado di raddrizzare la questione, se non lui stesso, se solo avesse la volontà di farlo. Se dopo tutto quello che è accaduto non lo fa, è perché, come molti di noi credono, egli ha altre priorità. Egli preferisce una più piccola, ridotta FSSPX, totalmente docile e obbediente alla sua volontà e in grado di essere facilmente condotta ad un accordo con la Roma modernista, piuttosto che una FSSPX più forte e più unita in grado di resistere ad ogni tentativo del genere.
Lamentare disunione e lotte intestine e insieme rifiutarsi ostinatamente di riconoscerne ogni possibile causa; lamentare la distruzione e non fare alcunché per prevenirla: costituisce un modello di comportamento che la Santa Madre Chiesa ha già conosciuto, in tempi relativamente recenti, ed è possibile che se Mons. Fellay non starà attento, possa passare alla storia come “il Paolo VI della FSSPX”.
L’esempio più recente che fa capire come sarebbe lui stesso quello coinvolto nelle cause di divisione della Fraternità, è dato dalle sue stesse parole:
“Se guardo e cerco di capire dov’è o da dove viene questa confusione, ci sono diversi elementi che non aiutano. Il primo e forse il più profondo, causa di tutti gli altri, è che da anni stiamo vivendo una contraddizione presente a Roma. Cercherò di sviluppare questo punto, perché penso che sia il più importante”.
E procede quindi parlando a lungo del suo argomento preferito, ben sperimentato in anni di utilizzo (che per molti di noi era forse interessante nel 2001, ma che ha ormai perso da tempo la sua aura di novità) – avete indovinato! – “Le nostre relazioni con Roma”.
Infatti la gran parte di questo lungo discorso di un’ora e tre quarti tratta di questo argomento, e appare un po’ sorprendente che Mons. Fellay dedichi così poco tempo alle divisioni nella FSSPX. Non era esattamente di questo che la maggior parte dei suoi uditori si aspettavano di sentir parlare?
“Una contraddizione a Roma”
Cosa dice Mons. Fellay sulle sue relazioni con Roma?
Beh, qualcosa di un certo interesse e tanto di poco interesse.
Come in precedenza, in molte occasioni, quello che riveste l’interesse maggiore è ciò che egli non dice o rivela involontariamente.
I lettori ricorderanno le affermazioni fatte da diverse persone che hanno avuto rapporti stretti con Menzingen (di cui si parla nell’articolo di The Recusant: “Knowing How to Stay Sane”), circa l’allarmante ottimismo coltivato dalle persone residenti nel centro di potere della FSSPX. Esse hanno dichiarato che da parte di Menzingen c’era un’eccessiva volontà di prestar fede ad ogni voce proveniente dai “corridoi del potere” e di accettare le parole personali, ufficiose e non verificate di singoli personaggi romani (“nostri amici”), con una ingenuità quasi infantile. Queste affermazioni su Menzingen sono corroborate, forse anche inconsapevolmente, dallo stesso Mons. Fellay, diverse volte nel corso del suo intervento. Si prenda per esempio quanto segue:
«Ma il grande, grande problema in quel momento era il seguente. Anche prima del 14 settembre ho ricevuto dei messaggi da persone che lavorano a Roma e che ci sono amici. Persone che sono rimaste scottate perché sono troppo vicine a noi, e che lavorano a Roma e che sono nostri amici. E queste persone mi hanno detto: “il Papa sta per riconoscere la Fraternità ed ha intenzione di farlo come ha fatto con le scomuniche, cioè senza nulla in cambio da parte vostra”. Il Papa lo farà. E ho ricevuto diversi di questi messaggi da diverse persone, la cui autenticità diciamo che non poteva essere messa in dubbio. Per esempio, una di esse lavora all’Ecclesia Dei, l’organismo che ha a che fare con noi. E questa stessa persona, dopo che avevamo ricevuto il testo, ci ha detto: “Questo non è quello che vuole il papa!”.
«Quindi, vedete, io ho ricevuto tutti questi tipi di messaggi che contrastavano tra loro. Uno ufficiale, al quale bisognava dire chiaramente di no. E altri messaggi, che certo non erano ufficiali, e che dicevano: “No, questo non è quello che vuole il Papa! Il Papa è molto più incline verso i voi, lui!”».
«Quindi, vedete, io ho ricevuto tutti questi tipi di messaggi che contrastavano tra loro. Uno ufficiale, al quale bisognava dire chiaramente di no. E altri messaggi, che certo non erano ufficiali, e che dicevano: “No, questo non è quello che vuole il Papa! Il Papa è molto più incline verso i voi, lui!”».
Messaggio non ufficiale di “un amico” a Roma: “Il Papa è dalla vostra parte!”; messaggio ufficiale dal Vaticano e dal Papa: “Non potete dire che nel Concilio vi sono degli errori”.
Che confusa contraddizione!
Forse Mons. Fellay dovrebbe prestare attenzione al consiglio dei fedeli e non essere pronto a dare ascolto alle voci! Dopo tutto, la contraddizione è comunque sempre la stessa: i sussurri dietro le quinte non ufficiali che sono positive, e la risposta ufficiale romana che insiste sull’accettazione del Concilio.
Mi chiedo: ha notato la cosa Mons. Fellay? Se sì, gli è capitato di chiedersi di che cosa si potrebbe trattare?
Come osserva l’autore di “Knowing How to Stay Sane”, quando si tratta con la Roma moderna, quando si deve firmare un accordo o ci si deve porre sotto l’autorità romana, si deve dimenticare ogni cosa della “Roma ufficiosa”, poiché è con la “Roma ufficiale” che si dovrà apporre la firma, la Roma che parla apertamente, la Roma le cui parole, i cui pensieri e i cui comportamenti possono essere chiaramente e concretamente osservati nelle sue diverse azioni e nei suoi documenti ufficiali.
In caso di dubbio, a quale Roma l’uomo prudente deve prestare maggiore attenzione?
Nel caso di Mons. Fellay, sembra che si sia risposto a questa domanda con un costante ottimismo basato su ciò che ci dicevano i “nostri amici a Roma” (“Il Papa è dalla vostra parte”, ecc.), senza che si apprendesse alcuna lezione dal valore di quanto affermato dai “nostri amici” della Roma modernista.
Secondo noi, la critica che Mons. Fellay rivolge all’incoerenza di Roma è del tutto ingiusta nei confronti dei romani. Essi, pubblicamente e in veste ufficiale, sono stati e rimangono del tutto coerenti; coerenti per quanto riguarda la nuova Messa, coerenti e determinati nel fare del Vaticano II la pietra miliare dell’ortodossia; coerenti e convincenti, nei fatti se non nelle parole, nel ritenere che la Chiesa ha avuto inizio nel 1965; coerenti e indifferenti (o anche ostili) nei confronti di qualsiasi cosa che c’era prima; coerenti e determinati a fare tutti i passi necessari per mettere a tacere i pochi critici rimasti del Vaticano II, tra i quali la FSSPX è forse il più grande che sia rimasto.
Molti altri problemi
La conferenza contiene molte altre cose interessanti (anche se per tante in maniera indiretta), oltre a quelle di cui ho parlato prima, ma per ragioni di spazio mi limiterò a riassumerne alcune. Il lettore abbastanza coraggioso e paziente può trovare la trascrizione dell’intera conferenza nel nostro sito, nella pagina dei “Reference materials”, così da poter giudicare se quello che ho detto sia del tutto infondato.
- Ancora una volta, Mons. Fellay rivela involontariamente la sua devozione a Roma e il suo forte desiderio di concludere un accordo con la Roma odierna. Per esempio:
“Ora io dico, questa lettera, se solo avessi avuto questa lettera, avrebbe significato la fine del nostro rapporto con Roma.” (Sarebbe stata davvero una brutta cosa?)
“E… questa è la situazione… è tutto bloccato… io mi chiedo ancora cosa possiamo fare per portare avanti i colloqui dottrinali. Possiamo, c’è una maniera possibile? Ancora non lo so, io ho qualche idea, ma è tutto bloccato! […] E il problema è che noi abbiamo i modernisti a cui piacerebbe porre fine alla storia della Fraternità, con una condanna, e ci sono delle persone che ancora si aspettano di ottenere qualcosa. Francamente non so come questo possa essere possibile. Per me, adesso questa situazione è davvero bloccata. Realmente bloccata”.
Si notino le chiarissime implicazioni di questo tipo di linguaggio. È Roma che impedisce un accordo. Sono i modernisti che vogliono la separazione fra Roma e la FSSPX. Noi invece abbiamo fatto il possibile per continuare i nostri negoziati con i modernisti e speriamo ancora in un accordo con la Roma modernista, se solo fosse possibile.
Si notino le chiarissime implicazioni di questo tipo di linguaggio. È Roma che impedisce un accordo. Sono i modernisti che vogliono la separazione fra Roma e la FSSPX. Noi invece abbiamo fatto il possibile per continuare i nostri negoziati con i modernisti e speriamo ancora in un accordo con la Roma modernista, se solo fosse possibile.
La prova dell’intenzione di Mons. Fellay di piegarsi alla volontà di Roma, almeno in una certa misura, di “trovare una via di mezzo”, di accettare almeno in parte le richieste dei modernisti, è data a mo’ d’esempio dalla sua decisione di non effettuare ordinazioni suddiaconali in Gemania nel 2009, perché gli era stato chiesto personalmente dal card. Castrillon Hoyos. In quella occasione, egli non si spinse fin dove avrebbe voluto il cardinale (la totale cancellazione di esse), ma quanto meno si stabilì un precedente in base al quale i cambiamenti della FSSPX sarebbero diventati una pratica normale sulla base della convenienza della Roma modernista.
Mons. Fellay ammette bene di aver avuto una fiducia infantile nelle buone intenzioni del Papa, almeno fino a poco tempo fa, e di aver mantenuto più o meno il punto di vista corrente di un buon papa le cui mani sono legate da cardinali e vescovi malevoli. Non è del tutto chiaro se gli eventi che sono seguiti siano riusciti a guarirlo da tali illusioni infantili. Tuttavia, è abbastanza chiaro che la sua visione rimane quella dell’essere irrealisticamente fiducioso nel “Papa”.
Come prova migliore di questa visione, si può ricordare la sua sorprendente ammissione di scorgere qualcosa di positivo nella nomina di un uomo di Chiesa romano la cui descrizione si adatta solo a Mons. Di Noia (“che sembra essere più aperto o che vuole rappresentare la posizione del Papa”); nomina che, egli ha detto, è stata fatta dal Papa per bilanciare la “cattiva nomina” di Mons. Müller! Ai lettori di The Recusant ricordo le parole di Mons. Di Noia che abbiamo riportato in un precedente articolo, con le quali egli afferma che lo scopo della riconciliazione con la Fraternità è quello di avallare con i fatti il Vaticano II, dimostrando che non vi è alcuna spaccatura tra il pre e il post Concilio.
Mons. Fellay ammette bene di aver avuto una fiducia infantile nelle buone intenzioni del Papa, almeno fino a poco tempo fa, e di aver mantenuto più o meno il punto di vista corrente di un buon papa le cui mani sono legate da cardinali e vescovi malevoli. Non è del tutto chiaro se gli eventi che sono seguiti siano riusciti a guarirlo da tali illusioni infantili. Tuttavia, è abbastanza chiaro che la sua visione rimane quella dell’essere irrealisticamente fiducioso nel “Papa”.
Come prova migliore di questa visione, si può ricordare la sua sorprendente ammissione di scorgere qualcosa di positivo nella nomina di un uomo di Chiesa romano la cui descrizione si adatta solo a Mons. Di Noia (“che sembra essere più aperto o che vuole rappresentare la posizione del Papa”); nomina che, egli ha detto, è stata fatta dal Papa per bilanciare la “cattiva nomina” di Mons. Müller! Ai lettori di The Recusant ricordo le parole di Mons. Di Noia che abbiamo riportato in un precedente articolo, con le quali egli afferma che lo scopo della riconciliazione con la Fraternità è quello di avallare con i fatti il Vaticano II, dimostrando che non vi è alcuna spaccatura tra il pre e il post Concilio.
- Mons. Fellay ha avanzato un argomento problematico, proponendolo (e lo ha proposto al Papa) come mezzo per “riunire” la FSSPX con Roma. I Greci ortodossi, egli ha detto, hanno adottato una dichiarazione da firmare nella quale il punto principale di disaccordo (la questione dell’annullamento del matrimonio) è stato semplicemente ignorato. Egli ha chiesto al Papa un accordo su questa falsa riga: non parlare del Vaticano II. Sorgono così tanti problemi con questo argomento, che non si sa da dove cominciare. Il lettore voglia considerare quanto segue:
Come può continuare la FSSPX a criticare il Concilio, se alla base dell’accordo manca ogni riferimento alla cosa più importante su cui si è in disaccordo?
Quello che è giuoco non è la validità di alcuni matrimonii, per importante che sia, ma l’intera fede cattolica. Il modernismo è un sistema di pensiero e come tale abbraccia l’insieme della fede cattolica ed è in grado di far venir meno il vero significato di ogni formulazione di fede.
Nel caso dell’accordo firmato dai Greci ortodossi, chi nella disputa stava dalla parte della ragione (Roma) era la più grande, la più forte e la più anziana delle due parti. Nel nostro caso, chi sta dalla parte della ragione è di gran lunga il più debole. Negoziare da una posizione di forza è un conto, ben altro è farlo da una posizione di debolezza, come nel nostro caso.
Se l’accordo “silente” dei Greci era una buona idea, perché i Greci ortodossi non sono ancora riuniti con Roma? I fatti dimostrano come tale tentativo sia fallito. Perché dovrebbe avere successo nel nostro caso?
È la verità ad avere il primato e i veri insegnamenti di Dio hanno il diritto di essere riconosciuti da tutti, anche dalla Roma modernista. Non vogliamo essere riconosciuti in nome del pluralismo. Roma deve riconoscere i suoi errori e convertirsi dal suo modernismo. La firma di tale tipo di accordo che “ignora la guerra” non permetterebbe a Roma di recedere dal suo modernismo. Peggio, equivarrebbe ad ammettere che noi non ci aspettiamo o non richiediamo tale conversione. Ciò che noi chiediamo è che la Roma conciliare si ravveda. Non vogliamo essere collocati su un altare laterale della Cattedrale del pluralismo conciliare, con un accordo che ci viene concesso solo a patto che noi si accetti di vivere in armonia con gli altri occupanti.
Quello che è giuoco non è la validità di alcuni matrimonii, per importante che sia, ma l’intera fede cattolica. Il modernismo è un sistema di pensiero e come tale abbraccia l’insieme della fede cattolica ed è in grado di far venir meno il vero significato di ogni formulazione di fede.
Nel caso dell’accordo firmato dai Greci ortodossi, chi nella disputa stava dalla parte della ragione (Roma) era la più grande, la più forte e la più anziana delle due parti. Nel nostro caso, chi sta dalla parte della ragione è di gran lunga il più debole. Negoziare da una posizione di forza è un conto, ben altro è farlo da una posizione di debolezza, come nel nostro caso.
Se l’accordo “silente” dei Greci era una buona idea, perché i Greci ortodossi non sono ancora riuniti con Roma? I fatti dimostrano come tale tentativo sia fallito. Perché dovrebbe avere successo nel nostro caso?
È la verità ad avere il primato e i veri insegnamenti di Dio hanno il diritto di essere riconosciuti da tutti, anche dalla Roma modernista. Non vogliamo essere riconosciuti in nome del pluralismo. Roma deve riconoscere i suoi errori e convertirsi dal suo modernismo. La firma di tale tipo di accordo che “ignora la guerra” non permetterebbe a Roma di recedere dal suo modernismo. Peggio, equivarrebbe ad ammettere che noi non ci aspettiamo o non richiediamo tale conversione. Ciò che noi chiediamo è che la Roma conciliare si ravveda. Non vogliamo essere collocati su un altare laterale della Cattedrale del pluralismo conciliare, con un accordo che ci viene concesso solo a patto che noi si accetti di vivere in armonia con gli altri occupanti.
Una visione semplicistica della crisi
A onor del vero, in questo discorso ciò che appare è forse la stessa visione della crisi che ha Mons. Fellay, cosa che costituisce il più grave motivo di preoccupazione. Ad un tradizionalista preparato e agguerrito, che è abituato a discutere della crisi nella Chiesa e a considerare ogni tipo di risposta addotta da persone che tengono posizione differenti, questo discorso lascia in bocca un sapore particolare.
È difficile evidenziare ciò che è esattamente sbagliato ed anche dopo un successivo esame è difficile delucidare il problema. Ancora una volta, forse il punto sta, non tanto in quello che egli dice, quanto in quello che non dice (non sempre si coglie subito se vi sia qualcosa che manchi).
Per esempio, egli arriva a dire che la libertà religiosa è un male, e questo è molto giusto, ma di per sé non è sufficiente, ed egli non offre dei motivi sufficienti per spiegare perché è un male. Non parla realmente della radice del problema. È come se dicesse semplicemente che è un male, per “provare” che egli sta ancora, per così dire, “dalla nostra parte”. Per capire cos’è che manchi esattamente, ricordiamo ciò che sull’argomento ha detto Mons. Tissier de Mallerais, nella sua intervista al giornale Rivarol, dello scorso giugno:
Rivarol: Può precisarci questo problema di fede che Lei si augura vedere risolto per prima cosa?
Mons. Tissier: Volentieri. Si tratta, come diceva Mons. Lefebvre, del tentativo del Concilio Vaticano II di riconciliare la Chiesa con la rivoluzione, di conciliare la dottrina della fede con gli errori liberali. È lo stesso Benedetto XVI che l’ha detto nel suo colloquio con Vittorio Messori nel novembre del 1984: «il problema degli anni ’60 (dunque del Concilio) era l’acquisizione dei valori meglio maturati in due secoli di cultura liberale. Valori che, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto – purché vagliati e corretti - nella sua visione. In questi anni si è adempiuto a questo compito» [Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Ed. Paoline, 2° ediz. 1985, p. 34]. Ecco l’opera del Concilio: una conciliazione impossibile. «Quale conciliazione ci può essere fra la luce e le tenebre?», dice l’Apostolo, «quale intesa fra Cristo e Beliar?» (2 Cor. 6, 15). La manifestazione emblematica di questa conciliazione è la Dichiarazione sulla libertà religiosa. Al posto della verità di Cristo e del suo Regno sociale sulle nazioni, il Concilio ha messo la persona umana, la sua coscienza e la sua libertà. È il famoso «cambiamento di paradigma» che confessava il Cardinale Colombo negli anni ’80. Il culto dell’uomo che si fa Dio al posto del culto di Dio che si è fatto uomo (Cfr. Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965). Si tratta di una nuova religione che non è la religione cattolica. Con questa religione noi non vogliamo alcun compromesso, alcun rischio di corruzione, perfino alcuna apparenza di conciliazione, ed è questa apparenza che fornirebbe la nostra cosiddetta “regolarizzazione”. Che il Cuore Immacolato di Maria, immacolato nella sua fede, ci conservi nella fede cattolica…
Mons. Tissier: Volentieri. Si tratta, come diceva Mons. Lefebvre, del tentativo del Concilio Vaticano II di riconciliare la Chiesa con la rivoluzione, di conciliare la dottrina della fede con gli errori liberali. È lo stesso Benedetto XVI che l’ha detto nel suo colloquio con Vittorio Messori nel novembre del 1984: «il problema degli anni ’60 (dunque del Concilio) era l’acquisizione dei valori meglio maturati in due secoli di cultura liberale. Valori che, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto – purché vagliati e corretti - nella sua visione. In questi anni si è adempiuto a questo compito» [Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Ed. Paoline, 2° ediz. 1985, p. 34]. Ecco l’opera del Concilio: una conciliazione impossibile. «Quale conciliazione ci può essere fra la luce e le tenebre?», dice l’Apostolo, «quale intesa fra Cristo e Beliar?» (2 Cor. 6, 15). La manifestazione emblematica di questa conciliazione è la Dichiarazione sulla libertà religiosa. Al posto della verità di Cristo e del suo Regno sociale sulle nazioni, il Concilio ha messo la persona umana, la sua coscienza e la sua libertà. È il famoso «cambiamento di paradigma» che confessava il Cardinale Colombo negli anni ’80. Il culto dell’uomo che si fa Dio al posto del culto di Dio che si è fatto uomo (Cfr. Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965). Si tratta di una nuova religione che non è la religione cattolica. Con questa religione noi non vogliamo alcun compromesso, alcun rischio di corruzione, perfino alcuna apparenza di conciliazione, ed è questa apparenza che fornirebbe la nostra cosiddetta “regolarizzazione”. Che il Cuore Immacolato di Maria, immacolato nella sua fede, ci conservi nella fede cattolica…
Se consideriamo quello che ha detto un altro vescovo (fino a poco tempo fa della FSSPX) a proposito della crisi, possiamo renderci conto, almeno in parte, di che cos’è che manca.
In questo discorso di Mons. Fellay non si parla di “cinquantismo”, del “confortevole sistema” nel quale sono caduti i cattolici nei primi degli anni ’60; non si parla di come la tiepidezza dei cattolici in un tempo di esteriore prosperità possa condurre, una generazione o due più tardi, ad una pesante caduta, e non si concepisce per niente come la stessa cosa possa essere vera per la FSSPX odierna;
non si parla del modo in cui Dio Onnipotente punisce e purifica di fronte al successo materiale, all’evidenza dei numeri, ecc., che siano accompagnati dalla mancanza di zelo e di vera devozione nei suoi confronti.
Nessun cenno al fatto che l’assoluto punto di partenza per la restaurazione della Chiesa è la fedeltà personale e la santità o, come dice Solzhenitsyn, che il confine tra il bene e il male passa lungo il centro di ogni cuore umano.
La crisi nella Chiesa non è presentata in funzione di Dio e del Suo potere di porre fine a tale situazione con la Sua grazia. Al contrario, è presentata in termini decisamente umani, quasi che Roma e la FSSPX fossero due partiti politici che negoziano un’alleanza con mezzi diplomatici.
Inoltre, come è stato detto prima, Mons. Fellay (al pari di Don Schmidberger e di Don Pfluger) soggiace ad un equivoco circa la consistenza e la forza della FSSPX.
Un certo altro vescovo è stato sulla bocca di tutti per molti anni per aver trattato della fedeltà della FSSPX e della sua capacità di rimanere incontaminata dalla peste del modernismo che ha travolto la Cristianità. In comune con molti di noi, questo arci-nemico episcopale di Mons. Fellay ha sempre avuto almeno l’umiltà di riconoscere che la FSSPX, dove un tempo egli occupava una posizione di rilievo, in realtà è relativamente piccola e fragile, una disperata opera di compartecipazione tenuta insieme con lo spago, il nastro adesivo e la gomma da masticare.
Nella visione di Menzingen, come è stato detto, la Fraternità sarebbe unta da Dio e come tale “entrerebbe nella Chiesa” e la “restaurerebbe dall’interno” (invece di essere come una zanzara in un barile di catrame!), e questo discorso sembra esprimere tutto questo.
È stato anche detto che il parlare di castigo, il menzionare la fine del mondo o il discettare in maniera anche remotamente apocalittica, costituiscono anatema alle orecchie di Menzingen. Basandoci su questa conferenza non si può dire che questo sia provato, ma, ancora una volta, essa sembra esprimere tutto questo.
La fine è vicina
Forse, a causa di questa visione semplicistica della crisi, ci tocca affrontare un ultimo punto dolente.
La crisi nella Chiesa è prossima alla fine? Migliora? Peggiora? Ebbene, secondo il Superiore generale:
«Ad un certo momento, verso la fine dell’inverno, sugli alberi si vedono nuovi germogli, appena nati. Sono piccola cosa. Ma quando li si vede, si sa che la primavera arriverà. Ma se si dirà: ecco la primavera, la gente dirà: ma dai, andiamo. È inverno! C’è freddo! Nevica! Ghiaccia! C’è vento! Non dire che è primavera! Non è vero! È inverno! E noi diciamo: hanno ragione entrambi, è inverno. E io dico: se si guarda alla situazione nella Chiesa, è ancora inverno. Ma cominciamo a vedere dei piccoli segni che iniziano a dire che la primavera sta arrivando.»
Di fatto, ciò che egli sostiene è che nonostante la crisi nella Chiesa non stia volgendo al termine, essa starebbe per finire. Così sarebbero corretti entrambi i punti di vista.
In questa analogia, cogliamo un grosso problema. Innanzi tutto, la visione che abbiamo come “profeti di sventura” viene qui travisata (anche se forse involontariamente). Non è che siamo meramente in pieno inverno, ma è che la crisi nella Chiesa continua a peggiorare col passare degli anni e le cose possono andare ancora peggio. Così che è difficile vedere come si possa conciliare con facilità la nostra visione con quest’altra visione “ottimistica”. I germogli possono apparire in inverno, ma non all’inizio dell’inverno!
Per di più, i piccoli segni che Mons. Fellay ritiene siano dei “germogli” (la più giovane e più conservatrice generazione di chierici!) pone un problema ancora più complesso di quanto egli sembra credere. Come abbiamo detto prima, non stiamo parlando di due parti politiche, senza contare che vi è un altro modo di interpretare questi “segni”.
Dobbiamo ricordare che Mons. Lefebvre usava spesso riferirsi al Vaticano II come alla “Rivoluzione francese nella Chiesa”. Quello a cui stiamo assistendo adesso, in questa Rivoluzione francese conciliare, può essere il classico passo indietro che segue i precedenti due passi avanti. Dopo l’iniziale brutale e violento successo della Rivoluzione, Benedetto XVI (nel ruolo di Napoleone) deve adesso consolidare la tenuta della Rivoluzione e a questo fine deve apparire un po’ più conservatore o quantomeno più tollerante dei suoi predecessori, allo scopo di riportare tutti i recalcitranti sotto l’ombrello rivoluzionario.
Comunque, in ultima analisi, la crisi nella Chiesa non è stata causata dalla politica, ma da un bilanciamento tra il peccato e la grazia, tra il vizio e la virtù, la fedeltà e l’infedeltà, ed è a partire dalla causa che si trova la soluzione.
Pensare che la fine della crisi sia in vista perché alcuni giovani sacerdoti sono in qualche modo un po’ più conservatori dei loro immediati predecessori, ci appare essere come una visione alquanto ristretta di un problema complesso, ancora una volta legata ad una veduta personale di questa crisi e di ciò che l’ha causata. A nostro modesto avviso, Mons. Fellay non ha capito in che consista propriamente questa crisi e farebbe bene ad apprenderlo dai suoi confratelli vescovi che oggi egli perseguita: in particolare da Mons. Tissier de Mallerais e da Mons. Williamson.
Così che, in ultima istanza, quello che possiamo aspettarci può riassumersi in questa domanda: la FSSPX sarà svenduta al nemico o Mons. Fellay ha imparato la lezione?
Ebbene, come c’era da aspettarsi, Mons. Fellay non dice esplicitamente, definitivamente, si o no, dice che non lo ritiene possibile: smentendo ogni fiducia ottimistica. Appare chiaro, infatti, che a lui piacerebbe un accordo, se solo i modernisti di Roma si disponessero ad essere flessibili e diplomatici come lui. Ma come stanno le cose adesso, tutto è bloccato. Quindi, se ancora non c’è stato alcun accordo è solo perché Roma è prevenuta su di esso e non per mancanza di impegno da parte del Superiore generale.
Il fatto che egli persista nel non escludere in linea di principio ogni accordo con la Roma non convertita, come fece Mons. Lefebvre, è per noi una ragione sufficiente per essere molto preoccupati e per continuare a vegliare e a pregare.
Se Mons. Fellay proseguirà sulla sua strada, l’accordo ci sarà, ed anche se questo non accadrà, poco importa: quello che è sostanzialmente cambiato è il modo stesso in cui la direzione della FSSPX pensa e parla della crisi nella Chiesa, dei modernisti di Roma e dello scopo e della ragion d’essere della FSSPX. Forse è questo l’aspetto più terrificante: lo scivolamento c’è stato, con o senza l’accordo. E la sola persona che può agire con decisione per porre fine a questa situazione, non sembra che abbia capito bene il caos che ha contribuito a creare.
La FSSPX si trova forse nella posizione più precaria della sua storia.
Che Dio abbia pietà di noi!
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