Sguardo cattolico 1 Cari amici, questa è il primo di tre piccoli post, dedicati a tre argomenti molto diversi tra di loro, sui quali mi sono parecchio interrogato negli ultimi tempi. Li intitolo “sguardo cattolico” non perché abbia la pretesa di insegnare alcunché (ce n’è già tanti di insegnanti, del resto), ma piuttosto perché queste modeste riflessioni nascono dal tentativo di guardare ai fatti in questione a partire da uno sguardo di fede. Il primo caso riguarda l’ormai annosa questione lefebvriana. Ho appena scritto su Vatican Insider un articolo sull’omelia pronunciata domenica scorsa da mons. Fellay. Non intervengo qui nello specifico delle parole del vescovo, ma volevo riflettere sul gesto compiuto nel 1988 da monsignor Marcel Lefebvre, che, come sapete, nel giugno di quell’anno decise di consacrare senza il mandato del Papa quattro nuovi vescovi, due dei quali erano lo stesso Fellay e Richard Williamson.
Si è discusso molto se l’atto di Lefebvre, che provocò la conseguente scomunica, si configurasse come un vero e proprio scisma oppure no. Non è questo che mi interessa. Mi interrogo invece su che cosa abbia determinato Lefebvre a prendere la sua grave decisione, dopo che la Santa Sede gli aveva garantito l’ordinazione di un vescovo al termine dei dialoghi che si erano tenuti sotto la supervisione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger.
Si è detto da parte dei suoi sostenitori e fedeli che Lefebvre agì per necessità, per garantire una successione e la sopravvivenza della Fraternità che aveva istituito. Mi chiedo però, e su questo mi piacerebbe conoscere la vostra opinione, se questa disobbedienza grave, questo strappo grave, questo atto grave di consacrare dei vescovi senza il mandato del Papa, non possa significare, al fondo, una mancanza di concreta fiducia nel fatto che il Figlio di Dio guida la sua Chiesa e non l’abbandona nei momenti di tempesta.
Mi spiego. Lefebvre aveva condotto una sua battaglia al Concilio Vaticano II, facendo parte della cosiddetta minoranza conciliare. Nell’epoca burrascosa del post-concilio aveva denunciato prima gli abusi liturgici e poi contestato in toto la riforma liturgica e la “nuova messa”. Aveva istituito una Fraternità sacerdotale che aveva come principale scopo quello di formare i sacerdoti secondo la liturgia e gli insegnamenti precedenti al Vaticano II, ritenendo suo dovere custodirli e denunciare quelle che ai suoi occhi apparivano come deviazioni dal depositum fidei.
Ma non credete che, invece di compiere l’atto delle consacrazioni illecite, avrebbe dovuto “consegnare” a Dio quello che aveva compiuto fino a quel momento (mi ha colpito, come ho già scritto, che nella lettera dell’arcivescovo Di Noia a Fellay si parli di “carisma” della Fraternità), dicendo: “Se Tu vuoi che quest’opera continui, devi essere Tu a far sì che abbia nuovi vescovi che la guidino. Io non posso disobbedire al Papa e compiere questo atto”?
Vi sembra questa mia una considerazione troppo semplice-semplicistica-banale? So bene che la storia è storia, e che questa mia domanda lascia il tempo che trova. Forse però non è inutile interrogarsi su questa come su altre disobbedienze (e i lefebvriani non hanno certo l’esclusiva della disobbedienza nella Chiesa di oggi) e dunque su quale sia lo sguardo che deriva dalla fede cattolica.
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