ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 14 marzo 2013

Il primo papa di nome Francesco



È Jorge Mario Bergoglio. È argentino e gesuita. Lascia Buenos Aires per Roma. La sua nomina ha sovvertito tutti i pronostici. Ma arriva da lontano 
ROMA, 13 marzo 2013  – Eleggendo papa al quinto scrutinio l'arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, il conclave ha compiuto una mossa tanto sorprendente quanto geniale.

Sorprendente per chi – quasi tutti – non aveva colto, nei giorni precedenti, l'effettivo affacciarsi del suo nome nelle conversazioni tra i cardinali. La sua età relativamente avanzata, 76 anni e tre mesi, induceva a classificarlo più tra i grandi elettori che tra i possibili eletti.
Nel conclave del 2005 era avvenuto l'opposto, su di lui. Bergoglio era uno dei più decisi sostenitori della nomina di Joseph Ratzinger a papa. E si trovò invece votato, contro la sua volontà, proprio da quelli che volevano bloccare la nomina di Benedetto XVI.

Sta di fatto che sia l'uno che l'altro sono divenuti papa. Bergoglio col nome inedito di Francesco.

Un nome che riflette la sua vita umile. Divenuto nel 1998 arcivescovo di Buenos Aires, lasciò vuoto il ricco episcopio adiacente alla cattedrale. Andò ad abitare in un appartamentino poco distante, assieme a un altro vescovo anziano. La sera provvedeva lui a cucinare. In automobile ci andava poco, girava in autobus con la tonaca da semplice prete.

Ma è anche uomo che sa governare. Con fermezza e controcorrente. È gesuita – il primo che sia divenuto papa – e nei terribili anni Settanta, quando infuriava la dittatura e alcuni suoi confratelli erano pronti ad imbracciare il fucile a ad applicare le lezioni di Marx, lui contrastò energicamente la deriva, come provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina.

Dalla curia romana si è sempre tenuto accuratamente lontano. Di certo la vorrà snella, pulita e leale.

È pastore di salda dottrina e di concreto realismo. Agli argentini ha voluto dare molto di più che del pane. Li ha esortati a riprendere in mano anche il catechismo. Quello dei dieci comandamenti e delle beatitudini. "Il cammino di Gesù è questo", diceva. E chi segue Gesù capisce che "calpestare la dignità di una donna, di un uomo, di un bambino, di un anziano è un peccato grave che grida al cielo", e quindi decide di non farlo più.

La semplicità della sua visione si fa percepire nella sua santità di vita. Con le poche e semplici sue prime parole da papa ha subito conquistato la folla che gremiva piazza San Pietro. L'ha fatta pregare in silenzio per lui, il nuovo papa che è – ha sottolineato – il "vescovo della Chiesa di Roma che presiede nella carità tutte le Chiese".

E ha fatto anche pregare per il suo predecessore Benedetto XVI, che non ha chiamato "papa", ma "vescovo".

La sorpresa è appena all'inizio.
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Le prime parole di papa Francesco dopo la sua elezione, la sera di mercoledì 13 marzo, dalla loggia centrale della basilica di San Pietro:

> "Fratelli e sorelle, buonasera!…"
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Un profilo più ampio del nuovo papa può essere letto in questo articolo di www.chiesa del 2 dicembre 2002, che indicava nell'allora arcivescovo di Buenos Aires un serio candidato al pontificato:

> Jorge Mario Bergoglio, professione servo dei servi di Dio

E per quanto riguarda il suo stile pastorale:

> Andate e battezzate. La scommessa della Chiesa argentina

La sua biografia nel sito web del Vaticano:

> Jorge Mario Bergoglio
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PICCOLA GRANDE AGENDA DEL NUOVO PONTIFICATO

Fresco di nomina e col conclave alle spalle, il nuovo papa ha davanti a sé un'agenda che fa tremare. Quel "vigore nel corpo e nell'animo" che, spegnendosi, aveva indotto il suo predecessore al ritiro gli sarà obbligatorio, per governare la Chiesa.

E proprio l'attuale "chi è" di Joseph Ratzinger sarà il suo problema più immediato, senza precedenti nella storia della Chiesa.

Da un lato c'è chi vede e vuole in Benedetto XVI un papa "per sempre", anche dopo e nonostante la rinuncia, col rischio di un permanente confronto tra il vecchio papa e il nuovo, per qualcuno addirittura tra papa e antipapa, in una Chiesa a due teste.

E dall'altro c'è invece chi vede nella rinuncia di Ratzinger uno svuotamento salutare della figura stessa del papa, l'alba di un papato più "moderno" e più "umano", perché abbassato alla dimensione di un qualsiasi vescovo e con l'orologio del tempo a limitarne la durata, come per l'amministratore di una terrena società per azioni.


I DUE PAPI


Il ruolo da riconoscere nel suo vivente predecessore sarà una delle prime decisioni del nuovo eletto, apparentemente minima, invece gravida di storiche conseguenze.

Rigettato con fermezza dai canonisti, il titolo di "papa emerito" applicato a Benedetto XVI è stato sì incautamente incoraggiato da chi è più vicino a Ratzinger nel suo ritiro, ma è ancor più funzionale proprio a chi vuole rovesciare teologicamente e giuridicamente il papato, da fuori e da dentro la Chiesa.

La nuova edizione ufficiale dell'Annuario Pontificio, che oltre allo "status" risaputo del nuovo papa dovrà definire anche quello del suo predecessore, sarà un test di primaria importanza.


LA CURIA


La trascuratezza del diritto è da almeno mezzo secolo uno dei punti di crisi della Chiesa cattolica. L'idea secondo cui "la Chiesa non debba essere una Chiesa del diritto ma una Chiesa dell'amore" – idea denunciata con forza ma con poco successo da Benedetto XVI – ha dato fiato non soltanto al sogno utopistico di un cristianesimo spirituale senza più gerarchia né dogmi, ma anche, più materialmente, al malgoverno di una curia vaticana lasciata a se stessa, cioè anche ai suoi intrighi, alle ambizioni, ai malaffari, ai tradimenti.

I cardinali che l'hanno eletto aspettano dal nuovo papa che intervenga da subito e con decisione a rimettere ordine nella curia. Tra un papa e l'altro i capi dei vari uffici decadono. L'attesa dei più è che le riconferme di routine non vanifichino lo "spoils system", come quasi sempre è avvenuto. Il primissimo atto di Giovanni XXIII da papa fu la nomina del nuovo segretario di Stato: il validissimo Domenico Tardini, diplomatico di prim'ordine. Dal nuovo papa ci si aspetta lo stesso.


LO IOR


La curia, con i suoi uomini e le strutture, "non deve essere come la corazza di Saul, che indossata dal giovane Davide gli impediva di camminare", disse una volta Ratzinger. L'Istituto per le Opere di Religione, la "banca" vaticana, è uno di questi ferrivecchi senza i quali la Chiesa sarebbe più libera.

In passato, quando operava come un paradiso "off shore", lo IOR offriva ai suoi clienti di tutto il mondo opportunità che altri non davano, nel bene e nel male.

Ma da quando Benedetto XVI ha voluto che si sottomettesse agli standard e ai controlli dei paesi della "white list", la sua particolarità è finita. Una sua chiusura recherebbe alla Chiesa solo vantaggi.


LA COLLEGIALITÀ


Una curia più snella consentirebbe anche un legame più diretto tra il centro e la periferia della Chiesa, tra il papa e i vescovi. È il capitolo della "collegialità", scritto dal Concilio Vaticano II ma rimasto in buona misura ancora da attuare. Come il papa è il successore di Pietro, così i vescovi sono la continuazione dell'insieme dei dodici apostoli, e assieme a lui devono governare la Chiesa.

I criteri per la scelta dei vescovi sarà un altro dei punti in attesa di innovazione. Una pletora di nomine mediocri è stato uno dei motivi della decadenza della Chiesa in molti paesi. Mentre il contrario è accaduto dove alla testa delle diocesi sono stati insediati vescovi di alto livello.

Il caso più evidente di una Chiesa risorta grazie alla capacità di guida di una nuova squadra di vescovi di prima qualità è dato dagli Stati Uniti.


IL CASO CINA


I vescovi sono l'immagine vivente della nuova geografia della Chiesa cattolica. Sono cinquemila, di ogni popolo e lingua. La libertà nella loro nomina è una delle conquiste che la Chiesa ha più cara. E qui si apre sull'agenda del nuovo papa il capitolo Cina.

Sarà la superpotenza del futuro, ma intanto le sue autorità si comportano come le vecchie monarchie d'una volta, pretendono di decidere loro quali vescovi insediare e quali altri deporre, con l'intento di contrapporre una loro Chiesa "patriottica" alla Chiesa universale. La mitica diplomazia vaticana avrà qui il suo più difficile terreno di prova.

Ma la questione Cina è ben più vasta. La sua ascesa come potenza mondiale metterà alla prova la fede cristiana ancor più radicalmente di quanto faccia l'islam.

La religiosità cinese è priva della fede in un Dio che è persona, che si può invocare come Padre, che ha inviato il suo Figlio come uomo tra gli uomini. È una religiosità avvolgente, è una sapienza più che una fede. È l'alternativa più temibile che il cristianesimo può incontrare nei decenni futuri.

Non è un caso che l'Asia, dove oltre alla Cina c'è l'India, anch'essa con una religiosità molto "inclusiva", sia il continente nel quale il cristianesimo ha trovato più difficoltà ad espandersi, nella storia.

Ed è anche quello dove oggi è particolarmente osteggiato e perseguitato, sia in Cina sia in India, nonostante il profilo apparentemente pacifico delle religioni buddista e induista.


LA PRIORITÀ SUPREMA


E qui si arriva al cuore dell'agenda del nuovo papa. Perché quella che Benedetto XVI definì la "priorità" del suo pontificato sarà la stessa anche per il suo successore.

"Il vero problema in questo nostro momento della storia – scrisse papa Ratzinger in una sua memorabile lettera ai vescovi – è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo".

Tutto il resto di cui hanno discusso i cardinali prima del conclave, il malgoverno della curia e delle finanze vaticane, l'onda lunga degli scandali sessuali, le guerre intestine tra ecclesiastici, non è che il rovescio buio di questa che è la ragione di vita della Chiesa: "aprire agli uomini l'accesso a Dio".

È la "sporcizia" che deve essere spazzata via con decisione, se si vuole che la Chiesa possa dedicarsi tutta, senza ombre che la oscurino, alla sua missione unica e vera: ravvivare la fede cristiana dove sta per spegnersi e propagarla dove non è ancora arrivata.


L'UOMO NUOVO


Prima e durante il conclave, nessuno dei cardinali ha osato prendere le distanze dalla diagnosi fatta da Benedetto XVI sulla crisi di fede di questo tempo. Il nuovo papa è sicuro che procederà nel suo solco.

Crisi di fede ma anche mutamento radicale della visione dell'uomo. Perché le bioscienze sono ormai il nuovo verbo della modernità. Verbo onnipotente, perché non solo interpreta l'uomo, ma decide su di esso, e lo trasforma, e si appropria della sua stessa generazione.

Il suo ultimo grande discorso programmatico, alla vigilia dello scorso Natale, Benedetto XVI l'ha dedicato a una critica dell'avanzante nuova filosofia della sessualità, quella del "gender", con l'uomo che si sostituisce a Dio come creatore della propria individualità corporea.

Alla Chiesa cattolica e quindi in primo luogo al suo successore, in quello stesso discorso papa Benedetto affidò una consegna: farsi custodi della "memoria dell'essere uomini di fronte a una civiltà dell'oblio".

Anche per questo nel nuovo papa ci vorrà un grande "vigore", in tempi nei quali contro i discepoli di Gesù "diranno ogni sorta di male per causa mia" e proprio per questo saranno chiamati beati.
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Scritta prima della nomina, l'agenda del nuovo pontificato è uscita su "L'Espresso" n. 11 del 2013, in edicola dal 15 marzo.

di Sandro Magister

Il sogno di Francesco

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L’elezione di un papa che ha preso nome Francesco riconduce irresistibilmente al santo di Assisi e a un affresco di Giotto.
È l’affresco che raffigura un sogno di papa Innocenzo III. Il quale vide san Francesco mentre sosteneva con le sue spalle la Chiesa, in pericolo di crollare.
“Francesco va e ripara la mia casa”. Secondo le fonti francescane furono queste le parole che il crocifisso della diroccata chiesa di San Damiano rivolse al santo.
Francesco obbedì. E con lui la cristianità visse un’epoca straordinaria di purificazione. In obbedienza piena al papato, in fedeltà cristallina alla dottrina, in umiltà, fraternità, castità, le virtù che anche oggi la Chiesa è chiamata a mettere in pratica con rinnovata dedizione.
Con la scelta del nome di Francesco, il nuovo papa Jorge Mario Bergoglio ha già enunciato il suo programma.
Un programma che era anche il sogno del suo amato predecessore.

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NOTA BENE !
Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.
Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:
13.3.2013
> Il primo papa di nome Francesco
Ḕ Jorge Mario Bergoglio. Ḕ argentino e gesuita. Lascia Buenos Aires per Roma. La sua nomina ha sovvertito tutti i pronostici. Ma arriva da lontano
12.3.2013
> “Extra omnes”. Ma anche Michelangelo voterà
La microcultura tipica del conclave. L’effetto degli affreschi della Cappella Sistina sui cardinali elettori. Il misterioso segno di Giona
11.3.2013
> La Chiesa che il nuovo papa governerà
Sarà una Chiesa con due terzi dei fedeli nel sud del mondo. Con più cattolici a Manila che in Olanda. Con l’Occidente in calo di fede. E con gli Stati Uniti al centro della nuova geografia

La fumatina bianca di Sant’Egidio

riccardi
Lo stesso giorno nel quale in Vaticano aveva inizio il conclave, sull’altra sponda del Tevere la Comunità di Sant’Egidio ha messo a segno una sua fumatina bianca.
“Scelta civica”, ossia la lista capeggiata da Mario Monti uscita malconcia dalle elezioni del 24 febbraio, ha riunito il suo stato maggiore per costituire il comitato direttivo del nuovo partito, presente anche Luca Cordero di Montezemolo.
La presidenza, come naturale, è andata a Monti.
Le due vicepresidenze a Carlo Calenda e a Ilaria Capua, espressione rispettivamente della montezemoliana “Italia Futura” e dei montiani di stretta osservanza.
Ma sopra di loro, con la qualifica di vicepresidente vicario, è stato insediato Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio che è stato per Monti – parole sue – il “polo magnetico”, cioè lo stratega della sua entrata in politica.
Non solo. Nella dozzina di componenti del direttivo figurano altri due pezzi grossi di Sant’Egidio: Mario Giro e Milena Santerini.
Il primo, fratello di Francesco Giro che è parlamentare del Popolo della Libertà, è il responsabile di Sant’Egidio per le attività di pacificazione internazionale, specialmente in Africa.
In questa veste, la sua ultima performance è stata in Senegal, dove con le sue iniziative ha creato un serio incidente diplomatico tra il governo di Dakar e il Vaticano, in seguito al quale il nunzio apostolico in quel paese ha preso pubblicamente le distanze da Sant’Egidio.
Quanto alla neodeputata Milena Santerini, si è distinta durante la campagna elettorale per aver sostenuto a Milano il voto “disgiunto”, cioè dato a “Scelta Civica” per la camera e al candidato del PD Umberto Ambrosoli per la regione. Iniziativa che fece arrabbiare non poco lo stesso Monti.
Insegna nella facoltà di scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano. Suo marito, Agostino Giovagnoli, insegna storia contemporanea nella stessa università e appartiene anche lui fin dalle origini alla Comunità di Sant’Egidio, dove è stato fino agli anni Ottanta il numero due, prima d’essere messo in ombra dall’onnipotente Riccardi.
Gli altri componenti del comitato direttivo di “Scelta Civica” sono Ilaria Borletti Buitoni, Luciano Cimmino, Silvia Colombo, Lorenzo Dellai, Stefania Giannini, Pietro Ichino, Linda Lanzillotta, Luigi Marino, Mario Mauro, Andrea Romano, Lidia Rota Vender.
È stato nominato coordinatore politico Andrea Olivero, ex presidente delle ACLI, anche lui entrato in parlamento con la lista Monti.
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