- COSA HANNO IN COMUNE SCALFARI E BISIGNANI? IL NOME DEL PROSSIMO PAPA: SEAN O'MALLEY
1. cosa hanno in comune scalfari e bisignani? il nome del prossimo papa: o'malley - 2. barba bianca, saio marrone, sandali, per eu-genio il frate cappuccino ‘’ha tutte le caratteristiche pastorali delle quali la chiesa sembra avere urgente bisogno’’ - 3. bisi invece era ieri tra i fedeli ad assistere alla messa del cardinale di boston - 4. 68 anni, o'malley è popolare perche’ incarna la semplicità e il coraggio delle sfide: ha risollevato la chiesa americana dopo gli scandali degli abusi sessuali vendendo il vescovado di boston per indennizzare chi era stato oggetto di abusi - 5. “parla un italiano un po’ come stanlio e ollio ma anche wojtyla all’inizio era così” 1. «HO GIÀ IL BIGLIETTO DI RITORNO RESTERÒ IL VOSTRO CARDINALE»Francesca Giansoldati per Il Messaggero
IL CARDINALE PATRICK OMALLEY
Stavolta ai piedi non ha i soliti sandali. Sean Patrick O'Malley, frate cappuccino e arcivescovo di Boston, in genere li porta anche d'inverno, persino con la neve. Stavolta però si è dovuto adattare ad un paio di scarpe nere come spiega in sacrestia: «Sono vestito con la veste da cardinale, quella delle grandi occasioni, i sandali non me li hanno fatti indossare».
SEAN PATRICK O MALLEY
La chiesa seicentesca progettata dal Maderno che ospita la celeberrima estasi di Santa Teresa, solitamente visitata da turisti giapponesi, ieri mattina era piena all'inverosimile. Il papabile americano, un uomo dal grande tratto umano, ha catturato subito i presenti per la capacità comunicativa.
Unendo gesti, parole e il ragionare che procede con un italiano fluente ma con un forte accento straniero. «Parla un po' come Stanlio e Ollio ma anche Wojtyla all'inizio era così» commenta divertita una anziana signora nelle ultime fila. Tra i fedeli qualche volto noto, diversi giornalisti e persino il faccendiere Luigi Bisignani che esce svelto non appena termina la messa. «Guardate che tornerò qui da cardinale» ha scherzato il cardinale rallegrato da tanto interesse.
RATZINGER E OMALLEY
Nonostante il momento «intenso per la Chiesa», l'arcivescovo non abbandona la sua risaputa verve. «Quando ho preso possesso di questa bellissima chiesa ho detto ai frati carmelitani che pensavo di portare l'estasi di Santa Teresa del Bernini a Boston. Mi hanno detto che ci aveva provato anche Napoleone ma pare che mi abbiano perdonato perché il padre superiore non vuole togliermi questa chiesa bellissima».
O'Malley scherza con il parroco e il parroco ricambia. «Eminenza ci auguriamo, e lo dico con grande speranza, che questa sia la sua ultima visita come cardinale titolare, ma dovrà prometterci che se le nostre preghiere saranno esaudite, la sua prima visita come Papa fuori dal palazzo apostolico sarà nella sua e nostra chiesa di Santa Maria della Vittoria».
EUGENIO SCALFARI
O'Malley ride di gusto e non si scompone. «Ho comprato il biglietto di ritorno, vi assicuro che dopo il conclave tornerò come vostro cardinale e porterò Santa Teresa a Boston». I carmelitani che tifano per un cappuccino è già un miracolo, ma l'umanità di O'Malley è inarrestabile. Per pranzo ha accettato l'invito nel minuscolo refettorio. «Spero mi abbiano preparato qualcosa di buono». Prima di uscire una preghiera alla Madonna: «Che lo Spirito illumini la scelta di un nuovo Papa capace di far più visibile l'amore di un buon pastore che viene a cercare la sua pecora smarrita».
2. O'MALLEY, IL FRATE ANTI-CASTA CHE HA VENDUTO IL VESCOVADO
Stefano Filippi per Il Giornali
Stefano Filippi per Il Giornali
Barba bianca, saio marrone, sandali, la battuta pronta e la capacità di ricostruire sulle macerie: Sean Patrick O'Malley, arcivescovo di Boston, incarna la semplicità del frate cappuccino e il coraggio di chi non evita le sfide. Eugenio Scalfari ha scritto ieri su Repubblica che O'Malley «ha tutte le caratteristiche pastorali delle quali la Chiesa sembra avere urgente bisogno». Chissà se Scalfari indovinerà con i cardinali ciò che non ha azzeccato mai con i politici nostrani.
O'Malley è popolare per aver risollevato la Chiesa americana, assieme a un vasto movimento che ha unito clero e fedeli, dopo gli scandali degli abusi sessuali. Boston vacillava sotto il peso delle denunce, delle ammissioni, dei risarcimenti chiesti dalle vittime. Il frate cappuccino, giunto nel Massachusetts avendo girato metà Stati Uniti, è ripartito dall'annuncio del Vangelo e da gesti che hanno costretto gli americani, credenti e non, a interrogarsi.
LUIGI BISIGNANI
Ha venduto il vescovado di Boston per indennizzare chi era stato oggetto di abusi ed è andato ad abitare in una stanza del seminario cittadino. Poi ha lanciato una campagna di spot televisivi chiamata «Catholics come home» per fare ritornare i fedeli in chiesa: messaggi pubblicitari in cui alcuni fedeli raccontavano la riscoperta della fede abbandonata. I delusi si sono riavvicinati e il seminario ha raccolto nuove vocazioni. O'Malley è una persona diretta, che si rivolge alla singola persona e non ha difficoltà, a 68 anni, a usare Twitter e un blog per dialogare con tutti.
La sua è una tipica storia americana, costellata di spostamenti e segnata da circostanze solo all'apparenza casuali che dettano una strada imprevedibile. È nato il 29 giugno 1944 a Lakewood, Ohio, ma la famiglia si trasferì presto in Pennsylvania. A 12 anni entra in un seminario minore francescano, a 21 pronuncia i primi voti nei frati minori cappuccini, svolge il diaconato nell'Isola di Pasqua e una volta ordinato prete (29 agosto 1970) viene trasferito a Washington tra gli immigrati latinoamericani, lui che discende da immigrati irlandesi. Insegna letteratura spagnola e portoghese e fonda il Centro Católico Hispano per assistere i profughi.
SEAN PATRICK O MALLEY
Nel 1978 diventa vicario della diocesi di Washington e nel 1984 viene ordinato vescovo. Cominciano allora le sue peregrinazioni da una diocesi all'altra: Saint Thomas, nelle caraibiche Isole Vergini; Fall River, Massachusetts (dove l'ex sacerdote James Porter verrà condannato a 20 anni di carcere per aver abusato di 28 bambini);
Palm Beach (il vescovo dimissionario Anthony O'Connell aveva ammesso abusi su un seminarista adolescente). O'Malley viene spedito a Boston dopo un solo anno in Florida: anche la città dei Kennedy, di Harvard e del Mit è scossa dagli scandali. Il suo predecessore, il cardinale Bernard Law, si era limitato a trasferire ad altre parrocchie i sacerdoti accusati di pedofilia: non li aveva sospesi né aveva detto ai fedeli come stavano davvero le cose.
La pulizia del nuovo arcivescovo fa sentire la vicinanza della Chiesa alle vittime. «Ogni uomo è un cercatore di Dio», ha ripetuto anche ieri a Santa Maria della Vittoria: la certezza di questa presenza è stata un nuovo inizio per Boston. E anche per lo stesso O'Malley, che ha guadagnato autorevolezza e coraggio oltre che la fiducia di Benedetto XVI, il quale nel 2010 l'ha mandato a visitare le diocesi irlandesi squassate da scandali analoghi. Ha anche attaccato i cardinali di curia Sodano e Sandri per aver coperto l'ex arcivescovo di Vienna Groer e il fondatore dei Legionari di Cristo padre Marcial Maciel, riconosciuti troppo tardi colpevoli di abusi sessuali.
SEAN PATRICK O MALLEY
«Quando arrivai a Boston - ha raccontato O'Malley anni fa in un'intervista - è stato scoraggiante. C'erano ferite e rabbia, e conseguenze economiche disastrose. C'era un calo delle vocazioni, crisi e sofferenza ovunque. Tuttavia, resta ferma la nostra convinzione che Cristo non abbandona la Sua Chiesa, anche se non ci ha promesso che sarà facile. Noi l'abbiamo letto come una chiamata alla conversione. Mi ha fatto concentrare, per la mia stessa vita, su ciò che realmente è essenziale: il nostro rapporto con Dio. Ciò che è accaduto, tutti i dolori e le sofferenze, si è posto in una prospettiva nuova».
CARDINAL SEAN OMALLEY
Il metodo di O'Malley è stato «cercare di ricostruire la fiducia, aiutare le vittime a fidarsi ancora di noi. Voleva dire che prendevamo la cosa con serietà e che non avremmo più permesso il ripetersi di tali cose. La trasparenza è stata una parte importante per la ricostruzione. Abbiamo pubblicato tutto quanto riguarda le nostre finanze. Abbiamo pubblicato più di qualsiasi altra diocesi nel mondo».
O'Malley è deciso e sensibile, attento alle ragioni delle vittime e assieme cosciente che l'errore commesso non è l'ultima parola per un uomo. Nel Cinquecento i cappuccini abbracciarono lo spirito originale di San Francesco tornando a una vita di povertà e Vangelo, e ancora oggi sono considerati l'ordine religioso più vicino al popolo. «Un papabile anti-casta», come ha scritto John Allen, vaticanista del National Catholic Reporter.
Chi sarà il nuovo Papa? Una riflessione originale sul profilo del successore di Benedetto XVI, nessun nome, ma idee, sfide e speranze oltre la frenetica attualità
Da giorni impazza orma il toto-papa. La sensazione evidente è che in una pluralità molto composita di nomi, prima o poi qualcuno dirà “l’avevo detto”. In realtà questo Conclave porta all’attenzione di tutti una novità essenziale: più che un nome papabile appare forte l’idea che c’è dietro l’elezione di “questo papa”.
Non sarà un papa di mediazione. Difficile che lo sia, anche se, all’ultima votazione e a urne quasi chiuse, quando i cardinali sapranno già chi vincerà, è possibile che la lobby perdente cerchi “la” soluzione tipica del centralismo romano-vaticano: a voi il papa, a noi il segretario di Stato. Possibile, ma improbabile.
Le dimissioni di Benedetto XVI hanno creato un vulnus all’interno del potere romanocentrico. Nulla è più come prima. L’immagine di una Chiesa divisa da scandali e intrallazzi di potere ha varcato il portone di San Pietro e, se ciò ancora non è ben chiaro ai curiali italiani troppo indaffarati a difendere posizioni, status e un briciolo di potere che si squaglierà come neve al sole ben presto, al contrario è bene evidente a tutti quei porporati e uomini di Chiesa che non hanno frequenza con le segrete stanze d’”oltretevere” e che vivono e operano la loro carità cristiana, ahimè per gli italiani, lontani migliaia di chilometri da Roma.
Il vulnus delle dimissioni ha sgretolato regole antiche, messo in discussione burocrazie e leggi non scritte. Ha ridisegnato, insomma, la mappa di un cristianesimo più vicino all’uomo che non alle banche e ai governi.
Le tentazioni di riprendere in mano la situazione ci saranno in Conclave, eccome. Il potere attuale non cederà il passo tanto facilmente. Ma questa volta in Conclave si parlerà dell’immagine di una nuova Chiesa al passo con i tempi. Aperta al dialogo, in ascolto delle domande dell’uomo, tesa ad annunciare il vangelo per le strade del mondo. È qui lo scontro. Non sui nomi. Ma su un’idea diversa, forse, chissà, veramente in linea con quel Concilio tradito, annacquato, vilipeso e che noi ancora ci ostiniamo a chiamare Vaticano II.
La battaglia non è sui nomi, che verranno dopo. La guerra, perché di guerra si tratta, è se la Chiesa si chiuderà a riccio a difesa dei suoi privilegi e forse per paura di affrontare il nuovo che avanza, oppure se si aprirà a una nuova era dove Gesù non sia solo un messaggio da veicolare, ma possibilmente da incarnare.
Scenari futuri? La Chiesa si gioca molto con questo Conclave. Un arroccamento di conservazione rischierebbe di farla implodere. Una ventata di novità avrebbe il coraggio di ridimensionare finalmente il suo potere temporale e ridisegnare le fondamenta del ministero petrino.
Dopo, ma solo dopo, ci occuperemo del nuovo papa. Che sarà un onesto servitore della vigna del Signore, padre e fratello di tanti cristiani nel mondo, uomo e cittadino delle beatitudini.
GIANNI DI SANTOROMA
http://vaticaninsider.lastampa.it/documenti/dettaglio-articolo/articolo/conclave-23071/
RUMORS/ In previsione della possibile elezione al Soglio di Pietro, il cardinale Angelo Scola starebbe pensando ad un nome come Paolo VII (a sottolineare la sua provenienza da Milano) oppure Giovanni Paolo III per riassumere gli ultimi 50 anni di storia cattolica e ricordare - come fece Albino Luciani nell'assumere il doppio nome - sia la sede di Venezia che quella ambrosiana. Soglia psicologica fissata a 50 voti, il cardinale di Malgrate (LC) conterebbe su parte degli italiani, metà circa degli europei, metà degli americani e se riuscisse ad aumentare questo consenso entro mercoledì sera sarebbe Papa. Ma in caso d'emergenza ecco pronti i piani B: al posto di Scola l'ungherese Peter Erdo, per l'altro contendente Odilo Scherer tre nomi di compromesso tra Marc Ouellet, Timothy Dolan e Sean O'Malley. Ma attenzione al filippino Luis Tagle: potrebbe essere la sorpresa. di Antonino D'Anna
Situazione lievemente fluida Oltretevere, secondo quanto raccontano ad Affaritaliani.it, dove gli occhi di tutti si stanno sempre più appuntando su Angelo Scola, il cardinale Arcivescovo di Milano. Scola sarebbe riuscito a coagulare i consensi di metà del gruppo italiano, più buona parte degli europei e almeno la metà degli elettori americani. Ma la soglia psicologica, dicono sempre ad Affari, sarebbe fissata a quota 50: se martedì pomeriggio, quando i cardinali si rinchiuderanno nella Sistina per la prima votazione, il nome del porporato meneghino raggiungerà (o supererà) questa soglia, allora è quasi certo che riuscirà ad essere eletto in tempi molto brevi.
IL NOME: GIOVANNI PAOLO III O PAOLO VII?- Sempre secondo quanto riferiscono da Oltretevere ad Affari, il cardinale starebbe pensando anche al nome da assumere in caso di elezione. Si parla di Paolo VII, per i suoi continui richiami a Giovanni Battista Montini e a rimarcare le origini ambrosiane; oppure Giovanni Paolo III. In questo caso il richiamo sarebbe duplice: oltre a suggerire una continuità tra Karol Wojtyla (che lo volle cardinale nel 2002) e Benedetto XVI di cui Scola è un grande amico e che comunque – come ha osservato ad Affari lo scrittore cattolico ed ex portavoce Opus Dei Pippo Corigliano – ha svolto un pontificato in continuità con quello del Papa polacco, il nome Giovanni Paolo rappresenterebbe un ritorno alla radice. E precisamente alle stesse motivazioni che nell’agosto 1978 spinsero Albino Luciani ad assumere il doppio nome: un richiamo alla sede di Venezia (da cui venne Giovanni XXIII che volle Luciani Vescovo e di cui Scola è stato successore in Laguna), ed uno alla Sede di Milano (da cui venne appunto Paolo VI). Nomi fortemente evocativi e che insieme riassumono il lungo e faticoso cammino che ha compiuto la Chiesa cattolica negli ultimi 50 anni dopo il Concilio Vaticano II.
IL CONSENSO- Ma torniamo al Conclave, che aprirà i battenti domani pomeriggio. Secondo quanto viene riferito ad Affari, in un Conclave che si annuncia come Europa-centrico (del resto gli elettori sono 60 su 115, dopo la defezione di Keith O’Brien per presunte molestie sessuali ai danni di preti e seminaristi commesse negli anni ‘80), Scola sarebbe riuscito – grazie anche alla sua statura internazionale – a racimolare un consistente numero di consensi. È da vedere che cosa faranno gli americani, se alla fine cioè porteranno in blocco i loro 14 voti a favore del porporato di Malgrate (LC). Restano da convincere, dei 27 italiani insieme a Scola, almeno 12-15 eminenze che al momento non gradirebbero concentrare il loro consenso su di lui. Insomma, mettendo assieme una trentina d’europei, più 14 italiani e 7-8 americani (ricordiamo che Comunione e Liberazione, da cui Scola proviene, è presente e molto attiva negli States), l’arcivescovo di Milano riuscirebbe agevolmente a raggiungere la soglia psicologica dei 50 martedì pomeriggio. Se mercoledì mattina riuscisse a consolidare il consenso, magari strappando qualche altra manciata di voti, è probabile che sera del 13 marzo potremmo per davvero avere un nuovo Papa.
IPOTESI E PIANI B- Naturalmente qui entriamo nel campo delle ipotesi e questo implica che tutto potrà succedere dal momento in cui sarà pronunciato l’extra omnes. Può succedere cioè che Scola venga eletto subito (e sarebbe clamoroso); oppure che il suo nome venga bruciato e crolli martedì mattina. Quello che conta è come, nel caso in cui i grandi nomi dovessero non riuscire a coagulare consenso intorno a loro verrà gestita la fase B. I piani B sarebbero naturalmente all’ordine del giorno in queste ore: si parla – come abbiamo già scritto – dell’ungherese Peter Erdö come eventuale seconda scelta nel caso in cui Scola dovesse essere bocciato; e nomi di compromesso come quelli del canadese Marc Ouellet oppure gli americani Timothy Dolan o Sean O’Malley, qualora l’altro grande contendente, il brasiliano Odilo Pedro Scherer non riuscisse a convincere i porporati. Attenzione comunque ad Antonio Luis Tagle, il filippino di Manila che – sebbene molto giovane e considerato da alcuni critici come progressista – potrebbe essere la sorpresa del Conclave.
http://affaritaliani.libero.it/specialeconclave/scola-soglia-psicologica-a-50-i-nomi-giovanni-paolo-iii-o-paolo-vii.html
Queste parole pronunciate ieri dall’arcivescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, offrono una significativa fotografia della situazione ormai alla vigilia del conclave chiamato a eleggere il 266° successore di Pietro. È ovvio che il porporato non avrebbe certo parlato nel caso fosse stato già individuato un candidato forte in grado di raggiungere i 77 voti necessari per diventare Papa. Ma le sue parole trovano riscontro in quelle pronunciate l’altro giorno dal cardinale di Parigi, André Vingt-Trois, che ha fatto riferimento a «una mezza dozzina di candidati», come pure a quelle di altri porporati di ogni continente i quali, nei colloqui informali degli ultimi due giorni, hanno mostrato di ritenere ancora aperte diverse possibilità.
Un primo fatto che sembra ormai consolidato: fin da domani sera, quando per la prima volta i 115 elettori si chiuderanno a votare nella Sistina, un buon numero di voti - c’è chi parla di 35, chi dice 40 - dovrebbe andare all’arcivescovo di Milano Angelo Scola. Votato inizialmente da diversi porporati europei e da qualche statunitense, il cardinale ambrosiano potrebbe riportare all’Italia il papato trentacinque anni dopo l’elezione di Giovanni Paolo I. Un altro candidato che dovrebbe coagulare attorno a sé dei consensi è l’arcivescovo di San Paolo Odilo Pedro Scherer, brasiliano con lunga esperienza curiale.
Le indiscrezioni della vigilia, ovviamente da prendere col beneficio d’inventario, gli assegnano circa 25 voti. Un terzo candidato che potrebbe risultare segnalato fin dall’inizio è il canadese Marc Ouellet, il Prefetto della Congregazione dei vescovi, sul quale potrebbero convergere dei voti dall’America Latina e dagli Stati Uniti, si pensa circa una dozzina.
Altri consensi potrebbero andare all’arcivescovo di Boston, il cappuccino Sean O’Malley, o all’arcivescovo di New York Timothy Dolan. Qualche voto iniziale potrebbe raccoglierlo l’arcivescovo di Colombo, Malcom Ranjith Patabendige Don. E non sono da escludere consensi anche per due outsider, l’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio e il filippino Luis Antonio Tagle: entrambi hanno tenuto interventi molto apprezzati durante le congregazioni generali della scorsa settimana.
La prima votazione servirà per valutare le candidature in gioco, dalla seconda in poi si vedrà se e quanto una o due di queste cresceranno, o se entreranno in corsa altri nomi rimasti di riserva, come quello dell’ungherese Peter Erdö o dell’austriaco Cristoph Schönborn. Nel 2005 per Ratzinger vi fu come un effetto calamita, e i consensi sul suo nome crebbero senza sosta fino a raggiungere il quorum. Una dinamica più difficile a ripetersi questa volta. Nonostante gli evidenti problemi riguardanti la gestione della Curia, gli elettori del Papa eleggono il Papa, non un Segretario di Stato. E dunque, anche se il tema del governo e della collegialità sono stati molto presenti nel dibattito, la priorità rimane quella dell’evangelizzazione.
Come traspare dalle parole di due cardinali africani che ieri hanno celebrato messa nelle parrocchie romane di cui sono titolari. «Dobbiamo portare la gioia in questo mondo - ha detto l’arcivescovo di Abuja, John Onaiyekan - che è pieno di cose anche brutte, ma è il nostro mondo, gli angeli senza peccati stanno in paradiso, a noi portare pace tra peccatori». Mentre il ghanese Peter Turkson ha detto: «La Chiesa esiste per accompagnare l’umanità».
Ieri sono continuati i contatti discreti, gli inviti a pranzo, gli scambi di idee tra porporati. Questa mattina si terrà una nuova congregazione generale per permettere ancora alcuni interventi. Poi domani sera il primo responso dell’urna posta sotto il Giudizio Universale di Michelangelo.
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/conclave-23059/
Scola, Scherer e Ouellet favoriti, ma il conclave resta aperto
Domani i cardinali nella Cappella Sistina. L’arcivescovo di Milano parte favorito, ma la partita è aperta
Andrea Tornielli Citta' del Vaticano «La volta scorsa c’era una figura di spessore, molto superiore di tre o quattro volte al resto dei cardinali. Era un teologo unico. E stiamo parlando di Joseph Ratzinger. Ora non è così. Quindi la scelta deve essere realizzata su uno, due, tre quattro... dodici candidati. Finora non sappiamo proprio nulla, dovremo aspettare almeno i risultati del primo turno».Queste parole pronunciate ieri dall’arcivescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, offrono una significativa fotografia della situazione ormai alla vigilia del conclave chiamato a eleggere il 266° successore di Pietro. È ovvio che il porporato non avrebbe certo parlato nel caso fosse stato già individuato un candidato forte in grado di raggiungere i 77 voti necessari per diventare Papa. Ma le sue parole trovano riscontro in quelle pronunciate l’altro giorno dal cardinale di Parigi, André Vingt-Trois, che ha fatto riferimento a «una mezza dozzina di candidati», come pure a quelle di altri porporati di ogni continente i quali, nei colloqui informali degli ultimi due giorni, hanno mostrato di ritenere ancora aperte diverse possibilità.
Un primo fatto che sembra ormai consolidato: fin da domani sera, quando per la prima volta i 115 elettori si chiuderanno a votare nella Sistina, un buon numero di voti - c’è chi parla di 35, chi dice 40 - dovrebbe andare all’arcivescovo di Milano Angelo Scola. Votato inizialmente da diversi porporati europei e da qualche statunitense, il cardinale ambrosiano potrebbe riportare all’Italia il papato trentacinque anni dopo l’elezione di Giovanni Paolo I. Un altro candidato che dovrebbe coagulare attorno a sé dei consensi è l’arcivescovo di San Paolo Odilo Pedro Scherer, brasiliano con lunga esperienza curiale.
Le indiscrezioni della vigilia, ovviamente da prendere col beneficio d’inventario, gli assegnano circa 25 voti. Un terzo candidato che potrebbe risultare segnalato fin dall’inizio è il canadese Marc Ouellet, il Prefetto della Congregazione dei vescovi, sul quale potrebbero convergere dei voti dall’America Latina e dagli Stati Uniti, si pensa circa una dozzina.
Altri consensi potrebbero andare all’arcivescovo di Boston, il cappuccino Sean O’Malley, o all’arcivescovo di New York Timothy Dolan. Qualche voto iniziale potrebbe raccoglierlo l’arcivescovo di Colombo, Malcom Ranjith Patabendige Don. E non sono da escludere consensi anche per due outsider, l’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio e il filippino Luis Antonio Tagle: entrambi hanno tenuto interventi molto apprezzati durante le congregazioni generali della scorsa settimana.
La prima votazione servirà per valutare le candidature in gioco, dalla seconda in poi si vedrà se e quanto una o due di queste cresceranno, o se entreranno in corsa altri nomi rimasti di riserva, come quello dell’ungherese Peter Erdö o dell’austriaco Cristoph Schönborn. Nel 2005 per Ratzinger vi fu come un effetto calamita, e i consensi sul suo nome crebbero senza sosta fino a raggiungere il quorum. Una dinamica più difficile a ripetersi questa volta. Nonostante gli evidenti problemi riguardanti la gestione della Curia, gli elettori del Papa eleggono il Papa, non un Segretario di Stato. E dunque, anche se il tema del governo e della collegialità sono stati molto presenti nel dibattito, la priorità rimane quella dell’evangelizzazione.
Come traspare dalle parole di due cardinali africani che ieri hanno celebrato messa nelle parrocchie romane di cui sono titolari. «Dobbiamo portare la gioia in questo mondo - ha detto l’arcivescovo di Abuja, John Onaiyekan - che è pieno di cose anche brutte, ma è il nostro mondo, gli angeli senza peccati stanno in paradiso, a noi portare pace tra peccatori». Mentre il ghanese Peter Turkson ha detto: «La Chiesa esiste per accompagnare l’umanità».
Ieri sono continuati i contatti discreti, gli inviti a pranzo, gli scambi di idee tra porporati. Questa mattina si terrà una nuova congregazione generale per permettere ancora alcuni interventi. Poi domani sera il primo responso dell’urna posta sotto il Giudizio Universale di Michelangelo.
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/conclave-23059/
Conclave, anche gli Usa in corsa. È Dolan il candidato ombra
Gli americani non si sono ritirati dopo il sacro bavaglio imposto loro dalla Curia romana. Annullati i briefing con la stampa in obbedienza al volere del decano del collegio cardinalizio (Angelo Sodano) e del camerlengo (Tarcisio Bertone), hanno continuato silenziosamente a tessere la tela per un nome interno, un candidato già considerato papabile all’annuncio della rinuncia di Ratzinger ma poi tenuto volutamente nell’ombra vista l’ascesa di Angelo Scola.
Si tratta di Timothy Dolan (63 anni), arcivescovo di New York. Per lui si è mosso di gran carriera il cardinale di Chicago Francis George, suo predecessore alla guida dei vescovi del paese, vero Pope-maker della compagine americana.
Ma ora il gioco è scoperto tanto che su Dolan sembrano pronti a confluire non soltanto i voti dei suoi connazionali, ma anche quelli di diversi vescovi residenziali italiani per diversi motivi ostili alla Curia romana e insieme favorevoli a un papato più alla Karol Wojtyla (carisma ed energia) rispetto all’ipotesi Scola: Angelo Bagnasco (Genova), Giuseppe Betori (Firenze), Carlo Caffarra (Bologna) e Crescenzio Sepe (Napoli).
Certo, Scola vanta un buon pacchetto iniziale di voti e resta il candidato di diversi extra europei e di molti dei mitteleuropei, su tutti il “progressista moderato” e primate di Vienna Christoph Schönborn. Una scelta forte, la sua, soprattutto in vista di un ribaltamento della curia romana, la riforma della struttura e la pulizia interna.
Eppure Dolan, ostentando indifferenza e non poca ironia proprio in merito alla possibile salita al soglio, avanza forte anche di un precedente: non è un mistero per nessuno che Wojtyla costruì gran parte della sua elezione durante i cinque Sinodi dei vescovi che precedettero il secondo conclave del 1978.
Così anche Dolan, che ha guadagnato non poco consenso non soltanto nei recenti Sinodi ma anche e soprattutto nel concistoro del febbraio del 2012. Qui Ratzinger chiese a lui di aprire i lavori. E lui strappò applausi spronando la Chiesa ad annunciare il Vangelo in maniera semplice e diretta, senza fughe cerebrali degne dei teologi. “La nuova evangelizzazione – disse – si compie con il sorriso, non con il volto accigliato”.
“Tutto è ancora possibile”, dice a Repubblica un grande vecchio del collegio cardinalizio. Una considerazione confermata anche da un astro nascente del cardinalato francese, l’arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin: “La volta scorsa c’era una figura di spessore, molto superiore di tre o quattro volte al resto dei cardinali. Era un teologo unico. E stiamo parlando di Joseph Ratzinger. Ora non è così. Quindi la scelta deve essere realizzata su 1, 2, 3, 4, 5, 12 candidati… Finora non sappiamo proprio nulla, dovremo aspettare almeno i risultati del primo turno”.
È qui, al primo turno, che i due fronti usciranno allo scoperto. E qui che si capirà se, in opposizione a Scherer, Dolan sarà un passo avanti a Scola o viceversa. Fermo restando che chi dei due resta indietro, potrà poi tornare in gara nel caso i due fronti si blocchino senza auto escludersi.
Nel “partito romano”, Scherer resta il primo candidato, spinto in queste ore dal cardinale Giovanni Battista Re che in conclave farà le veci del decano Sodano che, ultraottantenne, resta fuori. Scherer è una scelta molto romana. Non tutti i brasiliani, infatti, sono disposti a votarlo. Nel 2011, quando dovettero scegliere il presidente della Conferenza episcopale, gli preferirono Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida.
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