Le analisi del teologo e giornalista Johannes Röser rilanciate nel blog sul sito della Casa Editrice Queriniana
La «rinuncia» di Benedetto XVI è un gesto di ampia portata, tutto ancora da interpretare, che andrà inevitabilmente collocato al posto giusto solo fra qualche anno, quando la storia potrà leggerlo nella prospettiva migliore. È l’opinione di Johannes Röser teologo e giornalista, caporedattore di Christ in der Gegenwart della casa Editrice Herder.
La lettura di Röser è rilanciata, in Italia, nel blog sul sito della Casa Editrice Queriniana e gestito da don Rosino Gibellini, direttore editoriale e autore di molti studi sulla teologia del Novecento.
«Rimane incerto – scrive Röser – se questo passo insolito, finora il primo fatto nella storia della chiesa – per quanto ne sappiamo – introdurrà una “rivoluzione” del papato». Certamente però già ora si può dire che la rinuncia comporta «un frammento di demitologizzazione, di desacralizzazione della più alta autorità del magistero, che in singoli casi pretende addirittura la piena autorità dell’infallibilità di prescrivere “la verità” di Dio in un certo qual senso in nome della chiesa. In effetti la demitologizzazione – fino a questo momento dimenticata o addirittura repressa – si è imposta con il successore storico di Pietro. La cui grandezza si manifesta, pur nella possibilità di sbagliare e nella fallibilità, nel fatto che egli tra tutti, che pur negò il suo Maestro nel momento decisivo, è stato capace di rafforzare i fratelli e le sorelle nella fede».
Proprio sul tema del Primato e dunque dei rapporti ecumenici, la rinuncia potrebbe portare nuova linfa alla riflessione in atto. Non è un mistero che oggi «molte proposte sono sul tavolo, come ad esempio il fatto che il papato potrebbe trasformarsi in una sorta di moderno ministero petrino. Proprio come l’episcopato nei primi tempi della chiesa fu modellato ad immagine degli alti amministratori della provincia secolare romana, si potrebbe imparare dai laici che oggi detengono le presidenze: come una scelta a tempo, eventualmente per sei anni, con la possibilità di un’unica rielezione. Ciò darebbe o potrebbe dare anche ai candidati più giovani una possibilità, senza il timore che stiano con la loro competenza direttiva a capo della chiesa e promuovano la propria visione troppo a lungo – fino alla fine della vita». E soprattutto, continua ad argomentare Röser – non si dovrebbe trascurare il problema che il più stretto numero di persone di governo della chiesa cattolica che decidono o più spesso che non decidono è costituito da uomini celibi, per lo più anziani, che a volte negli anni migliori si sono allontanati anche molto dai sentimenti e dal mondo della vita delle generazioni – in particolare si sono estraniati dalle esperienze delle donne».
Si tratta solo di sogni? Il giornalista tedesco pensa che seppure lo sembrano, è anche vero che «nella crisi globale del cristianesimo la rivitalizzazione del principio sinodale, come successe all’inizio della sequela di Cristo, potrebbe essere utile, o almeno essere un primo passo che indichi che qualcosa si muove. Questo non risolve di certo i grandi problemi di fede delle persone. Pertanto il tempo spinge ad un concilio veramente globale della fede, che dovrebbe essere preceduto da un più lungo processo conciliare, come ad esempio sulla questione religiosa, sulla comprensione di Dio in un orizzonte mutevole di esperienza del mondo, e su altro».
FABRIZIO MASTROFINIROMA
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Il commento del professor Sergio Audano alla nota del canonista Carlo Fantappié pubblicata in www.chiesa ha indotto quest’ultimo a replicare.
*
Gentile professor Sergio Audano, mi fa molto piacere leggerla e scoprire le sue vaste conoscenze nonché la sua enorme erudizione. Ha aggiunto cose utili e preziose sul problema – come lei scrive – dell’”identità” dei papi che rinunciarono o, come sarebbe forse meglio dire in molti casi, furono deposti o cedettero l’ufficio.
In genere i casi di rinuncia di papi/antipapi nel periodo dello scisma d’Occidente non sono giuridicamente qualificabili come tali, canonicamente parlando, perché o sono deposizioni o sono più propriamente cessioni, patteggiate o dichiarate dietro la pressione dei concili di Costanza e di Basilea, i quali avevano assunto i pieni poteri nella Chiesa.
La “cessione” dell’ufficio papale fu infatti ideata come uno dei mezzi per risolvere lo scisma, accanto a quelli della ricerca di una mediazione o “compromesso” o del passaggio dei pieni poteri al soggetto corporativo del “concilio”. Quindi a Costanza Benedetto XIII fu deposto per non aver accolto l’invito del concilio a rinunciare e Gregorio XII pronunciò la formula di rinuncia approvata dal concilio mediante delegati. In cambio il concilio lo ricompensò del titolo di cardinale e di legato “a latere”.
Dopo lo scisma di Basilea, invece, Felice V rinunciò davanti al concilio in cambio di condizioni favorevoli per sé e per i suoi sostenitori senza sentirsi in obbligo di farlo nelle mani dei cardinali (mi servo di uno scritto specifico di Valerio Gigliotti dell’Università di Torino che ha approfondito in un volume i casi della rinuncia papale e su quella dei sovrani).
Veniamo alla seconda parte del suo intervento, relativo alla possibilità da parte del papa di designare il suo successore.
Ovviamente bisogna tener conto che la normativa canonica non è caduta dal cielo, né si è perfezionata nei primi secoli del cristianesimo, piuttosto si è sviluppata e solidificata lentamente, a partire soprattutto dal medioevo. A me interessava porre il problema oggi e non molti secoli fa.
Comunque, anche sui casi da lei ricordati non tutto è scontato. È vero che Felice IV nel 530 scelse il suo successore Bonifacio II, però si discute se questi divenne papa grazie alla designazione di Felice IV oppure alla ratifica posteriore del clero romano (così L. Duchesne).
Bonifacio II sembra volesse ripetere il gesto a favore di Vigilio ma, viste le conseguenze scismatiche, ritrattò pubblicamente (su questo problema, Péries, da me ricordato, dedica un intero capitolo nel suo libro) .
Quanto all’elezione di Paolo III, cui lei si riferisce, non sembra ci siano elementi positivi per parlare di designazione da parte del precedente papa. Si sa invece che il conclave durò tre giorni, dall’11 ottobre alla mattina del 13 ottobre 1534 e che vi fu voto unanime.
Eccoci all’ultimo punto: lei si chiede se, in teoria, un papa possa modificare le regole dell’elezione nel senso di riservarsi la designazione del successore. Questione ampiamente discussa tra teologi e canonisti, fin dal XV secolo, come ho scritto nel mio articolo. Potrà trovare nella brochure del Pèries molte indicazioni, da affiancare a molti articoli di fine Ottocento in materia, specie di autori tedeschi, infine leggere molti trattati teologici sulla Chiesa del secolo scorso. Si è discusso anche se un tale atto, una volta posto in essere, potrebbe essere considerato comunque valido, seppur illecito oppure semplicemente inopportuno.
Per farla breve l’argomento razionale più convincente mi sembra prodotto dal cardinale Charles Journet: “L’atto di eleggere un papa precede, a rigore, l’esercizio del potere papale; dunque è alla Chiesa e non al papa che conviene esercitarlo”.
Il potere di eleggere il papa risiede nella Chiesa romana, la determinazione delle modalità dell’elezione spettano al papa, che ha il diritto di modificare le condizioni che la rendono valida.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/03/10/ancora-sulla-rinuncia-del-papa-e-sulla-sua-designazione/
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Gentile professor Sergio Audano, mi fa molto piacere leggerla e scoprire le sue vaste conoscenze nonché la sua enorme erudizione. Ha aggiunto cose utili e preziose sul problema – come lei scrive – dell’”identità” dei papi che rinunciarono o, come sarebbe forse meglio dire in molti casi, furono deposti o cedettero l’ufficio.
In genere i casi di rinuncia di papi/antipapi nel periodo dello scisma d’Occidente non sono giuridicamente qualificabili come tali, canonicamente parlando, perché o sono deposizioni o sono più propriamente cessioni, patteggiate o dichiarate dietro la pressione dei concili di Costanza e di Basilea, i quali avevano assunto i pieni poteri nella Chiesa.
La “cessione” dell’ufficio papale fu infatti ideata come uno dei mezzi per risolvere lo scisma, accanto a quelli della ricerca di una mediazione o “compromesso” o del passaggio dei pieni poteri al soggetto corporativo del “concilio”. Quindi a Costanza Benedetto XIII fu deposto per non aver accolto l’invito del concilio a rinunciare e Gregorio XII pronunciò la formula di rinuncia approvata dal concilio mediante delegati. In cambio il concilio lo ricompensò del titolo di cardinale e di legato “a latere”.
Dopo lo scisma di Basilea, invece, Felice V rinunciò davanti al concilio in cambio di condizioni favorevoli per sé e per i suoi sostenitori senza sentirsi in obbligo di farlo nelle mani dei cardinali (mi servo di uno scritto specifico di Valerio Gigliotti dell’Università di Torino che ha approfondito in un volume i casi della rinuncia papale e su quella dei sovrani).
Veniamo alla seconda parte del suo intervento, relativo alla possibilità da parte del papa di designare il suo successore.
Ovviamente bisogna tener conto che la normativa canonica non è caduta dal cielo, né si è perfezionata nei primi secoli del cristianesimo, piuttosto si è sviluppata e solidificata lentamente, a partire soprattutto dal medioevo. A me interessava porre il problema oggi e non molti secoli fa.
Comunque, anche sui casi da lei ricordati non tutto è scontato. È vero che Felice IV nel 530 scelse il suo successore Bonifacio II, però si discute se questi divenne papa grazie alla designazione di Felice IV oppure alla ratifica posteriore del clero romano (così L. Duchesne).
Bonifacio II sembra volesse ripetere il gesto a favore di Vigilio ma, viste le conseguenze scismatiche, ritrattò pubblicamente (su questo problema, Péries, da me ricordato, dedica un intero capitolo nel suo libro) .
Quanto all’elezione di Paolo III, cui lei si riferisce, non sembra ci siano elementi positivi per parlare di designazione da parte del precedente papa. Si sa invece che il conclave durò tre giorni, dall’11 ottobre alla mattina del 13 ottobre 1534 e che vi fu voto unanime.
Eccoci all’ultimo punto: lei si chiede se, in teoria, un papa possa modificare le regole dell’elezione nel senso di riservarsi la designazione del successore. Questione ampiamente discussa tra teologi e canonisti, fin dal XV secolo, come ho scritto nel mio articolo. Potrà trovare nella brochure del Pèries molte indicazioni, da affiancare a molti articoli di fine Ottocento in materia, specie di autori tedeschi, infine leggere molti trattati teologici sulla Chiesa del secolo scorso. Si è discusso anche se un tale atto, una volta posto in essere, potrebbe essere considerato comunque valido, seppur illecito oppure semplicemente inopportuno.
Per farla breve l’argomento razionale più convincente mi sembra prodotto dal cardinale Charles Journet: “L’atto di eleggere un papa precede, a rigore, l’esercizio del potere papale; dunque è alla Chiesa e non al papa che conviene esercitarlo”.
Il potere di eleggere il papa risiede nella Chiesa romana, la determinazione delle modalità dell’elezione spettano al papa, che ha il diritto di modificare le condizioni che la rendono valida.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/03/10/ancora-sulla-rinuncia-del-papa-e-sulla-sua-designazione/
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