Uno dei problemi che Papa Francesco dovrà affrontare è quello dell’immoralità dilagante del clero che dalla periferia della cristianità giunge al cuore della Curia romana. La stampa laicista mette l’accento sul fenomeno della pedofilia, fingendo di ignorare che questo male affonda le sue radici nella piaga ben più vasta e ramificata della sodomia.
Due sacerdoti, l’italiano don Ariel Stefano Levi di Gualdo, che nel dicembre 2011 ha dato alle stampe la sua opera E Satana si fece Trino(Ed. Bonanno), e il polacco don Dariusz Oko, docente della Pontificia Università Giovanni Paolo II di Cracovia, che nell’estate del 2012 ha pubblicato Con il Papa contro la omoeresia(http://www.conciliovaticanosecondo.it/2012/12/22/con-il-papa-contro-lomoeresia/), hanno recentemente sollevato il dibattito sull’esistenza di una vera e propria lobby omosessuale che esercita, in maniera sempre più coercitiva, una forte influenza dentro la Chiesa, anche ai livelli più alti delle responsabilità ecclesiastiche. La piaga di quella che è stata definita omoeresia, omomafia, omosessualizzazione della Chiesa, è ormai nota e il problema comincia ad essere affrontato da diversi siti cattolici e da studiosi come lo psicologo Roberto Marchesini nella sua opera Omosessualità e Magistero della Chiesa (SugarCo Edizioni, 2013) in cui l’articolo di don Oko è riportato integralmente in appendice.
Lo scenario è nauseante, fatto di potenti intrecci che coinvolgono prelati e sacerdoti di dubbi costumi, seminari, abbazie, monasteri, dove è pacificamente praticata una vita sessuale tendente all’effeminatezza. In queste istituzioni, talvolta storiche, gli elementi sani rischiano di esser stritolati.
In questa situazione di drammatico degrado ecclesiale arrivano sempre più numerose le segnalazioni di seminari e case di formazioni dove si diffondono pratiche sessuali in grave e aperto conflitto con l’etica cattolica, tollerate se non favorite o perfino talora sollecitate dai superiori. Una fotografia della generale corruzione del clero ce la dà la diocesi di Roma, se è vero essa è immagine della Chiesa nella sua universalità. Il Vicario Generale di Sua Santità sembra voler dare di sé l’immagine di persona inflessibile su certi fenomeni, ma di fatto poi, stando a quanto narrano e documentano numerosi sacerdoti e seminaristi, le punizioni esemplari ricadano solo sui deboli, mentre i potenti godono di una impunità ai più alti livelli. In un suo editoriale del 14 gennaio 2013, il direttore della “Nuova Bussola quotidiana”, Riccardo Cascioli, solleva un quesito rimasto senza risposta: «Tutti ricordiamo anche l’inchiesta del settimanale “Panorama” nel luglio 2010 sulle notti brave di alcuni preti gay a Roma. Fu un’inchiesta che generò giustamente scandalo e il vicario della diocesi di Roma, il cardinale Agostino Vallini fece affermazioni durissime contro questi sacerdoti, invitandoli a uscire allo scoperto e abbandonare il sacerdozio: eppure non se ne è saputo più niente, non ci sono state sanzioni di alcun genere sebbene alcuni dei responsabili fossero identificabili» (http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-nemico–dentro-5591.htm).
Levi di Gualdo nel suo libro, che a distanza di oltre un anno dalla pubblicazione non è stato mai smentito, ricorda, da parte sua, una denuncia, da lui presentata contro la palese immoralità del parroco di una importante basilica romana.Il Vicario Generale per la Diocesi di Roma reagì dichiarando Levi di Gualdo persona non gradita nell’ambito pastorale romano e lasciando che il prete immorale rimanesse al suo posto. Episodio che il sacerdote ha nuovamente riferito di recente in un’intervista in cui dichiara, tra l’altro, che «nella Chiesa è in atto un golpe omosessualista» (http://www.lanuovabq.it/it/articoli-nella-chiesa–in-atto-un-golpe-omosessualista-5590.htm).
Anche il sacerdote polacco Dariusz Oko è dello stesso avviso del confratello italiano ed a conferma di certe dinamiche scrive nel suo articolo: «Quando un vicario tenta di difendere i giovani dalle molestie sessuali di un parroco è proprio lui, e non il parroco, ad essere richiamato all’ordine, vessato ed infine trasferito. Per aver svolto con coraggio il proprio dovere costui si ritrova a vivere esperienze dolorose» (cit. pag. 13). Se questi fatti, diversi dei quali resi pubblici e ancora in attesa di smentita fossero veri, la situazione ecclesiastica di Roma e delle diocesi italiane è a dir poco spaventosa.
Quel che più impressiona è che tutti, pur sapendo, tacciono, persino dinanzi a una denuncia, giungendo all’aberrazione di punire l’innocente proteggendo il colpevole. Ma se Roma è paradigma della Chiesa universale, a Roma una realtà è più di ogni altra cartina di tornasole, l’Almo Collegio Capranica, conosciuto per essere il più antico e prestigioso Istituto di formazione sacerdotale dell’Urbe e dell’orbe, l’unico dipendente direttamente dalla Santa Sede che provvede alla nomina del suo rettore. Già negli anni ‘70 il periodico “Il Borghese” pubblicò un dossier sulla generale immoralità regnante in questo Istituto; dossier che costò la testa dell’allora rettore fatto vescovo. Sostituito il rettore e placate sul momento le acque, tutto tornò però presto tale e quale a prima.
L’ultimo tentativo di moralizzazione fu fatto nei primi anni 2000 con il rettorato di uno spigoloso sacerdote marchigiano, ora in servizio presso la Santa Sede, che cercò di portare un po’ d’ordine e decenza. Si dimise dopo meno di due anni, su pressione di certi ambienti curiali che non tolleravano il suo desiderio di far pulizia. La situazione, ad oggi, non sembra cambiata.
Questo Istituto è un paradigma perfetto: una facciata di aulica nobiltà fatta di secolari tradizioni e un dietro le quinte fatto di notti brave dei seminaristi che, una volta liberi e dismesso il clergyman d’ordinanza, possono entrare e uscire a tutte le ore del giorno e della notte. Quindi incontri particolari tra seminaristi, ma anche tra prelati più o meno potenti in cerca di compagnia. Amicizie molto intime tra alunni, sia seminaristi che sacerdoti, sono all’ordine del giorno fino alla costituzione di vere e proprie coppiette omosex, il tutto senza troppo bisogno di nascondere. All’interno di questo blasonatissimo seminario basta avere un po’ di confidenza con qualche seminarista per sapere chi è “fidanzato” con chi e quali siano i nomignoli al femminile con cui è chiamato questo o quel seminarista, questo o quel sacerdote.
Per giustificare questo stato di depravazione, chi governa questo microcosmo seminariale invoca il principio dell’autoformazione della Pastores dabo vobis (n. 69) e del Direttorio su La formazione dei presbiteri nella Chiesaitaliana, stravolti però in senso tutto quanto liberal. Il documento Orientamenti e norme per i seminari (n. 73) riconosce sì come necessaria al processo formativo la capacità all’autoformazione del candidato al sacerdozio, ma non declinata secondo una prassi libertaria che finisce col farsi poi de facto libertina.
Se poi si considera che questo ambíto istituto è una vera e propria “fabbrica” di vescovi, nunzi apostolici e cardinali, come non rabbrividire? Si dirà: è un caso isolato dovuto a particolarissime condizioni. In realtà è molto di più: è un paradigma. Si tratta infatti del più antico e titolato istituto, direttamente dipendente dalla Santa Sede, preposto alla formazione sacerdotale. Non vogliamo generalizzare, ma viene da chiedersi: se tanta è la sporcizia nel collegio la cui direzione dipende immediatamente dalla Prima Sede, cosa accadrà negli altri dipendenti dalle sedi secondarie? Quella sporcizia denunciata dal cardinale Ratzinger durante la Via Crucis del 2005 sommerge la Roma dei seminari e dei collegi, a partire proprio dal più prestigioso ed esclusivo. Preghiamo dunque perché il nuovo Papa trovi la forza di iniziare la pulizia morale che tutti invocano dalla diocesi di cui, fin dal giorno della sua elezione, si è proclamato con fierezza vescovo.
(di Emmanuele Barbieri)
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