Gotti Tedeschi, che nel suo curriculum vanta anche, con la sua banca Akros, il collocamento in Borsa della Parmalat del bancarottiere Callisto Tanzi, viene poi tagliato fuori dagli affari finanziari della Santa Sede in modo piuttosto brusco. In Vaticano ora lo si vede poco, mentre è più facile incontrarlo a Siena su richiesta della Procura che indaga sul dissesto del Monte dei Paschi di cui è stato uno degli attori, essendo stato a lungo il braccio destro italiano di don Emilio Botin, il banchiere spagnolo che nel 2007 vendette banca Antonveneta al gruppo senese.
Alla luce di tutto questo, l’iniziativa della Pontificia Università di dar spazio a Gotti Tedeschi, appare come una sorta di riabilitazione. Del resto a Gotti Tedeschi i Santi in Vaticano non mancano. Magari lo stesso cardinale Tarcisio Bertone, che, a suo tempo, lo volle ai vertici dello Ior, proprio mentre rappresentava in Italia gli interessi della banca spagnola Santander di Botin che ebbe molto a guadagnare anche dall’acquisizione dell’iberica Recoletos da parte dell’editrice del Corriere della Sera, Rcs. Operazione, come quella di Antonveneta, che Gotti Tedeschi conosce molto bene, ma di cui difficilmente racconterà i dettagli anche solo etici.
Il banchiere di Piacenza preferisce soffermarsi sul senso delle encicliche papali più che sui bilanci delle società di cui si è occupato. E agli studenti consiglia di leggere ciò che scrive il Santo Padreper comprendere il senso della crisi economica: “La finanza è il tipo strumento che è sfuggito dalle mani dell’uomo – precisa in aula – Il rischio – dice – è che l’uomo perda il senso della vita. E di chi è la colpa? La colpa è dei preti che non insegnano la dottrina”. Insomma, i banchieri, quelli no, non c’entrano proprio un bel niente con la crisi, con i crac finanziari, con le tangenti e i conti segreti.
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ma non solo i preti... anche il vescovo bianco!
Il Papa è anticapitalista?
Francesco duro con i mercati signori del mondo, ma va letto bene
La deriva etica nella cultura dell’uomo come “scarto” è il fulcro del discorso papale per i poveri della terra
Padre Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa della Santa Sede l’ha definito “il primo grande e significativo intervento personale del Papa sul tema della crisi economica mondiale”. Un discorso “molto suo”, scritto di suo pugno, che Francesco ha letto ieri mattina nella Sala Clementina ricevendo i neo accreditati ambasciatori di Kirghizistan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana. Una riflessione sulla crisi finanziaria, che ha origine non solo nel “rapporto con il denaro”, che domina noi e le nostre società, ma soprattutto “in una profonda crisi antropologica”. Certo, ha premesso il Pontefice, l’umanità, nonostante paura, disperazione, indecenza e violenza facciano sì che “la gioia di vivere diminuisca” sempre più, ha ottenuto “risultati positivi che concorrono al suo autentico benessere”. Si pensi al campo della salute, dell’educazione e della comunicazione. Ma è ineludibile la constatazione che la maggior parte della popolazione vive “in una precarietà quotidiana con conseguenze nefaste”.
La causa di tutto, dice il Papa, è “la negazione del primato dell’uomo”. Chiede una riforma finanziaria etica – e l’etica conduce a Dio, “che si pone al di fuori delle categorie del mercato” – capace di produrre a sua volta una riforma economica salutare per tutti. Ecco perché dai governi si attende “un coraggioso cambiamento di atteggiamento” per sconfiggere la “corruzione tentacolare e l’evasione fiscale egoista”. Rievoca l’Esodo per ammonire sul rischio che comporta l’adorazione del vitello d’oro dei nostri giorni, che ha trovato “una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano”.
Niente di nuovo, per chi conosceva il Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires:l’accento sulla povertà, la condanna di quella “cultura dello scarto” che riduce l’uomo a “bene di consumo che si può usare e gettare” hanno sempre fatto da sfondo ai suoi discorsi pubblici, alle sue omelie pronunciate dagli amboni nelle chiese cittadine o da improvvisati leggii nelle strade dove spesso celebrava messa. Jorge Mario Bergoglio proviene da un contesto culturale ed ecclesiale in cui a fatica si è condivisa l’apertura al liberalismo, pur sempre ben temperato, che ispirava la “Centesimus Annus”, l’enciclica di Giovanni Paolo II scritta dopo il crollo del Muro di Berlino per il centesimo anniversario della “Rerum Novarum” di Leone XIII. E non a caso, nel discorso tenuto davanti agli ambasciatori, ha detto che lo squilibrio tra chi è sempre più ricco e chi sempre più povero è dovuto a “ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria”. La chiesa di Bergoglio, che guarda alle periferie più lontane e derelitte, è quella che si rifà al versetto del profeta Isaia in cui si chiede di “non distogliere gli occhi dalla carne di tuo fratello”.
Stavolta, però, Francesco non ha parlato di “capitalismo come oppio dei popoli”, come fece da primate della chiesa argentina denunciando la tolleranza “di una certa trascendenza addomesticata che si manifesta nello spirito mondano”. D’altronde, ricordava ancora il primo gesuita eletto vescovo di Roma, “il cristianesimo condanna con la stessa forza il comunismo e il capitalismo selvaggio”. C’è la proprietà privata, ma c’è anche l’obbligo di socializzarla entro parametri equi. Ecco perché, come ha detto ieri, “il Papa esorta alla solidarietà disinteressata e a un ritorno dell’etica in favore dell’uomo nella realtà finanziaria ed economica”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
O del primato di Dio?!!!!
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