La nuova liturgia dell'inchino
«Inchinatevi per la benedizione» dice un invito che viene rivolto al popolo prima che il celebrante
tracci su di lui il segno della Croce: non esisteva invece nella liturgia «romana», fino a Papa
Bergoglio, l'inchino del celebrante in attesa di ricevere la «preghiera di benedizione» del popolo.
Francesco compì quel gesto affacciandosi appena eletto alla loggia di San Pietro e l'ha ripetuto ieri
al termine della prima visita a una parrocchia romana. Il parroco ha annunciato che i 46 bambini che avevano avuto dal Papa la Prima Comunione gli avrebbero cantato «la benedizione di San Francesco», che inizia con le parole «Il Signore benedica te» e il Papa nell'atto di ricevere quella benedizione si è tolto la mitria e si è inchinato: un inchino profondo e in quella posizione è restato per la durata del canto. Quell'inchino del Papa argentino è un gesto nuovo nella tradizione papale, ma non è nuovo nella biografia di Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, che già ebbe a sperimentarlo in un'occasione per la quale i tradizionalisti del suo Paese l'accusarono di «apostasia», cioè di rinnegamento della fede, dal momento che allora si era inginocchiato per «ricevere» la preghiera di un'assemblea mista di protestanti e cattolici. «A un certo punto il pastore evangelico chiese che tutti pregassero per me» racconterà il futuro Papa nel volume «Il Cielo e la terra» che è del 2010 (tradotto in italiano ora da Mondadori). Mentre tutti pregavano, dirà ancora, «la prima cosa che mi venne in mente fu di inginocchiarmi per ricevere la preghiera e la benedizione delle
settemila persone che si trovavano lì». Almeno una volta dunque il cardinale Bergoglio aveva
anticipato il gesto di «accoglienza» della preghiera di benedizione che è stato il primo segnale —
fraterno e comunitario — con cui si è poi presentato al mondo da Papa
di Luigi Accattoli
in “Corriere della Sera” del 27 maggio 2013
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201305/130527accattoli.pdf
Il Papa si fa benedire dai bambini «Il nostro Dio non è uno spray»
di Gian Guido Vecchi
in “Corriere della Sera” del 27 maggio 2013
Sono vestiti di bianco come il loro vescovo, hanno appena fatto la Prima Comunione e il parroco
sorride, «vorrebbero cantarle, Santità, la benedizione di San Francesco d'Assisi», gli si radunano
tutti intorno, inizia il canto. E il Papa toglie la mitria e abbassa il capo, le mani giunte, si china a
ricevere la benedizione dei bambini: e resta così, assorto, finché non hanno concluso, «vi
ringrazio». È nella sua prima visita a una remota parrocchia romana, «la realtà si capisce meglio
dalle periferie», che Francesco compie un gesto destinato a restare accanto a quello della prima
sera: il «vescovo di Roma», appena eletto, che si raccoglie per ricevere dalla piazza la «preghiera
del popolo». Il senso profondo di quell'immagine si collega a ciò che dirà più tardi all'Angelus,
ricordando quel prete «esemplare» che fu don Pino Puglisi, «sacerdote e martire ucciso dalla mafia
nel 1993» e proclamato beato sabato a Palermo.
Il parroco di Brancaccio, figlio d'un calzolaio e di una sarta, ha vissuto «educando i ragazzi secondo
il Vangelo» e grazie a questo «li sottraeva alla malavita», ha spiegato Francesco: Cosa Nostra «ha
cercato di sconfiggerlo uccidendolo» ma «in realtà è lui che ha vinto, con Cristo Risorto». Poi ha
alzato lo sguardo, il Papa, proseguendo a braccio: «Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche
bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro il lavoro che li rende
schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali... Dietro questi sfruttamenti, dietro a queste
schiavitù ci sono le mafie», ha aggiunto. «Ma preghiamo il Signore perché converta il cuore di
queste persone: non possono fare questo, non possono fare i nostri fratelli schiavi, dobbiamo
pregare il Signore, preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio!».
Sono parole che richiamano quelle pronunciate da Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 —
quattro mesi prima dell'assassinio di don Puglisi — nella Valle dei Templi di Agrigento, l'indice
levato verso l'alto: «Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta, verrà il giudizio di Dio!».
Francesco, per parte sua, indica come antidoto la «luminosa testimonianza» di quel sacerdote
impegnato ad educare i ragazzi. L'altro giorno parlava ironico dei discepoli, preoccupati del
«protocollo», che volevano impedire ai bimbi e ai fedeli di avvicinarsi a Gesù. Anche lui non fa
caso al protocollo: bisognava vederlo, ieri, mentre spiegava ai bambini la Trinità («com'è che Dio è
uno ma sono tre persone?») e nel giorno della finale Roma-Lazio li interrogava scherzando sulla
figura di Gesù, «questa è difficile, eh?, chi risponde vince il derby!». Il gesto di inchinarsi alla
benedizione dei bambini (Francesco ricordava il Vangelo: «A chi è come loro appartiene il Regno di
Dio») richiama il suo elogio della «fede semplice» nell'ultima omelia a Santa Marta: «Se tu vuoi
sapere chi è Maria vai dal teologo e ti spiegherà bene chi è Maria; ma se tu vuoi sapere come si ama
Maria, vai dal popolo di Dio che lo insegnerà meglio». Ieri, all'Angelus, ha spiegato che la Trinità
«non è il prodotto di ragionamenti umani, è il volto con cui Dio stesso si è rivelato: non dall'alto di
una cattedra, ma camminando con l'umanità». E ha ripetuto un'espressione coniata il mese scorso a
Santa Marta: «Il nostro Dio non è un Dio spray, è concreto! Non è un astratto, ma ha un nome: Dio
è amore».
Francesco, nella chiesa di Santa Elisabetta e Zaccaria ha voluto confessare otto parrocchiani. Una
settimana fa, in San Pietro, fa aveva detto sorridendo ai ragazzi dei movimenti: «Quando io vado a
confessare, anzi quando andavo, adesso non si può, perché uscire da qui non è possibile...». Ieri
scherzava con i bambini: «il Papa è in Vaticano, ma il vescovo è qui!».
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201305/130527vecchi.pdf
Francesco parroco per un giorno a sorpresa confessa otto fedeli
di Paolo Rodari
in “la Repubblica” del 27 maggio 2013
Giovanni Paolo II usava scendere nel confessionale della basilica di San Pietro una volta all’anno, il
Venerdì santo, per un paio d’ore. Si chiudeva entro le grate degli antichi confessionali come un
semplice sacerdote. Chiunque poteva accostarvisi, e così ricevere da lui la remissione dei peccati.
Benedetto XVI ha confessato in San Pietro soltanto durante due volte, coi giovani della diocesi di
Roma nel 2007 e nel 2008, e una terza volta a Madrid durante la Giornata mondiale dei giovani del
2011. Papa Francesco, invece, già ieri, durante la sua prima visita in una parrocchia romana, senza
dare preavvisi ha chiesto di poter confessare otto fedeli prima dell’inizio della Messa.
Il parroco della parrocchia dei Santi Elisabetta e Zaccaria, situata all’estrema periferia Nord di
Roma, don Benoni Ambarus, romeno, racconta: «Dopo aver salutato i malati in chiesa, prima di
uscire all’aperto per presiedere la Messa, ha chiesto di poter confessare. Così otto fedeli scelti a
caso hanno avuto questa possibilità». Del resto, Bergoglio l’aveva accennato appena sabato scorso,
durante la veglia di Pentecoste coi movimenti ecclesiali, che gli mancava di poter presiedere il
sacramento della penitenza: «Quando vado a confessare... anzi quando andavo, adesso non si può,
perché uscire da qui non è possibile...», aveva detto. Francesco, il pontefice che tiene
più al titolo di «vescovo di Roma » che ad altri, sceglie per una domenica di farsi parroco e
conquista le centinaia di fedeli accorse ieri, e con loro anche i bambini che hanno potuto ricevere da
lui la prima comunione. Coi bambini ha dialogato a lungo durante l’omelia, concedendosi anche
quale battuta. «Gesù ci ha salvato, e cosa fa quando cammina con noi nella vita? Questa è difficile,
e chi la sa vince il derby», ha detto sorridendo. Insomma, nessuna formalità per una visita in una
parrocchia scelta appositamente perché lontana: «La realtà si capisce meglio non dal centro, ma
dalle periferie», ha spiegato Francesco che al proprio fianco, oltre al clero locale, aveva il vescovo
vicario di Roma, Agostino Vallini.
Prima che il Papa arrivasse i parrocchiani, riferendosi al fatto che abitano alle porte di Roma, gli
avevano scritto una lettera definendosi «sentinelle» della città. E lui ha preso la parola dicendo: «Vi
ringrazio per il vostro lavoro di sentinella. Vi ringrazio per l’accoglienza in questo giorno della festa
della Trinità. Il Papa è in Vaticano: mentre oggi è venuto il vescovo qui».
Al termine della Messa, dopo i saluti alla folla dalla papamobile, Bergoglio è tornato in Vaticano in
elicottero. In piazza San Pietro ha recitato la preghiera dell’Angelus e ha ricordato don Pino Puglisi,
«il sacerdote ucciso a Palermo dai mafiosi nel 1993» e beatificato proprio sabato. «La mafia voleva
sconfiggerlo – ha detto – ma in realtà è lui che ha vinto». E, quindi, la preghiera che ricalca quella
che già fece Giovanni Paolo II venti anni fa ad Agrigento, affinché «questi mafiosi e mafiose si
convertano». Di Puglisi, venerdì scorso, aveva parlato anche il presidente dei vescovi italiani,
Angelo Bagnasco, che aveva spiegato come il sacerdote fosse stato ucciso anzitutto «in odio alla
fede» prima che per motivi «di mafia».
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201305/130527rodari.pdf
http://ilsismografo.blogspot.com/2013/05/vaticano-francesco-parroco-per-un.html
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