“Cara Margherita, che mi sei morta sotto la penna…”. Addio o al diavolo la Hack?
Mentre ultimavo la lettera aperta a Margherita, Margherita è morta. Lei non lo credeva: ma posso “mandargliela” ancora e lei può leggere. Allora la spedisco da qui…
“È l’uomo che deve cercare di spiegare la vita”, diceva Hack. Professoressa, ma chi spiega l’uomo all’uomo?
Una lettera a Margherita Hack, arrivata in ritardo. Forse, però, se crediamo alla Provvidenza, sappiamo che per vie misteriose può ancora servire per altri. Dopo la fine dell’Universo cosa c’è? Se quello che vediamo, che esploriamo, è un’enorme sfera al cui centro c’è la terra e ha un fine che attualmente coincide con la nostra capacitù di esplorazione, questa sfera-universo conosciuto in cosa è contenuta a sua volta? E se c’è un’altra sfera, nella quale la nostra sfera-universo è contenuta e dopo un’altra sfera che contiene questa e così via… di sfera in sfera l’Universo dove finisce?
di Nicola Peirce
Carissima Professoressa Hack,
purtroppo sono arrivato tardi. Ho avuto per molto tempo nel cuore di scriverle questa lettera però, come spesso avviene, ci lasciamo travolgere dall’incalzare degli eventi. Così, ora mi trovo a scriverle un epitaffio invece di una lettera, una sorta di intenzione di preghiera per lei, anche se sospetto un suo probabile e sdegnato: no grazie! Ciò premesso, vengo subito al punto: ebbi modo di seguire una sua intervista in TV nella quale si dichiarava atea e bollava come puerile credere in dio, perché: “troppo comodo ricondurre tutto a qualcosa di sopranaturale, …è l’uomo che deve cercare di capire e arrivare a spiegare la vita”. Nella stessa trasmissione, parlando della fede e della religione, affermò: “è l’uomo che deve esercitare la misericordia, il perdono, grazie alla messa in atto di comportamenti etici, basati sulle leggi umane conquistate in secoli di progresso democratico”. Ricordo le sue parole perché ne rimasi particolarmente colpito.
Ora, prima di proseguire, è necessaria una premessa:
• penso che lei sia stata una donna intelligente e competente più di tanti altri attori, maschili e femminili, che frequentano il palcoscenico del mondo scientifico-culturale e che usano i loro talenti intellettuali al solo scopo di alimentare la loro vanagloria e la loro superbia;
• la sua ricerca scientifica ha indubbiamente contribuito ad allargare l’orizzonte della conoscenza umana e aggiungo che era anche simpaticamente ironica e la cosa non guastava soprattutto nell’ambito scientifico-accademico solitamente piuttosto “serioso”;
• non sono un’oscurantista anti-scientifico, anzi tutt’altro: sono affascinato dalla capacità dell’umanità di viaggiare alla scoperta dell’infinitamente grande così come dell’infinitamente piccolo. Penso che noi, genere umano, siamo un punto di equilibrio e d’incontro tra questi due infiniti opposti, siamo la componente della creazione più vicina alla perfezione che si possa trovare nell’universo intero;
• non avrei potuto, ne voluto, sindacare la sua scelta di essere atea. Anzi, confesso che anche io, se non fossi fermamente cristiano-cattolico, sarei, quasi certamente, ateo. Non riesco, infatti, a concepire vie di mezzo e apprezzo, comunque, chi ha una convinzione, mi permetto di chiamarla fede-atea, quale era la sua. Le avrei però chiesto di abbandonare per un attimo quel suo convincimento per cercare di seguire il mio ragionamento a mente sgombra, al termine del quale lei si sarebbe potuta riappropriare della sua fede-atea e io avrei continuato a considerarmi una creatura e non un creatore. Avrei continuato, come continuo a fare, a prendere per buona la spiegazione della vita che mi dona il mio dio mentre lei avrebbe continuato a tentare di spiegarla con la sua mente.
SENZA FINE O SENZA UN FINE?
L’universo conosciuto, cioè quello che noi ad oggi conosciamo, è immenso. Siamo arrivati ad esplorare distanze impensabili solo pochi decenni fa ma ancora non abbiamo trovato la fine dell’universo. Una domanda mi sono posto sempre, fin da bambino: dopo la fine dell’universo cosa c’è? Se quello che vediamo, che esploriamo, è un’enorme sfera al cui centro c’è la terra e ha una fine che attualmente coincide con la nostra capacità di esplorazione, questa sfera-universo conosciuto in cosa è contenuta a sua volta? E se c’è un’altra sfera, nella quale la nostra sfera-universo conosciuto è contenuta e dopo un’altra sfera che contiene questa e così via di sfera in sfera, l’universo dove finisce? La risposta che la mia mente limitata ha sempre generato è il termine: infinito.
Ma questa parola, nella sua forma sostantivata, non è forse uno dei termini usati, insieme ad altri, quali eterno e onnipotente, da tutte le religioni del mondo o almeno da quelle monoteistiche, per indicare dio? Tra l’altro, il termine infinito è proprio uno degli attributi specifici ed esclusivi del Dio cristiano. A questo punto, potremmo dire che la ricerca scientifica volta all’universo infinito e mirata a spiegare la vita, come da lei affermò, è paragonabile alla ricerca, mirata anche questa a spiegare la vita, che i “credenti” hanno svolto da sempre, spinti dall’anelito religioso, alla ricerca di dio, cioè per l’appunto dell’infinito.
Qui, però, sorge il primo problema, la prima contraddizione riguardo il metodo di ricerca mirato a spiegare la vita che lei perseguiva. Se, infatti, questa ricerca viene svolta con il solo intelletto umano, in modo esclusivamente razionale, è, a mio modesto avviso, perdente in partenza, perché pretende di comprendere l’incomprensibile. Si, perché vogliamo spiegare in maniera razionale con un mezzo limitato, quale è il nostro cervello, qualcosa di illimitato: l’infinito. Infatti, se prendiamo in considerazione le dinamiche chimiche delle sinapsi celebrali e le paragoniamo ad un hardware sofisticatissimo, abbiamo una capacità di elaborazione certamente enorme rispetto a qualsiasi computer fin’ora realizzato che però non sarà mai una capacità infinita. Ad un certo punto, alla n-miliardesima elaborazione chimico-sinaptica, arriveremo al termine della capacità del nostro intelletto che è finito, come tutto il resto nel mondo delle cose create.
Ora, questo mio sproloquio che non è chiaramente un dogma ma solo uno spunto di riflessione, vuole arrivare alla conclusione che se la nostra capacità è limitata, finita, come è possibile considerarci il “deus ex machina” in grado di spiegare qualcosa che è illimitato, infinito? Come è possibile che qualcosa di infinito sia assoggettabile a qualcosa di finito? E’ il finito che è contenuto nell’infinito e non il contrario; da questo è evidente, almeno per me ma non pretendo lo sia per tutti, che qualsiasi sia il nome che noi vogliamo dargli, Big Bang o YHWH (Jahvè), c’è qualcosa o qualcuno di infinito che ha generato al suo interno qualcosa di finito, cioè noi, che come Lei ebbe modo di dire (ho letto questa frase in una sua intervista): “…siamo molto più complicati di qualsiasi astro celeste da me studiato”; “complicanza” che ci ha spinto, da sempre, a cercare quel creatore, quel tutto in tutti, come lo definisce San Paolo.
“COGITO ERGO SUM” O “EGO SUM PERSONA PRIMA”?
La ricerca di dio, che l’uomo ha sempre svolto nel corso di tutta la sua storia, è spiegata proprio dalla semplice constatazione che se abbiamo una spinta verso il superiore, l’infinito, il tutto, è perché sappiamo nel nostro intimo, da sempre, di essere nell’inferiore, il finito e ci rendiamo però anche conto di provenire, facendone parte, da quello stesso infinito. In poche parole siamo “capaci” di dio, perché lo percepiamo, percepiamo l’infinito; l’esatto contrario di ciò che sostengono gli atei, cioè che saremmo noi gli inventori di dio per lenire le nostre paure ancestrali. Non mi fraintenda non è un termine dispregiativo quello dell’inferiore che tende al superiore, bensì una constatazione di stato, diciamo il frutto dell’esperienza, potremmo dire empirica, di ciò che l’umanità rincorre da sempre, da quando l’uomo si è affacciato alla ribalta della vita terrestre, a tutte le latitudini e longitudini ed è ciò che faceva anche lei cercando nell’universo “infinito” le risposte ai perchè della vita.
Ora, postulato che esiste un superiore verso il quale l’uomo, l’inferiore, ha sempre rivolto il suo sguardo alla ricerca di risposte, molte nei secoli sono state le forme che questo superiore ha preso e molte ancora oggi sono quelle che ognuno di noi vuole dargli, basandosi sul proprio sentire, ed è qui che si inserisce il mio essere cristiano-cattolico, strettamente osservante.
NON È DIO L’ASSENTE, È LA FEDE LA MANCANTE
Nella mia vita ho “navigato” molto, ho visto molte cose e conosciuto molte persone di culture diverse, con esperienze e conoscenze talvolta anche opposte, ho battuto molte strade: dalla fede-atea nella religione del gene egoista teorizzata dal professor Dawkins, a quella più prosaica del “tutto è permesso” del liberal-laicismo sessantottino che ha le sue radici nella cultura yippies e beatnik di origine anglosassone; cultura che non era quella dell’amore e della libertà, come si volle far credere all’epoca ma, bensì, una disastrosa cultura dello sballo, ante litteram, che perpetra ancora oggi le sue devastanti conseguenze nella nostra società.
Credo fosse il ‘65, comunque avevo dodici o tredici anni e lessi su un Reader’s Digest, al quale i miei genitori erano abbonati, che un gruppo di scienziati era riuscito a generare nel vuoto di un contenitore, bombardato con luce laser, un atomo di idrogeno e pertanto ecco che: oplà, dal nulla nasceva l’universo. Questa notizia che ho saputo solo molti anni dopo essere un falso scientifico, soffocò la mia labile fede cristiana che si era affacciata alla religione professata solo un paio di anni prima con la prima comunione; va detto che la mia famiglia non è mai stata osservante, anzi tutt’altro.
Tralascio, per non annoiarla, anche se ora di tempo ne ha molto, diciamo eterno, le vicende da quell’avvenimento a oggi, ma le posso garantire che la mia vita è stato un unico filo conduttore verso un’incontro che era già fissato da sempre, avvenuto molti anni dopo quell’apostasia, in un momento ben preciso; parafrasando San Paolo, “nella pienezza dei tempi” della mia esistenza terrena: ho incontrato Dio o meglio ho incontrato mio “fratello” Dio, cioè Gesù che mi ha donato la grazia della fede, questa volta non labile. Mi permetta qui una piccola citazione: “…rimanere nel suo amore significa quindi vivere radicati nella fede, perché la fede non è la semplice accettazione di alcune verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo” (Benedetto XVI – GMG 2011 Madrid)
GIANO BIFRONTE?…ALLA FINE IL “DIO DEGLI DEI”, COME ERA CHIAMATO GIANO, HA PERSO LA FACCIA ATEA
Capisco che la mia esperienza non può essere traslata ad altri solo grazie a queste righe ma le avrei voluto chiedere un’ulteriore apertura di credito. Mi ritengo una persona normale, chi mi conosce mi giudica una mente vivace, ho molti interessi e. come le ho detto, ho avuto molte esperienze. Sono stato per tantissimi anni convinto assertore della nostra autonomia decisionale, basata sulle scelte libere che prendiamo nel progettare e programmare la nostra vita, ma ora so che mi sbagliavo e lo so per esperienza empirica perché ho conosciuto entrambi i lati della medaglia. Conosco tutte e due le versioni, la atea e la credente, sono una specie di Giano bifronte che ha la doppia visione delle cose del mondo.
La religione cristiana e la dottrina cattolica sono per me una risposta molto valida alle domande esistenziali dell’uomo, ai perché della vita, quella vita che lei avrebbe voluto spiegare con il suo intelletto ma che non è in nostro pieno possesso. Infatti, non decidiamo noi dove e quando nascere, ci ritroviamo catapultati qui, su questo minuscolo pianeta disperso nell’infinità, senza aver avuto voce in capitolo e appena arrivati siamo già destinati, inevitabilmente, alla morte: come spiegare queste bizzarre regole del gioco con la razionalità del pensiero?
La risposta cristiana può sembrare parziale, insoddisfacente, perché resa tale dal quel limite umano di comprensione di cui abbiamo parlato, ed è per questo che richiede la fede. Nel suo contenuto, però, quello che ci ha trasmesso Gesù, è in realtà una risposta infinita perché accompagna l’uomo nella vita eterna, nell’infinito, e dona una risposta esauriente a quella necessita di infinito che abbiamo, oltrepassa proprio quelle bizzarre regole del gioco e le rende comprensibili o forse è meglio dire accettabili. La risposta potrebbe essere “infinita”, diciamo perfetta, anche qui in terra, qualora l’umanità applicasse integralmente quanto Gesù ci ha detto, cioè quanto Dio stesso è venuto a comunicarci. Non mi sembra questo il luogo e il momento, per un approfondimento di tale insegnamento ma, come lei saprà, il messaggio che ci è stato lasciato è assolutamente rivoluzionario e nessun’altro al mondo ha mai portato un messaggio così sovversivo che, se applicato nella sua pienezza, come hanno fatto i santi, potrebbe trasformare completamente il nostro modo di vivere e la nostra società. Pensi se la terra fosse abitata solo da uomini come San Francesco o donne come madre Teresa di Calcutta…. non sarebbe un luogo migliore? Altro che “…esercitare la misericordia, grazie alla messa in atto di comportamenti etici, basati sulle leggi umane conquistate in secoli di progresso democratico”.
MISERICORDIA RAZIONALE? …È COME SPERARE CHE UN HOOLIGANS IMBUFALITO, PER UN RIGORE NEGATO ALLA SUA SQUADRA, “PORGA L’ALTRA GUANCIA”.
Molti uomini hanno provato a modellare la storia con i mezzi umani, lasciando al termine dei loro tentativi le cose come erano prima, accompagnandole però, quasi sempre, con cumuli di macerie e di cadaveri. Un esempio, forse l’unico, che mi viene alla mente di rivoluzionario, che è riuscito a cambiare in meglio le cose, senza lasciare questi cumuli funesti, è Gandhi che, guarda caso, ha cambiato il suo paese, la sua società, basandosi sulla non violenza, sull’amore e sulla pace, tutte verità proclamate da Gesù un paio di millenni prima. Gandhi aveva affisse alla porta di casa, per poterle leggere tutte le mattine prima di uscire, le beatitudini, quelle del famoso discorso della montagna di Gesù, perché, diceva, erano il suo “manuale di istruzioni”. Il Mahatma era anche solito dire che credeva nella divinità di Gesù, ma non poteva diventare cristiano perché il comportamento dei cristiani era poco edificante e assolutamente lontano dagli insegnamenti del Vangelo e purtroppo, aggiungo io, è così ancora oggi ed è questo il vero problema.
E qui mi collego alla seconda affermazione che lei fece, circa la possibilità dell’uomo di avere un comportamento misericordioso, amorevole, grazie a una morale basata su leggi umane. Mi permetto di dire che è la storia stessa che boccia senz’appello questa ipotesi basata solo sulla volontà dell’uomo. Credo si possa essere d’accordo sul fatto che il male che attanaglia il mondo è frutto dei comportamenti degli uomini, cioè quei comportamenti che la Chiesa chiama “peccati” che, sempre per la Chiesa, allontanano da Dio. In pratica, una continua replica del peccato originale che ha allontanato per la prima volta l’uomo da Dio. Credo si possa anche essere d’accordo che, alla fine dei conti, questi comportamenti che producono il male possano essere raggruppati in tre grandi famiglie: ira (con il sottoprodotto dell’orgoglio e della superbia), avidità (con il sottoprodotto dell’avarizia e del furto), lussuria (con il sottoprodotto della schiavitù dal sesso e per il sesso). Credo sia anche facile comprendere come, in teoria, potrebbe essere molto semplice rendere il mondo migliore, basterebbe non avere più questi tre tipi di comportamento: in fondo sono solo tre e sono anche abbastanza evidenti sia nel loro compiersi sia nel riconoscerli in chi li compie, ma in millenni di storia l’uomo non è riuscito a variare, neanche minimamente, questi comportamenti, anzi si sono addirittura aggravati, almeno nelle loro conseguenze.
Quindi è evidente che se l’uomo non è riuscito, in tutti questi secoli e non riesce tutt’oggi, nonostante lo sviluppo sociale, economico e di democrazia politica, a compiere questa semplice operazione di pulizia sulla base di un comportamento etico basato sulle leggi umane, vuol dire che questi comportamenti non sono modificabili con azioni guidate esclusivamente dal nostro mezzo “sinaptico”, il nostro cervello, ma solo con un cambiamento, una conversione, della vera sede di questi comportamenti, cioè del nostro cuore.
Questa è un’altra grande verità della fede cristiana: come ci ha detto Gesù, non è quello che mettiamo in bocca, cioè quello che è fuori di noi, ma è quello che esce dal nostro cuore che provoca il male. Il peccato, cioè l’azione che provoca il male, esce dal nostro cuore. Infatti, è una nostra decisione, della quale non riusciamo sempre a calcolare gli effetti, perché se fosse così probabilmente ci renderemmo conto che stiamo provocando dolore e danni a qualcuno. La conversione del nostro cuore per avvenire ha bisogno dell’etica comportamentale che è venuto ad insegnarci Gesù, cioè: della preghiera, della Parola di Dio (ndr.: La Bibbia), dell’Eucarestia, della Confessione e della Penitenza, così come la Chiesa da duemila anni ci chiama a fare, sia pur con tutti i difetti che gli uomini hanno portato e portano, con i loro limiti, all’interno della Chiesa stessa.
Il messaggio di Gesù rimane cristallino, nonostante gli uomini tentino di imbrattarlo dall’esterno e, ripeto, anche dall’interno della Chiesa. E’ quello da duemila anni e non si sfugge: si può far finta di niente, come ho fatto io per molti anni, ma in una piccola “sinapsi” del mio cervello o forse è meglio dire del mio cuore, io sapevo che quel messaggio era giusto. Il cristiano spera nel “infinito” senza tentare di spiegarlo mentre l’ateo pretende di spiegare l’infinito con il proprio io limitato. Il credente conosce il proprio limite e si identifica in una frase: “era abbastanza intelligente da capire di non esserlo abbastanza” mentre il non credente si ritiene così intelligente da poter “intelleggere” l’incomprensibile (tra l’altro ironia vuole che la frase sopracitata sia di un ateo dichiarato come si dichiarava lei, il regista Dino Risi).
UN MESSAGGIO AFFIDATO ALLE CORRENTI DEL MARE DI INTERNET
Carissima professoressa, sono certo dell’esistenza di Dio. Ne sono così certo che mi sono infilato in questa impresa di scriverle perché penso sinceramente che lei avrebbe potuto fare tanto bene ai suoi simili se avesse lasciato uno spiraglio a Dio nelle sue certezze atee; non avrei preteso che lei avesse cambiato idea per queste quattro righe arruffate, assolutamente, ma come nell’ambito scientifico si da credito a teorie puramente speculative, le avrei chiesto di accordare un micro-credito a questa mia speculazione “intellettual-spirituale” e concedere a Dio un’opportunità. Sono arrivato tardi e ora posso solo sperare che sia stato Dio a dare a lei un’opportunità.
Questa lettera è diventata ora un messaggio in bottiglia, senza un destinatario, affidato alle correnti del mare di internet, se arriverà a qualcuno che come lei non crede e lo aiuterà a riflettere, sarà una conferma che le strade del Signore sono veramente infinite, come l’universo che lei studiava con tanta passione e profitto per il beneficio di tutti. Se invece non arriverà a nessuno, vorrà dire che non era questa lettera la strada, tra le infinite a disposizione, che Dio ha scelto per farsi trovare da chi come lei non crede.
Un pensiero e una preghiera, con tutto il mio affetto.
P.S.:
le avrei anche riportato questo breve passaggio di un discorso fatto da un uomo, forse il più grande pensatore del secolo appena trascorso e, per ora, anche di quello appena iniziato, di cui sono felice di essere contemporaneo: Joseph Ratzinger, quell’uomo che i liberi pensatori, suoi amici e colleghi, i professori dell’Università La Sapienza di Roma che cercano di spiegare la vita e l’infinito, come faceva lei, con i loro mezzi cerebrali, non hanno voluto neanche ascoltare, dando una chiara testimonianza della mediocrità del loro “pensiero” e della limitatezza del loro mezzo cerebrale: “Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio. (…) la fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona. (…) oggi, in cui la cultura relativista dominante rinuncia alla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con coraggio e umiltà il valore universale di Cristo” (Benedetto XVI GMG 2011 – Madrid)
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Margherita Hack, un ateismo poco scientifico
Margherita Hack, un ateismo poco scientifico
Alle prime ore dell’alba di ieri è morta a 91 anni l’astrofisica Margherita Hack. Di lei sono maggiormente note le sue posizioni atee e liberiste in campo etico più che la sua attività scientifica. Partiamo da questo secondo aspetto. Fu una grande scienziata? Quando proposero la sua candidatura a senatrice della Repubblica con nomina presidenziale per i suoi meriti scientifici, lei stessa ammise: «È un onore, ma non credo di meritarlo, non ho scoperto nulla». Certo: fu docente universitario, membro di diversi enti di ricerca e direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Trieste, ma la Hack vantava un curriculum accademico dello spessore di tanti altri suoi colleghi. Anzi, più di una volta cadde in veri e propri strafalcioni.
L’astrofisico Piero Benvenuti, docente presso l’Università di Padova, staff member dell’Agenzia Spaziale Europea, sub-commissario dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Direttore dell’Osservatorio IUE, già responsabile scientifico Europeo del progetto “Hubble” e Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), un paio di anni fa – in un’intervista a Dire Donna - trovò non pochi errori nel libro divulgativo della Hack “Il mio infinito”: dal cosiddetto “paradosso di Olbers” al principio di indeterminazione. «Non è nuova nell’inventare spiegazioni “pseudoscientifiche” – commenta Benvenuti - in una trasmissione televisiva recente affermava che per deviare dal suo corso un asteroide sarebbe stato sufficiente farlo “attrarre” da una grossa astronave!». A dei bambini di una scuola l’astrofisica toscana disse che il Big Bang era stato come una “grande scorreggia dell’Universo“. Giorgio Israel, docente a La Sapienza di Roma, battezzò questa teoria come la “cosmopetologia di Margherita Hack”.
Come accennato, però la Hack era nota soprattutto per le sue posizioni atee. Iscritta al Partito Radicale Transanzionale, militante poi del Partito dei Comunisti italiani, nel 2011 prese la tessera del partito Democrazia Atea. E’ stata anche presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli Agnositici Razionalisti e si iscrisse all’Associazione Luca Coscioni. Un pedigree laicista di tutto rispetto. Una volta, invitata a parlare dall’Istituto religioso Euromediterraneo, ebbe a dire: “L’idea di Dio nasce per spiegare ciò che la scienza non sa spiegare. La scienza dice cosa sono le stelle, come funzionano. Sappiamo ricostruire un album di famiglia dell’universo ma non sappiamo dire perché sia fatto così. Ed ecco che è stato inventato Dio. Dio è comodo, troppo comodo. Ma è un’idea infantile, come Babbo Natale. […] Perché mai gli uomini, vedendo che continuano a scoprire cose nuove, una dopo l’altra, dovrebbero inventarsi un Dio Creatore di tutto, piuttosto che attendere fiduciosi i prossimi successi della Scienza?”.
Simili argomentazioni le troviamo anche nel libro di Stefano Sbalchiero “Scienza e spiritualità” dove la novantenne Hack rispose all’intervistatore che «quando non ci sono delle risposte le persone si rifugiano in Dio, trovando tutte le spiegazioni che fanno al caso loro. […] La religione, e il Dio delle grandi religioni, mi sembrano una scorciatoia per superare la fatica del pensare con la propria testa e con una libertà maggiore». La scienza è un «allenamento della mente, a capire, a porsi domande, a cercare risposte, invece di accettare verità assolute e dogmatiche».
Una posizione apodittica, quella della scienziata toscana, perché le prove razionali – “scientifiche” per dirla alla Hack – dell’esistenza di Dio esistono, come ha dimostrato tra gli altri Tommaso D’Aquino, invece le prove che qualcosa non esiste – in questo caso Dio – sono impossibile da produrre. Ed infatti lei stessa lo ammise una volta: «tanto il credente che il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio, si tratta in ambedue i casi di fede, di risposta a bisogni personali diversi».
Ed infatti Margherità Hack seguiva ciecamente il credo scientista che vede nel creato stesso la divinità. Commentando su Repubblica la scoperta del bosone di Higgs così infatti si espresse: «io come atea vedo nella “Particella di Dio” un fenomeno che mi ha creata. Io la particella di Dio la chiamerei addirittura Dio. Se la materia è tutto ciò che esiste e il bosone di Higgs è quello che spiega come le particelle acquistano massa…eh, allora allora vuol dire che il bosone di Higgs è Dio». Uno scientismo ovviamente nichilista incapace di trovare la causa prima di tutto l’esistente come ebbe a scrivere nel suo “Il perché non lo so. Autobiografia in parole e immagini”, uscito proprio quest’anno. Scrisse non solo di stelle ma anche di animali (era convinta vegetariana): “I gatti della mia vita”, “Nove vite come i gatti”, “Perché sono vegetariana” dove l’atea Hack, facendo un’eccezione, incensava la religione induista perché benevola verso gli animali. E poi discettò anche di religione: “Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete” e “Libera scienza in libero stato”.
In campo etico era a favore di aborto, eutanasia (redasse un testamento biologico), fecondazione artificiale, sperimentazione sugli embrioni umani (ma contraria alla sperimentazione animale) perché “l’embrione è solo una cellula” e omosessualità. In relazione a quest’ultimo tema nel 2010 fu premiata a Torre del Lago Puccini come “Personaggio gay dell’anno” e in quell’occasione dichiarò in merito al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali: “Noi siamo un paese arretrato, che non sa cos'è il rispetto della libertà. Il Vaticano è certamente un deterrente che influenza la classe politica, ma la politica non è libera e non ha il coraggio di reagire. E se non reagisce questo significa che è più bacchettona della Chiesa e non sa cos'è il rispetto della libertà altrui”. In una puntata di qualche mese fa di Porta a Porta dedicata alle cellule staminali, la Hack attaccò duramente i comitati etici degli ospedali e dei centri di ricerca affermando che in campo scientifico conta l’utile e non l’etica.
La vicenda mediatica della Hack è comunque paradigmatica di una certa strategia del fronte laicista e pro-choice. Si prende un esperto in un settore scientifico e lo si fa parlare di tutto, sicuri che la qualifica di “scienziato” lo accrediterà alle grandi masse come “persona infallibile”. Il camice bianco o la provetta in mano è prova certa dell’esattezza dell’affermazioni dello scienziato anche in campi a lui sconosciuti. Che si parli di stelle o di ovociti è la stessa cosa: la Hack non poteva sbagliare. E’ dunque un’operazione che vede l’estensione indebita di una competenza scientifica in ambiti dove non sussiste questa competenza. Al presentatore Fabio Volo in una chiacchierata televisiva di un annetto fa che era finita sul tema della morte disse: “La materia servirà a qualcos'altro, posso diventare un cane, un gatto, un sasso”. Il credente sa che ora la scienziata fiorentina ha dovuto rivedere perlomeno questa sua ultima teoria. Che a lei non manchino dunque le sue preghiere.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-margherita-hackun-ateismopoco-scientifico-6784.htm
La seconda precisazione: non basta una laurea in astrofisica per essere un grande astrofisico. Come non basta laurearsi in filosofia per poter sedere accanto a Socrate o a san Tommaso.
La terza: è stata la stessa Hack, in varie occasioni, ad aver sostenuto con umiltà di non essere quel mostro della scienza che qualcuno, strumentalmente, vuole far credere. Se per esempio confrontiamo il suo curriculum con quello dell’unico scienziato credente che accedeva, ogni tanto, alla tv pubblica, Antonino Zichichi, vediamo molto bene che non c’è partita. La stessa Hack, dicevo, lo ha dichiarato candidamente. Quando il noto giornalista ateo, del tutto estraneo al mondo scientifico, Paolo Flores d’Arcais, propose, con discreto seguito, la candidatura della Hack a palazzo Madama con nomina presidenziale, lei stessa dichiarò: “E’ un onore, ma non credo di meritarlo, non ho scoperto nulla…”. Così è, in effetti. La Hack è una brava divulgatrice, sicuramente ha meriti scientifici di qualche genere, ma la sua fama è legata più che altro, come si è detto, alle sue dichiarazioni in campo etico, alla sua militanza comunista e alle sue frequenti apparizioni televisive (dovute al tradizionale predominio, nei media, di una certa sinistra radicale).
La attività politico-culturale di Margherita Hack è così sintetizzata su Wikipedia: “presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti; dal 2005 è iscritta all’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. In passato è stata iscritta al Partito Radicale Transnazionale. Si è candidata alle elezioni regionali del 2005, in Lombardia, nella lista del Partito dei Comunisti Italiani ottenendo 5.634 voti nella città di Milano. Si è schierata nuovamente nelle elezioni politiche del 2006 con il Partito dei Comunisti Italiani… La Hack ritiene l’eutanasia un diritto, un modo per sollevare dalla pena un uomo che soffre. Nel 2011 sottoscrive il proprio testamento biologico..”.
Fatte queste dovute premesse, esordisco da un articolo che la Hack scrisse su Social News del settembre 2009. In esso si faceva una durissima requisitoria contro la Chiesa cattolica, colpevole a suo dire, di aver sempre lottato con ottusa ferocia contro la scienza sperimentale. Leggendo queste righe, che non posso qui riportare per motivi di spazio, verrebbe da fare un’ultima premessa: aver studiato astrofisica non significa di per sé conoscere la storia e la filosofia. La Hack infatti fa delle affermazioni su Giordano Bruno che nessuno dei grandi studiosi laici del personaggio, dalla Yates a Firpo a Paolo Rossi, sottoscriverebbe mai. Poi si butta sul caso Galilei: la minestra buona per tutte le stagioni. Anche qui la sua conoscenza della cultura dell’epoca, e del dibattito in corso, è nulla. Ma pazienza. Infine arriva dove voleva arrivare. A sostenere che la Chiesa oggi, opponendosi alla ricerca, occisiva, sugli embrioni umani, ripeterebbe i mitici errori del passato. “la ricerca sulle staminali embrionali è essenziale perché la Scienza ha dimostrato che può permettere la guarigione di malattie fino ad oggi inguaribili. Frenarla per questioni religiose e ideologiche è un delitto…”. Fermiamoci un attimo: la scienza, scrive la Hack, “ha dimostrato”: se le parole hanno un significato ciò vorrebbe dire che oggi sono possibili svariate cure attraverso l’uso delle staminali embrionali. Invece non è affatto vero. Non esiste una sola cura del genere. Di più: sono almeno vent’anni anni che la Hack e/o altri atei come lei, magari favorevoli anche alla clonazione, vanno predicando che l’uccisione di embrioni umani porterebbe a benefici inenarrabili per l’umanità. A suo tempo il candidato americano J.Kerry promise che se lo avessero eletto, egli avrebbe finanziato la ricerca sulle staminali embrionali, garantendo la cura, solo negli Usa, di 100 milioni di malati! Non ci credette nessuno. Continuiamo, noi rozzi ed ottusi credenti, difensori dell’embrione, a cercare uno scienziato, dagli Usa alla Cina, che abbia ottenuto qualcosa con le staminali embrionali. Invano. A maggior ragione per il fatto che molti di quelli che sino a pochi anni fa ci credevano e ci lavoravano, hanno ormai abbandonato il campo, riconoscendo che ci sono vie ben più promettenti, ed eticamente senza conseguenze. Ma la Hack continuava la sua requisitoria: “l’embrione è solo una cellula”, di cui evidentemente si può fare ciò che si vuole. Peccato che sia una cellula con 46 cromosomi, cioè appartenete alla specie umana, e che ognuno di noi, quindi, sia stato null’altro che un embrione: però lasciato vivere. La definizione dell’embrione umano data dalla Hack potrebbe essere adattata così: perché non sperimentare sull’uomo? “Non è altro che un ammasso di cellule”. Intuiamo però, senza grandi studi, dove una simile posizione porterebbe e dove ha già, in qualche luogo e qualche tempo, portato.
Dall’articolo in questione, passo ad una delle ultime fatiche della Hack, “Perché sono vegetariana”. In questo breve lavoretto la Hack riassume fatti e idee fondamentali della sua vita. Prima di analizzarli vorrei però riflettere su due vicende: la nascita della Hack a Firenze, in via Ximenes, e il conferimento alla Hack, nel 1994, del premio scientifico (uno dei pochissimi da lei ottenuto) denominato “Targa Piazzi”. Ximenes e Piazzi: chi erano costoro? Leonardo Ximenes fu un sacerdote gesuita della Toscana del Settecento. Astronomo, “geografo imperiale” di Francesco Stefano, “matematico reale” dell’arciduca Pietro Leopoldo di Toscana, tra le altre cose fondò l’osservatorio astronomico di Firenze che ancora oggi porta il suo nome e fu impegnato per un trentennio (1755-1785) nei principali lavori idraulici e stradali del Granducato e di altri stati italiani. Inoltre lavorò con grande successo alla bonifica delle paludi maremmane, lottando contro la malaria e il paludismo. I suoi successori all’Osservatorio astronomico ximeniano di Firenze furono a lungo sacerdoti, per lo più scolopi, con grandi meriti in campo scientifico sino alla I metà del Novecento. E Piazzi? Giuseppe Piazzi (1746-1826) fu un sacerdote teatino, fondatore e direttore dei prestigiosi osservatori astronomici di Palermo e Napoli (Capodimonte). Nel 1801 inoltre scoprì il primo degli asteroidi, cui dette il nome di Cerere, assurgendo così a fama internazionale. Casi isolati di cattolici e di sacerdoti, amici dell’astronomia, più unici che rari?
Al contrario. Per rispetto della storia sarà bene ricordare che per un lungo periodo, circa sino al 1750, furono le cattedrali a fungere da embrionali osservatori astronomici e a fornire lo spazio per la costruzione di importanti meridiane, tra cui quella, celeberrima, di Bologna[1].
E proprio a Bologna, città dello Stato pontificio, nacque nel XVI secolo il primo osservatorio astronomico, “con il consenso ed il supporto finanziario della Santa Sede” e con il sostegno, protratto e rinnovato nel tempo, di altre autorità ecclesiastiche[2].
Tornando agli anni di Piazzi e Ximenes, fu l’abate Giuseppe Toaldo (1719-1797) l’autore del progetto di conversione della Torlonga di Padova nell’ Osservatorio Astronomico padovano, di cui dal 1806 sarà direttore l’abate Vincenzo Chiminello (l’Enciclopedia Treccani ricorda che quest’ultimo fu anche professore di astronomia e meteorologia nell’università della città e fu “tra i primi a eseguire e a registrare sistematiche osservazioni meteorologiche, riconobbe esservi due massimi e due minimi barometrici diurni”). Analogamente a Firenze, Padova, Palermo, Napoli, Roma (dotata di ben 3 osservatori) ecc. anche a Torino le origini delle locali ricerche astronomiche videro protagonista un sacerdote, che è stato anche il padre dell’elettricismo italiano ed un importante metereologo: il sacerdote scolopio Giovanni Battista Beccaria (1716-1781)…
Potrei continuare a lungo elencando per esempio i circa 40 gesuiti astronomi cui sono dedicati crateri lunari, oppure il fatto che gran parte della metereologia e della sismologia nacquero grazie a monaci e religiosi. Per brevità, però, basti ricordare alla Hack e ai suoi fans, troppo facilmente inclini allo sberleffo nei confronti dei credenti, che nella storia dell’astronomia i grandi nomi non sono quelli di atei (nessuno), ma quelli dell’ecclesiastico Niccolò Copernico; del cattolico Galilei; del fervente cristiano protestante Keplero; del fondatore della spettroscopia e pioniere dell’astrofisica moderna padre Angelo Secchi…per arrivare, in tempi più recenti, al sacerdote gesuita che per primo ipotizzò l’espansione delle galassie e il big bang, Georges Edouard Lemaître (1894-1966). Se invece vogliamo stare in Italia, in tempi più recenti, si possono ricordare il nome di don Giuseppe Tagliaferri, presidente della Società astronomica italiana e quello dei cattolici Livio Gratton, Piero Benvenuti, Marco Bersanelli…, nessuno dei quali inferiore, quanto a meriti, anzi!, alla più celebre Margherita. Livio Gratton, per esempio, fu astronomo triestino morto nel 1991, che diede contributi in vari campi, sino a divenire presidente della Società astronomica italiana e vicepresidente dell’Unione astronomica internazionale; Piero Benvenuti, vivente, è stato presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dal 2004 al 2007; nel giugno 2007 è stato nominato Consigliere di Amministrazione dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ed è membro della Pontificia Accademia delle Scienze; Bersanelli, infine, è un “ciellino” tra i responsabili del satellite Planck.
Dopo questa digressione storica torniamo al librino in questione. In esso la Hack sostiene, in coerenza con la dottrina teosofica ricevuta in eredità dai genitori (nella foto la fondatrice della Teosofia), e in accordo con le religioni orientali, di origine indiana, di cui si dichiara ammiratrice, il vegetarianesimo e l’animalismo. Il testo è dunque una descrizione minuziosa delle sofferenze degli animali sottoposti a macellazione, sperimentazione, vivisezione e quant’altro, intessuta di strali verso religione cattolica (non potevano mancare) e di professioni di fede materialista. Interessa qui riflettere almeno su due fatti. Il primo: l’esaltazione delle filosofie induiste, proposta ad ogni piè sospinto in alternativa al cristianesimo, occulta il fatto che nella storia della scienza le religioni orientali non solo non hanno dato alcun contributo, ma anzi hanno funto e fungono tutt’oggi di ostacolo a qualsiasi progresso scientifico. Mentre il continente in cui sono sorte le università, la scienza e la medicina è proprio quell’Europa, profondamente segnata dalla religione cristiana, di cui la Hack non sembra apprezzare la storia, specie quella passata. Il secondo: la concezione della Hack porta coerentemente ad annullare la specificità dell’uomo, ridotto ad un aggregato di materia senza alcuno scopo ultimo. Così, per riallacciarmi a quanto si diceva all’inizio, allorché si ricordava l’assoluto disprezzo della Hack per l’embrione umano, rimane una forte perplessità: come può la celebre opinionista (che ha fatto anche, tra le altre cose, l’astronoma), stracciarsi le vesti con tanto, encomiabile, passione, per la salvezza degli animali, senza mai spendere una parola che sia una contro la vivisezione e la macellazione degli embrioni e dei feti umani con l’aborto, la sperimentazione in laboratorio, la clonazione…? Può, certamente, perché anche la Hack appartiene a quella grande famiglia degli animalisti – che va dai verdi nazisti sino a Peter Singer, passando per quella bioeticista italiana che ha riproposto recentemente la liceità pagana dell’infanticidio-, che negando l’esistenza di Dio e dell’anima umana, finiscono poi per abbassare l’uomo sotto al livello dell’animale. Così, ancora una volta, diventa chiaro che senza Dio, anche l’uomo è destinato a perdere il suo valore e significato. E la creazione diventa, come ebbe a dire proprio la Hack, la grande “scoreggia del Big bang”. Ma non è scienza questa, è solo materialismo marxista sotto mentite spoglie. (parte di questo articolo è comparso su Il Timone)
Stanotte Margherita Hack è morta: non si può che pregare per lei, come per tutti coloro che lasciano questa vita terrena.
Però, dal momento che era un personaggio pubblico,
si può tornare sul suo ruolo di portavoce di quelle istanze ateistiche
di cui è stata paladina.
Inizio questa mio articolo un po’ polemico riguardo alle battaglie
culturali di Margherita Hack con una precisazione. La Hack viene spesso
presentata dai suoi fans come la “voce della scienza”. Detti fans
cercano di proporre questa equazione: Margherita Hack è una scienziata,
quindi, quando parla lei, parla la scienza. In altre parole: ciò che
dice lei è sempre vero, esatto come una formula matematica o come la
legge di gravità. L’equazione, falsa, funziona, presso il grande
pubblico, per un semplicissimo fatto: che una laurea in astrofisica fa
sempre la sua impressione, quantomeno perché è cosa rara. Eppure occorre
dire subito tre cose. La prima: la Hack è spesso al centro
dell’attenzione più che per i suoi meriti scientifici, per le sue
posizioni in campo etico, essendo lei sostenitrice del testamento
biologico, del matrimonio omosessuale e della liceità della ricerca
sulle staminali embrionali. In campo
etico, però, gli scienziati non godono di nessuno status privilegiato.
La storia è piena di illustri ricercatori che hanno servito il “razzismo
scientifico”, la costruzione di armi di distruzione di massa, gli
esperimenti nazisti e comunisti financo sull’uomo…La seconda precisazione: non basta una laurea in astrofisica per essere un grande astrofisico. Come non basta laurearsi in filosofia per poter sedere accanto a Socrate o a san Tommaso.
La terza: è stata la stessa Hack, in varie occasioni, ad aver sostenuto con umiltà di non essere quel mostro della scienza che qualcuno, strumentalmente, vuole far credere. Se per esempio confrontiamo il suo curriculum con quello dell’unico scienziato credente che accedeva, ogni tanto, alla tv pubblica, Antonino Zichichi, vediamo molto bene che non c’è partita. La stessa Hack, dicevo, lo ha dichiarato candidamente. Quando il noto giornalista ateo, del tutto estraneo al mondo scientifico, Paolo Flores d’Arcais, propose, con discreto seguito, la candidatura della Hack a palazzo Madama con nomina presidenziale, lei stessa dichiarò: “E’ un onore, ma non credo di meritarlo, non ho scoperto nulla…”. Così è, in effetti. La Hack è una brava divulgatrice, sicuramente ha meriti scientifici di qualche genere, ma la sua fama è legata più che altro, come si è detto, alle sue dichiarazioni in campo etico, alla sua militanza comunista e alle sue frequenti apparizioni televisive (dovute al tradizionale predominio, nei media, di una certa sinistra radicale).
La attività politico-culturale di Margherita Hack è così sintetizzata su Wikipedia: “presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti; dal 2005 è iscritta all’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. In passato è stata iscritta al Partito Radicale Transnazionale. Si è candidata alle elezioni regionali del 2005, in Lombardia, nella lista del Partito dei Comunisti Italiani ottenendo 5.634 voti nella città di Milano. Si è schierata nuovamente nelle elezioni politiche del 2006 con il Partito dei Comunisti Italiani… La Hack ritiene l’eutanasia un diritto, un modo per sollevare dalla pena un uomo che soffre. Nel 2011 sottoscrive il proprio testamento biologico..”.
Fatte queste dovute premesse, esordisco da un articolo che la Hack scrisse su Social News del settembre 2009. In esso si faceva una durissima requisitoria contro la Chiesa cattolica, colpevole a suo dire, di aver sempre lottato con ottusa ferocia contro la scienza sperimentale. Leggendo queste righe, che non posso qui riportare per motivi di spazio, verrebbe da fare un’ultima premessa: aver studiato astrofisica non significa di per sé conoscere la storia e la filosofia. La Hack infatti fa delle affermazioni su Giordano Bruno che nessuno dei grandi studiosi laici del personaggio, dalla Yates a Firpo a Paolo Rossi, sottoscriverebbe mai. Poi si butta sul caso Galilei: la minestra buona per tutte le stagioni. Anche qui la sua conoscenza della cultura dell’epoca, e del dibattito in corso, è nulla. Ma pazienza. Infine arriva dove voleva arrivare. A sostenere che la Chiesa oggi, opponendosi alla ricerca, occisiva, sugli embrioni umani, ripeterebbe i mitici errori del passato. “la ricerca sulle staminali embrionali è essenziale perché la Scienza ha dimostrato che può permettere la guarigione di malattie fino ad oggi inguaribili. Frenarla per questioni religiose e ideologiche è un delitto…”. Fermiamoci un attimo: la scienza, scrive la Hack, “ha dimostrato”: se le parole hanno un significato ciò vorrebbe dire che oggi sono possibili svariate cure attraverso l’uso delle staminali embrionali. Invece non è affatto vero. Non esiste una sola cura del genere. Di più: sono almeno vent’anni anni che la Hack e/o altri atei come lei, magari favorevoli anche alla clonazione, vanno predicando che l’uccisione di embrioni umani porterebbe a benefici inenarrabili per l’umanità. A suo tempo il candidato americano J.Kerry promise che se lo avessero eletto, egli avrebbe finanziato la ricerca sulle staminali embrionali, garantendo la cura, solo negli Usa, di 100 milioni di malati! Non ci credette nessuno. Continuiamo, noi rozzi ed ottusi credenti, difensori dell’embrione, a cercare uno scienziato, dagli Usa alla Cina, che abbia ottenuto qualcosa con le staminali embrionali. Invano. A maggior ragione per il fatto che molti di quelli che sino a pochi anni fa ci credevano e ci lavoravano, hanno ormai abbandonato il campo, riconoscendo che ci sono vie ben più promettenti, ed eticamente senza conseguenze. Ma la Hack continuava la sua requisitoria: “l’embrione è solo una cellula”, di cui evidentemente si può fare ciò che si vuole. Peccato che sia una cellula con 46 cromosomi, cioè appartenete alla specie umana, e che ognuno di noi, quindi, sia stato null’altro che un embrione: però lasciato vivere. La definizione dell’embrione umano data dalla Hack potrebbe essere adattata così: perché non sperimentare sull’uomo? “Non è altro che un ammasso di cellule”. Intuiamo però, senza grandi studi, dove una simile posizione porterebbe e dove ha già, in qualche luogo e qualche tempo, portato.
Dall’articolo in questione, passo ad una delle ultime fatiche della Hack, “Perché sono vegetariana”. In questo breve lavoretto la Hack riassume fatti e idee fondamentali della sua vita. Prima di analizzarli vorrei però riflettere su due vicende: la nascita della Hack a Firenze, in via Ximenes, e il conferimento alla Hack, nel 1994, del premio scientifico (uno dei pochissimi da lei ottenuto) denominato “Targa Piazzi”. Ximenes e Piazzi: chi erano costoro? Leonardo Ximenes fu un sacerdote gesuita della Toscana del Settecento. Astronomo, “geografo imperiale” di Francesco Stefano, “matematico reale” dell’arciduca Pietro Leopoldo di Toscana, tra le altre cose fondò l’osservatorio astronomico di Firenze che ancora oggi porta il suo nome e fu impegnato per un trentennio (1755-1785) nei principali lavori idraulici e stradali del Granducato e di altri stati italiani. Inoltre lavorò con grande successo alla bonifica delle paludi maremmane, lottando contro la malaria e il paludismo. I suoi successori all’Osservatorio astronomico ximeniano di Firenze furono a lungo sacerdoti, per lo più scolopi, con grandi meriti in campo scientifico sino alla I metà del Novecento. E Piazzi? Giuseppe Piazzi (1746-1826) fu un sacerdote teatino, fondatore e direttore dei prestigiosi osservatori astronomici di Palermo e Napoli (Capodimonte). Nel 1801 inoltre scoprì il primo degli asteroidi, cui dette il nome di Cerere, assurgendo così a fama internazionale. Casi isolati di cattolici e di sacerdoti, amici dell’astronomia, più unici che rari?
Al contrario. Per rispetto della storia sarà bene ricordare che per un lungo periodo, circa sino al 1750, furono le cattedrali a fungere da embrionali osservatori astronomici e a fornire lo spazio per la costruzione di importanti meridiane, tra cui quella, celeberrima, di Bologna[1].
E proprio a Bologna, città dello Stato pontificio, nacque nel XVI secolo il primo osservatorio astronomico, “con il consenso ed il supporto finanziario della Santa Sede” e con il sostegno, protratto e rinnovato nel tempo, di altre autorità ecclesiastiche[2].
Tornando agli anni di Piazzi e Ximenes, fu l’abate Giuseppe Toaldo (1719-1797) l’autore del progetto di conversione della Torlonga di Padova nell’ Osservatorio Astronomico padovano, di cui dal 1806 sarà direttore l’abate Vincenzo Chiminello (l’Enciclopedia Treccani ricorda che quest’ultimo fu anche professore di astronomia e meteorologia nell’università della città e fu “tra i primi a eseguire e a registrare sistematiche osservazioni meteorologiche, riconobbe esservi due massimi e due minimi barometrici diurni”). Analogamente a Firenze, Padova, Palermo, Napoli, Roma (dotata di ben 3 osservatori) ecc. anche a Torino le origini delle locali ricerche astronomiche videro protagonista un sacerdote, che è stato anche il padre dell’elettricismo italiano ed un importante metereologo: il sacerdote scolopio Giovanni Battista Beccaria (1716-1781)…
Potrei continuare a lungo elencando per esempio i circa 40 gesuiti astronomi cui sono dedicati crateri lunari, oppure il fatto che gran parte della metereologia e della sismologia nacquero grazie a monaci e religiosi. Per brevità, però, basti ricordare alla Hack e ai suoi fans, troppo facilmente inclini allo sberleffo nei confronti dei credenti, che nella storia dell’astronomia i grandi nomi non sono quelli di atei (nessuno), ma quelli dell’ecclesiastico Niccolò Copernico; del cattolico Galilei; del fervente cristiano protestante Keplero; del fondatore della spettroscopia e pioniere dell’astrofisica moderna padre Angelo Secchi…per arrivare, in tempi più recenti, al sacerdote gesuita che per primo ipotizzò l’espansione delle galassie e il big bang, Georges Edouard Lemaître (1894-1966). Se invece vogliamo stare in Italia, in tempi più recenti, si possono ricordare il nome di don Giuseppe Tagliaferri, presidente della Società astronomica italiana e quello dei cattolici Livio Gratton, Piero Benvenuti, Marco Bersanelli…, nessuno dei quali inferiore, quanto a meriti, anzi!, alla più celebre Margherita. Livio Gratton, per esempio, fu astronomo triestino morto nel 1991, che diede contributi in vari campi, sino a divenire presidente della Società astronomica italiana e vicepresidente dell’Unione astronomica internazionale; Piero Benvenuti, vivente, è stato presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dal 2004 al 2007; nel giugno 2007 è stato nominato Consigliere di Amministrazione dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ed è membro della Pontificia Accademia delle Scienze; Bersanelli, infine, è un “ciellino” tra i responsabili del satellite Planck.
Dopo questa digressione storica torniamo al librino in questione. In esso la Hack sostiene, in coerenza con la dottrina teosofica ricevuta in eredità dai genitori (nella foto la fondatrice della Teosofia), e in accordo con le religioni orientali, di origine indiana, di cui si dichiara ammiratrice, il vegetarianesimo e l’animalismo. Il testo è dunque una descrizione minuziosa delle sofferenze degli animali sottoposti a macellazione, sperimentazione, vivisezione e quant’altro, intessuta di strali verso religione cattolica (non potevano mancare) e di professioni di fede materialista. Interessa qui riflettere almeno su due fatti. Il primo: l’esaltazione delle filosofie induiste, proposta ad ogni piè sospinto in alternativa al cristianesimo, occulta il fatto che nella storia della scienza le religioni orientali non solo non hanno dato alcun contributo, ma anzi hanno funto e fungono tutt’oggi di ostacolo a qualsiasi progresso scientifico. Mentre il continente in cui sono sorte le università, la scienza e la medicina è proprio quell’Europa, profondamente segnata dalla religione cristiana, di cui la Hack non sembra apprezzare la storia, specie quella passata. Il secondo: la concezione della Hack porta coerentemente ad annullare la specificità dell’uomo, ridotto ad un aggregato di materia senza alcuno scopo ultimo. Così, per riallacciarmi a quanto si diceva all’inizio, allorché si ricordava l’assoluto disprezzo della Hack per l’embrione umano, rimane una forte perplessità: come può la celebre opinionista (che ha fatto anche, tra le altre cose, l’astronoma), stracciarsi le vesti con tanto, encomiabile, passione, per la salvezza degli animali, senza mai spendere una parola che sia una contro la vivisezione e la macellazione degli embrioni e dei feti umani con l’aborto, la sperimentazione in laboratorio, la clonazione…? Può, certamente, perché anche la Hack appartiene a quella grande famiglia degli animalisti – che va dai verdi nazisti sino a Peter Singer, passando per quella bioeticista italiana che ha riproposto recentemente la liceità pagana dell’infanticidio-, che negando l’esistenza di Dio e dell’anima umana, finiscono poi per abbassare l’uomo sotto al livello dell’animale. Così, ancora una volta, diventa chiaro che senza Dio, anche l’uomo è destinato a perdere il suo valore e significato. E la creazione diventa, come ebbe a dire proprio la Hack, la grande “scoreggia del Big bang”. Ma non è scienza questa, è solo materialismo marxista sotto mentite spoglie. (parte di questo articolo è comparso su Il Timone)
[1] http://www.disf.org/AltriTesti/Heilbron.asp.
[2]
“Non c’è da stupirsi, quindi, se il primo osservatorio italiano nasce
nel solco dell’antica tradizione astronomica bolognese. Ai primi del
XVIII secolo, il conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) aveva
incaricato Eustachio Manfredi (1674-1739) di erigere a sue spese una
specola astronomica nel suo palazzo, già sede di molteplici attività
scientifiche, grazie alle collezioni di strumenti di cui Marsili era in
possesso e che metteva a disposizione degli studiosi. La Specola di
Palazzo Marsili fu in attività fino al 1709, anno in cui i familiari di
Marsili si opposero alla cessione della parte del Palazzo dove erano
ubicati i vari laboratori che egli intendeva donare alla città di
Bologna.Marsili smantellò i vari laboratori, nell’intento di trasferire
gli strumenti in altra città, intento da cui le autorità bolognesi lo
fecero recedere, offrendo garanzie per la loro adeguata conservazione e
il loro regolare utilizzo attraverso l’allocazione di appropriate
risorse umane e finanziarie. Bologna tuttavia era una città dello Stato
Pontificio e, come tale, occorreva il consenso ed il supporto
finanziario della Santa Sede, che non mancò. Marsili seppe perorare la
causa presso Clemente XI, facendogli dono delle otto splendide tavole
dipinte da Donato Creti (1671-1749) raffiguranti le osservazioni
astronomiche dei vari corpi celesti, in cui erano riprodotti gli
strumenti originali della specola marsiliana. La nuova specola era parte
di un più ampio progetto, che era la fondazione dell’Istituto delle
Scienze di Bologna, in cui sarebbero confluiti i vari gabinetti
scientifici marsiliani; per questo progetto, il Papa concedette un primo
finanziamento di 2.400 scudi, cui seguirà nel 1720 un secondo
contributo di 15.000 scudi per completare i lavori nella sede di Palazzo
Poggi…” (http://www.disf.org/altriTesti/Chinnici.asp).
I successori di Clemente XI non furono da meno nel supportare il
progetto: Innocenzo XIII diede ordine che l’Osservatorio fosse ultimato
in tempo per essere visitato dai pellegrini dell’Anno Santo del 1725; in
effetti, esso iniziò a funzionare nel 1727, sotto la sempre vigile
guida di Manfredi, che ne aveva curato il trasferimento e la
costruzione. Clemente XI elargì un nuovo finanziamento per l’Istituto
delle Scienze nel 1738, grazie al quale Manfredi riuscì a rinnovare la
strumentazione. Non solo i Papi, ma anche diverse altre autorità
religiose contribuirono con donazioni, in termini di denaro o di
strumenti: tra questi, i cardinali Sebastiano Antonio Tanari e Giovanni
Antonio Davia, che fecero dono, rispettivamente, di un pregevole
cannocchiale dell’ottico Campani e di una serie di strumenti, tra cui un
orologio astronomico, un quadrante, un cannocchiale ed un telescopio
riflettore newtoniano. Bologna, pertanto, è un tipico caso in cui la
Chiesa — nelle sue varie personalità e/o autorità — ha contribuito con
dei mezzi finanziari allo sviluppo e all’impianto di un osservatorio
astronomico vero e proprio, dove svolgere ricerche in modo
istituzionale.
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2013/06/margherita-hack-un-caso-mediatico-non-scientifico/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=margherita-hack-un-caso-mediatico-non-scientifico
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2013/06/margherita-hack-un-caso-mediatico-non-scientifico/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=margherita-hack-un-caso-mediatico-non-scientifico
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