SCARANO AL CENTRO DI UNA GUERRA EREDITARIA? -
Monsignor Nunzio Scarano già nel 2002, alla morte del “patriarca” Antonio D'Amico, ammoniva: “Non litigate per l'eredità” - Ma quando i rami della famiglia si sono divisi, lui si è schierato con Paolo e Cesare - E il “timing” del rientro di capitali suscita un atroce sospetto...
Luca Piana e Nello Trocchia per "l'Espresso"
Sono passati quasi undici anni ma il ricordo di quell'intervento ai limiti della leggenda ancora non si è dissolto. Raccontano che monsignor Nunzio Scarano nei primi giorni dell'autunno 2002 partecipò alla messa di trigesimo per la scomparsa di Antonio d'Amico, il più importante armatore italiano di quegli anni.
SCARANO
Fra un ricordo dell'amico devoto e una parola di consolazione per chi piangeva il capace imprenditore, uomo di mondo e collezionista d'arte, amico personale del presidente Carlo Azeglio Ciampi, a molti non sfuggì l'invito che Scarano rivolse ai familiari: non litigate per l'eredità, mettetevi d'accordo.
NUNZIO SCARANO VESCOVO
Scarano è l'alto prelato finito in carcere venerdì 28 giugno a Roma, in uno scandalo che sta creando profondo imbarazzo in Vaticano. Le cronache di questi giorni suggeriscono che per il religioso, un pezzo grosso dell'Apsa, l'ufficio che si occupa di amministrare il patrimonio della Santa Sede, non dev'essere un'eccezione mischiare sacro e profano, come già gli capitò quella sera di undici anni fa.
«La cosa che gli manca di più è celebrare messa, impartire i sacramenti», hanno spiegato i suoi difensori al termine dell'interrogatorio di garanzia, nel quale si è difeso dall'accusa di aver organizzato un tentativo di rimpatrio illegale dalla Svizzera di 20 milioni di euro in contanti, parte di un tesoretto di 41 milioni che gli investigatori ipotizzano appartenga a Paolo e Cesare d'Amico, nipoti di Antonio e suoi successori alla guida della maggiore compagnia di navigazione italiana. «Quei soldi non sono nostri», hanno fatto sapere i due cugini, che a loro volta si dicono «esterrefatti» per il coinvolgimento in un'inchiesta che può causar loro un'accusa di evasione fiscale.
Per vedere chi racconta il vero e chi no, bisognerà attendere gli sviluppi delle indagini. Stando a quel che "l'Espresso" ha potuto ricostruire, è però certo che Scarano per la grande famiglia dei d'Amico non è uno sconosciuto. Anzi: "Monsignor 500 euro", come lo chiamavano a Salerno, la sua città d'origine, per la facilità con cui esibiva ricche donazioni e per l'abitudine di viaggiare a bordo di potenti automobili, era così a suo agio con gli affari di famiglia da poter spendere la sua parola anche nelle questioni più delicate.
PAOLO D AMICO
Per comprendere lo sviluppo dei fatti, occorre considerare che quello dei d'Amico è un grande e complicato clan, che dal punto di vista dei destini aziendali vive come spaccato in due da oltre sessant'anni. La fortuna di famiglia inizia a Salerno negli anni Trenta, quando il capostipite Massimino Ciro compra i primi bastimenti per importare legname dalla Russia e dai Balcani.
Nel 1952, però, tre dei sette figli maschi di Massimino - Ciro, Salvatore e Antonio - lasciano l'azienda paterna, la Fratelli d'Amico Armatori, per fondare una loro compagnia del tutto autonoma, la d'Amico Società di Navigazione. Con il passare del tempo è proprio questa seconda società ad affermarsi sempre più, diventando quel colosso che oggi può contare su una controllata lussemburghese quotata alla Borsa di Milano e un giro d'affari di oltre 700 milioni di euro. Nove volte i ricavi della ditta originaria, che fra alti e bassi continua a sopravvivere ancora oggi.
Come da costumi familiari, sono Paolo e Cesare - i due eredi maschi di Ciro e Salvatore - a guidare la nuova corazzata dei mari, muovendo ogni giorno decine di navi da Singapore al Canada, dagli Stati Uniti al Mediterraneo. Trasportano container, legnami, olio di palma, prodotti chimici e petrolio in ogni angolo del mondo. Hanno una rete di società con ramificazioni capillari, dall'Irlanda alla Liberia, da Montecarlo alla Russia. Possiedono quote in banche e finanziarie d'investimento gestite da banchieri di fama.
I due cugini procedono di pari passo, dividendosi i ruoli operativi senza mai mostrare in pubblico uno screzio. Cesare, 56 anni, viene descritto come più riservato, mentre Paolo, 58 anni, si mostra più esuberante. Seguendo le orme dello zio Antonio diventa presidente di Confitarma, la Confindustria degli armatori. In società con la moglie brasiliana Noemia produce vini pregiati in una grande tenuta sulle colline di Viterbo e investe 2 milioni di euro per dar vita a una società in Costa Rica, nata nel 2011 con lo scopo di costruire «unità immobiliari a uso residenziale di prestigio».
CESARE D AMICO
Dieci anni fa, tuttavia, gli equilibri che oggi vedono le famiglie di Paolo e Cesare dividersi le quote di controllo della d'Amico Navigazione si ritrovarono improvvisamente in pericolo per la scomparsa di Antonio, che non era sposato e non aveva eredi diretti. C'era la possibilità che le famiglie degli altri zii, quelli rimasti nella vecchia Fratelli D'Amico Armatori, chiedessero una parte di quel 20 per cento che Antonio possedeva nella compagnia più giovane e, già allora, più dinamica.
Per Paolo e Cesare sarebbe stato un rischio: nessuno dei due, all'epoca, aveva la maggioranza assoluta del capitale e l'ingresso di un terzo incomodo avrebbe potuto far traballare gli assetti della società.
È a questo punto che entra in gioco Scarano. Il religioso all'epoca ha quarant'anni e una vocazione piuttosto fresca, visto che ha avuto il tempo di lavorare come impiegato in una filiale della Banca d'America e d'Italia e, dicono, di rompere una promessa di matrimonio prima di prendere i voti.
Nato in una famiglia che abitava in un alloggio dell'istituto delle case popolari, è approdato nella cerchia dei d'Amico grazie alla moglie di Vittorio, uno dei quattro fratelli rimasti nella ditta paterna, che lo introduce nel giro del cardinale Renato Martino, per lungo tempo nunzio apostolico alle Nazioni Unite.
Scarano si mostra però intraprendente e supera il solco che divide in due i d'Amico, facendosi presentare anche ad Antonio, il più in vista tra i fratelli armatori, del quale riesce a conquistarsi la fiducia. Poi compie il salto dalle parrocchie di provincia a Roma, dove nel giro di poco tempo inizia a lavorare nelle finanze della Santa Sede.
CESARE D AMICO
«Frequentava il jet set, in Vaticano era dentro le lobby più influenti», raccontano a Salerno. E ricordano la sua partecipazione a un convegno di "Cattolici in movimento" dove, alla presenza di Roberto Speciale, prima generale delle Fiamme Gialle, poi deputato Pdl, esprime il suo verbo sulla cura delle anime: «A me non importa nulla dello scandalo Ruby ma delle vere tematiche che angosciano gli italiani, la disoccupazione, la droga, la fuga dei cervelli».
Nel 2002, quando i d'Amico affrontano la grana dell'eredità, Scarano si schiera subito con Paolo e Cesare, convinti di avere pieno diritto a subentrare allo zio Antonio nella proprietà delle quote della d'Amico Navigazione. Da allora i rapporti del prelato con l'altro ramo familiare si fanno gelidi. In un modo o nell'altro, però, alla fine la famiglia esce dall'impasse grazie a una laboriosa trattativa portata avanti dai rispettivi legali. Viene compilato un elenco delle proprietà da dividere, che comprende appartamenti, ville, quadri di autori come Balla, Corpora, Turcato.
Si parla di un'offerta dei due cugini per rilevare i diritti ereditari degli altri parenti. Chi accetta di vendere, in cambio dovrebbe firmare una liberatoria che escluda ogni futura rivendicazione su quello che non c'è nell'elenco, a cominciare dalle preziose azioni. Che cosa accada nei dettagli, e se tutti abbiano davvero sottoscritto la liberatoria, resta un segreto di famiglia. Paolo e Cesare ottengono però quello a cui mirano: la compagnia di navigazione rimane cosa loro.
PAOLO E NOEMIA DAMICO
Oggi, con le indagini in corso, i due cugini sostengono che i loro rapporti con Scarano «sono esclusivamente da ricondurre a iniziative di beneficenza e donazioni umanitarie, tra cui quelle per la realizzazione a Salerno di una casa per anziani», offerte che secondo Scarano avevano cadenza mensile. Interpellati da "l'Espresso", ribadiscono che Scarano «non si è mai occupato di questioni relative al gruppo aziendale».
Va ricordato che le inchieste sul prelato sono due. La prima è a Salerno, dove Scarano e Stefano Lori, un funzionario dell'Apsa che lavorava con il monsignore e che oggi è stato sospeso dal Vaticano, sono indagati dalla procura guidata da Franco Roberti. Questi i fatti.
Nel 2009 Scarano contatta 56 conoscenti, a cui versa 10 mila euro in contanti ciascuno, che gli vengono immediatamente restituiti sotto forma di assegni circolari. Gli stessi assegni vengono utilizzati poi per estinguere un mutuo di 560 mila euro sull'acquisto di una proprietà immobiliare. E nel vortice di denari che si muoveva sui conti gestiti da Scarano, compaiono anche le tracce di bonifici effettuati dai d'Amico.
LA GUARDIA DI FINANZA ACCOMPANGA MONSIGNOR SCARANO DOPO LARRESTO JPEG
La seconda indagine è a Roma, dove il prelato è accusato di aver tentato di far rientrare in Italia, con un volo privato organizzato nel luglio 2012 e l'aiuto di un agente dei servizi segreti, venti milioni di euro in contanti per la cui destinazione finale il monsignore consigliava Beirut. Quattrini che erano apparentemente nella disponibilità del broker Giovanni Carenzio. Ma che, stando a quanto dice Scarano in un'intercettazione in mano ai magistrati, verrebbero in realtà da «Cesare e Paolo».
Gli interrogativi a cui i magistrati dovranno dare risposta sono dunque numerosi. Che rapporti ci sono tra Carenzio e i molti D'Amico? Da dove arrivano quei 41 milioni depositati all'Ubs? E perché non sono stati fatti tornare attraverso uno dei vari scudi fiscali tremontiani? Una suggestione viene dalle date: il rientro viene architettato da Scarano dieci anni dopo la scomparsa di Antonio. Esattamente il tempo che ci vuole per far decadere ogni possibile azione di rivalsa sull'eredità. Una suggestione, appunto. Che, per quel che riguarda Paolo e Cesare, non ha motivo di esistere: «Con Scarano abbiamo fatto solo beneficenza».
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/il-monsignore-e-la-dinasty-degli-armatori-scarano-al-centro-di-una-guerra-ereditaria-59508.htm
CHI SARÀ IL GIOVANE VESCOVO SUDAMERICANO CHE SI VANTAVA TANTO DI POTER APRIRE UN CONTO ALLO IOR ANCHE AGLI ESTERNI ALLA SANTA SEDE?
Li apriva lui stesso e in seguito cointestandolo, lasciando alla persona esterna la possibilità di compiere movimentazioni come se fosse un prelato titolare del conto - E i commissari di Bergoglio controlleranno quanti conti ha aperto l’audace monsignore?... - -
DAGOREPORT
VATICANO MAGESVATICANO M
Chi sarà il giovane vescovo sudamericano che vive in Vaticano, assistente di un importante cardinale anch'esso sudamericano già prefetto di una congregazione e ora presidente emerito di una commissione pontificia, che si vantava tanto di aver collaudato il meccanismo per far aprire un conto allo IOR anche agli esterni alla Santa Sede, semplicemente aprendolo lui stesso e in seguito cointestandolo, lasciando quindi alla persona esterna la possibilità di compiere movimentazioni come se fosse un prelato titolare del conto? E i commissari di Bergoglio controlleranno quanti conti ha aperto l'audace monsignore? Ah, saperlo...
PAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIOJORGE BERGOGLIO
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