perché non si può tacere
Come accade spesso nelle tragedie, sono i particolari a dare l’idea della loro enormità, e il caso del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata non fa eccezione.
Il dettaglio è lì, verso il fondo del decreto della Commissione per gli Istituti di Vita Consacrata firmato dal segretario, il francescano Josè Rodriguez Carballo. Vi si dice: «Infine, spetterà ai Frati Francescani dell’Immacolata il rimborso delle spese sostenute da detto Commissario e dai collaboratori da lui eventualmente nominati, sia l’onorario per il loro servizio».
Proprio così, con uno sfregio che evoca l’uso dei regimi totalitari di addebitare ai familiari dei condannati il costo delle pallottole usate per l’esecuzione. L’immagine potrà anche apparire forte, ma è la portata clamorosa dell’evento a suggerirla.
In una sola mossa, non vengono esautorati solo il fondatore di un ordine fiorente e i vertici che lo assistono, ma anche il Motu proprio di Benedetto XVI che liberalizza la celebrazione della Messa in rito gregoriano, il Pontefice che lo ha emanato e, in definitiva, la Messa stessa. Perché, dopo il dettaglio delle spese a carico della vittima di un provvedimento iniquo, arriva l’affondo finale: «il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l’uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta».
Essendo l’unico ordine esplicito contenuto nel documento, è dunque evidente che questo è il problema: la Messa in rito antico. E a cosa conduca il terribile vizio di celebrare tale rito lo spiega il commissario, padre Fidenzio Volpi, nella sua lettera di presentazione composta dal mite saluto «Pace e Bene!», da una chilometrica citazione dell’attuale Pontefice e da una sintetica chiusa che esordisce con un minaccioso «Credo di non dover aggiungere nulla a un pensiero così chiaro e così pressante di Papa Francesco».
Secondo padre Volpi, il terribile vizio del rito antico porterebbe al reato di lesa «ecclesialità»: un concetto che vuol dire tutto e niente. Forse, per comprendere che cosa contenga questo termine, bisogna por mente a che cosa è avvenuto a Rio de Janeiro durante la Giornata mondiale delle gioventù, proprio mentre i Francescani dell’Immacolata venivano commissariati. Basti pensare, per fare un solo esempio di quella che i media hanno battezzato «la Woodstock della Chiesa», alla grottesca esibizione dei vescovi che ballano il Flashmob guidati da un Fiorello di quart’ordine: uno spettacolo che neanche il Lino Banfi e il Bombolo dei tempi d’oro avrebbero saputo mettere in scena.
Se questa è «ecclesialità», si comprende perché i Francescani dell’Immacolata la violino costantemente: portano il saio, fanno digiuni e penitenza, pregano, celebrano la Messa, praticano e insegnano una morale rigorosa, vanno in missione a portare Cristo prima dell’aspirina, non combattono l’Aids con i preservativi, hanno una dottrina mariana che poco piace ai fratelli separati di ogni ordine e grado. E poi sono poveri e umili con i fatti invece che con le parole.
Stante tutto ciò, la risolutezza disciplinare nei confronti di questo istituto lascia attoniti solo fino a un certo punto. Certo, stupisce una simile durezza nel contesto della Chiesa contemporanea.
Una Chiesa nella quale, una volta squillata la campanella dell’intervallo, è iniziata una ricreazione alla quale nessuno ha potuto o voluto mettere fine. Nelle diocesi e nelle congregazioni religiose sparse per il mondo accade di tutto: si insegnano dottrine non cattoliche, si esalta la teologia della liberazione, si sconvolgono le discipline e le regole di ordini millenari, si contesta l’autorità della Chiesa.
Ci sono intere “chiese nazionali” che firmano in massa appelli per l’abolizione del celibato, o per il sacerdozio femminile, chiese nelle quali il concubinato abituale dei parroci è diventato un fatto normale e tollerato dalla gerarchia. Una Chiesa nella quale solo i più sprovveduti possono esaltarsi per i tre milioni di partecipanti alla Giornata mondiale della gioventù, mentre in realtà la nave di Pietro procede nel mare in tempesta senza una meta precisa. E, come se non bastasse, sulla nave scarseggia l’equipaggio.
Mentre la Congregazione per gli Istituti religiosi usa questi metodi con i Francescani dell’Immacolata che hanno vocazioni copiose in tutti i continenti, in gran parte delle altre famiglie religiose si consuma una spaventosa crisi. Mentre a Roma si affannano a impedire a dei frati francescani di celebrare la Messa che ha fatto secoli di santi e di santità, carmelitani e domenicani, cistercensi e certosini entrano di diritto a far parte delle specie protette dal Wwf.
Ma, in questo panorama, per la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, il problema sono i Francescani dell’Immacolata che celebrano nelle due forme consentite dal Motu ProprioSummorum Pontificum. Con il risultato che il divieto di celebrare il rito antico stabilisce una disciplina sulla Messa che scavalca quanto contenuto nel documento di Benedetto XVI.
Evidentemente, il provvedimento è da inserire in un’azione anti-Messa antica a più ampio spettro contenuta nel brumoso concetto di «ecclesialità». Un disegno che non è disposto a riconoscere alla Messa in rito gregoriano la capacità di produrre nemmeno i frutti spirituali che l’estemporaneo magistero di Papa Francesco ha riconosciuto al ramadan musulmano.
Eppure, il campo liturgico è quello nel quale il laissez faire di Roma ha raggiunto le vette più vertiginose del tragicomico: preti che ballano e cantano i pezzi dei Ricchi e Poveri mentre celebrano un matrimonio, vescovi che in mondovisione si dimenano come in un villaggio Alpitour, prelati che celebrano il novus ordo facendo elevare pissidi e sacre specie a imbarazzate ragazze Gmg in pantaloncini corti, preti che accompagnano la consacrazione con meravigliose bolle di sapone… E il problema su cui scaricare la ferula disciplinare sarebbero i Francescani dell’Immacolata che celebrano la Messa antica.
Bisogna riconoscere che, purtroppo, c’è della logica in tutto questo.
Per concludere, ci sono le modalità processuali dell’inchiesta che lasciano perplessi. Roma è stata chiamata a intervenire da un gruppo di religiosi dissidenti dei Francescani dell’Immacolata. Gli accusati però non hanno potuto visionare le carte che contesterebbero loro di aver imboccato una deriva preconciliare. Quindi non hanno goduto di quell’elementare diritto di difesa che consiste nel conoscere in modo dettagliato gli addebiti e il capo di accusa. Inoltre, la Congregazione vaticana vuole impedire ai Francescani di porre ricorso, opponendo la diretta volontà del Papa come base del provvedimento. Insomma, sul piano formale la Chiesa della misericordia del postconcilio, quando vuole, sa rispolverare metodi da santa inquisizione.
Bisogna credere e sperare che i Francescani dell’Immacolata faranno appello in sede canonica e difenderanno con fermezza il loro buon diritto di sacerdoti della Chiesa cattolica di celebrare la Messa anche nel rito antico. Perché, se mai questi ottimi frati dovessero accettare il diktat, presto seguirebbero altre, più dure repressioni verso coloro che nel mondo celebrano e seguono la Messa di sempre.
L’esercizio iniquo del potere fonda la sua forza sul silenzio delle vittime e pretende, anzi, il loro consenso. Ma la storia insegna che hanno avuto la meglio coloro che davanti all’ingiustizia non hanno taciuto, perché impugnare legittimamente un atto iniquo significa scuotere fin nelle fondamenta il potere che lo ha posto in essere.
È venuto il tempo di parlare.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV557_Gnocchi_Palmaro_Perche_non_si_puo_tacere_sui_FFII.html
Nei tempi in cui parla tanto di san Francesco d’Assisi, vengono colpiti Francescani che vivono in maniera radicale la Regola
Lo scrittore inglese Chesterton spesso diceva che la chiave di lettura per capire la realtà sono i paradossi, non perché alla paradossalità corrisponda la logica, tutt’altro, bensì perché attraverso la dimensione paradossale diventa più facile evidenziare ciò che è nel senso delle cose: un po’ come si può capire l’ordinario attraverso lo straordinario e viceversa.
Ovviamente ci sono paradossi e paradossi. Ci sono paradossi che in un certo qual modo sigillano il senso della realtà per cui questa (la realtà), proprio attraverso il paradosso, diviene più comprensibile; ma ci sono paradossi che contraddicono la realtà in quanto tale, facendola diventare ancora più incomprensibile.
Diciamolo francamente, nei nostri tempi a dominare è proprio questo secondo tipo di paradosso. Ci si intenerisce per le foche in estinzione in Alaska e poi si afferma che il non riconoscimento pieno della possibilità di abortire è una grave offesa ai diritti fondamentali dell’uomo. Nelle scuole si fanno accanite campagne contro il fumo di sigarette (preciso di non essere un fumatore per cui non c’è nessun “conflitto d’interesse”), ultimamente lo si è proibito finanche nei cortili (quindi all’aperto), si tolgono, sempre nelle scuole, le bibite gasate e le brioscine dai distributori automatici perché prodotti indiziati di favorire l’obesità nei ragazzi… e poi si parla, sempre ai ragazzi, di uso terapeutico delle droghe leggere. E di paradossi-paradossi si potrebbe ancora continuare.
Diciamolo francamente, nei nostri tempi a dominare è proprio questo secondo tipo di paradosso. Ci si intenerisce per le foche in estinzione in Alaska e poi si afferma che il non riconoscimento pieno della possibilità di abortire è una grave offesa ai diritti fondamentali dell’uomo. Nelle scuole si fanno accanite campagne contro il fumo di sigarette (preciso di non essere un fumatore per cui non c’è nessun “conflitto d’interesse”), ultimamente lo si è proibito finanche nei cortili (quindi all’aperto), si tolgono, sempre nelle scuole, le bibite gasate e le brioscine dai distributori automatici perché prodotti indiziati di favorire l’obesità nei ragazzi… e poi si parla, sempre ai ragazzi, di uso terapeutico delle droghe leggere. E di paradossi-paradossi si potrebbe ancora continuare.
Dunque, siamo nei tempi del “chiodo solare”. Qualcuno – penso – si ricorderà quel famoso film di Totò nel deserto allorquando un suo compagno di sventura, al sole, iniziava a vaneggiare, mentre, all’ombra, rinsaviva. Insomma sembrano essere i tempi di trionfo della dissociazione.
Ne mancava un altro di paradosso, un altro che non sta facendo né farà mai il giro dei giornali: sotto un pontificato di un papa che si chiama Francesco (primo papa a chiamarsi così), sotto un pontificato di un papa che spesso esalta la figura del grande Santo di Assisi, sotto un pontificato di un papa che ha indicato e indica la povertà come elemento essenziale della vita cristiana… ad essere attaccato è proprio un ordine francescano. Attenzione, non un ordine francescano che vive riprendendo in maniera moderata la regola di san Francesco, bensì un ordine francescano che nacque agli inizi degli anni ’90 proprio vivere il francescanesimo nella maniera più radicale. È un paradosso.
Ovviamente i “problemi” che si addebitano ai Francescani dell’Immacolata (così si chiama l’Ordine in questione) non sono di questo tipo: la povertà, la radicalità, ecc., ma sono “problemi” che conseguono alla scelta della radicalità del francescanesimo.
I Francescani dell’Immacolata vengono accusati di non sentire “cum Ecclesia”. Il testo della lettera del Commissario nominato, il cappuccino padre Fidenzio Volpi, dice testualmente così: «l’ecclesialità è una dimensione costruttiva della vita consacrata, dimensione che deve essere costantemente ripresa e approfondita nella vita. La vostra vocazione è un carisma fondamentale per il cammino della Chiesa, e non è possibile che una consacrata e un consacrato non “sentano” con la Chiesa».
Dietro questo non sentire “cum Ecclesia” ci sarebbe l’uso dell’antica liturgia e certe posizioni di alcuni (sottolineo “alcuni”) membri in merito ad alcuni (sottolineo “alcuni”) passaggi del Concilio Vaticano II.
Calma & gesso e… ragioniamo. Iniziamo con la questione della liturgia antica. Io conosco bene i Francescani dell’Immacolata. Nessuno di loro si è mai azzardato a celebrare la Messa Tridentina prima del motu proprio “Summorum Pontificum” emanato da Benedetto XVI, né nessuno di loro già approfittò dell’allora indulto emanato dal beato Giovanni Paolo II, nessuno. Ma poi: non sono certo gli unici. Ci sono congregazioni come la Fraternità San Pietro, L’Istituto Gesù Sommo Sacerdote, e altri che utilizzano integralmente la liturgia antica senza alcuna accusa di non completa ecclesialità.
Passiamo alle questioni teologiche. Anche qui non se ne capisce il motivo. Non ho mai ascoltato nessun sacerdote o teologo dei Francescani dell’Immacolata rifiutare il Concilio Vaticano II, piuttosto – questo sì – di leggerlo sotto quella prospettiva di ermeneutica della continuità ampiamente caldeggiata e indicata da Benedetto XVI fin dall’inizio del suo pontificato (vedi discorso alla Curia romana del dicembre 2005). Qualcuno si è spinto a sottolinearne il carattere pastorale (ci sono tanti teologi di altissimo livello che ne parlano, primo fra tutti il decano della Lateranense monsignor Brunero Gherardini) o a discutere su alcune singole formulazioni che andrebbero chiarite (lo stesso Benedetto XVI fece capire che ciò sarebbe ampiamente legittimo allorquando si parlava di un possibile riconoscimento canonico della Fraternità Sacerdotale San Pio X).
Allora qual è il vero problema? A mio parere non ne è uno solo, ma due.
Il primo è umano, il secondo no: è innominabile.
Il primo è che i Francescani dell’Immacolata, così come anche altre realtà legate alla Tradizione (che non è una cattiva parola), offrono una formazione sacerdotale che nella Chiesa oggi non è più di moda. Il modello sacerdotale di riferimento, per loro, non è, per fare un esempio molto famoso, il don Gallo della situazione tutto concentrato nel seguire il mondo arrivando a gloriarsi di aver accompagnato alcune prostitute ad abortire (nessuno ha mai detto nulla a riguardo); né, per fare un esempio più alto, un don Filippo Di Giacomo, celebre vaticanista di Radio Uno nonché –dicono – celebre canonista, il quale, intervistato da Luca Telese sulla 7 a proposito della Comunione data dal cardinale Bagnasco al noto transessuale Luxuria in occasione dei funerali di don Gallo, ha detto chiaramente che anche lui avrebbe fatto lo stesso, che la Chiesa deve essere inclusiva e che l’importante è solo essere battezzati (alla faccia del grande canonista!). No, per i Francescani dell’Immacolata il modello di sacerdote è il Santo Curato d’Ars, è san Pio da Pietrelcina, tutto altare, confessionale e corona del Rosario per indicare ai fedeli la strada del Paradiso e non quella del mondo, del “politicamente corretto”, delle organizzazioni non governative e quant’altro …
E veniamo al secondo problema, quello non-umano. Prima ho citato san Pio da Pietrelcina. Ebbene, pochi sanno che di fatto l’Ordine dei Francescani dell’Immacolata è nato sulle ginocchia del Cappuccino Stigmatizzato. Il fondatore dei Francescani dell’Immacolata è padre Stefano Maria Manelli, nato da due famosi, nonché servi di Dio, figli spirituali di Padre Pio, Settimio e Licia Manelli (genitori di ben 21 figli!). Padre Stefano, all’età di cinque anni, ricevette la Prima Comunione da San Pio e alla sua scuola è cresciuto, alla sua scuola ha scoperto la vocazione e la sua missione di francescano mariano. Un sacerdote, padre Stefano, che ha suscitato tantissime vocazioni (preciso che tra i Francescani dell’Immacolata per il rigore di vita non basta la vocazione, occorre una vocazione nella vocazione), dicevo: padre Stefano ha suscitato tantissime vocazioni che riempiono case maschili e femminili in tutto il mondo.
Ma è mai possibile che non si capisce una cosa molto semplice? Mentre Dio è pieno di fantasia, basta vedere quanti santi e con quanti carismi è riuscito a suscitare e susciterà ancora nella storia, mentre per generare la bellezza occorre tanta creatività, per il male no: è sempre la stessa tecnica, calunniare i buoni. Il demonio, a differenza di Dio, è noioso, non ha fantasia, agisce sempre allo stesso modo. Basta che qualcuno gli rompa le uova nel paniere e zac… lo attacca con i soliti sistemi. La vita di tanti santi e di tante grandi congregazioni lo attestano; basta pensare ai vari sant’Ignazio di Loyola, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, san Pio da Pietrelcina… e la lista è lunghissima. Come a sant’Alfonso, anche a padre Stefano hanno tolto l’Ordine alla fine della vita.
Io mi onoro di conoscere padre Manelli e posso garantire che è un uomo di Dio, di preghiera e… di obbedienza. Un uomo che sta accettando tutto nella completa sottomissione alla Chiesa e al Santo Padre. Il suo maestro, san Pio da Pietrelcina, diceva che la Chiesa quando colpisce, colpisce sempre dolcemente: è come la dolce mano della mamma.
Padre Stefano, nella sua santità di vita, ne è convinto e su tale convinzione dona anche in questi giorni un esempio di martirio e fedeltà.
Fonte: www.ilgiudiziocattolico.com
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