Franco
Cardini è generalmente considerato un eroe della destra italiana. Nella solenne
tripartizione dell’umanità culturale italica (giovane promessa - venerato
maestro - solito stronzo) Cardini si dovrebbe ascrivere automaticamente alla
categoria «venerato maestro», anche se a pensarci bene non si capisce di che:
sedicente «tradizionalista», il docente universitario fiorentino non è nuovo a
posizioni aberranti, delle quali però mai nessuno gli ha chiesto di rendere
conto.
Un privilegio di non poco conto, l’impunità. Di certo non lo garantisce
l’inesistente mandarinato del regno culturale destro - che è parimenti
inesistente; lo può garantire, di solito, solo il favore della NATO del
politicamente corretto,Repubblica, Espresso, Feltrinelli,
etc. Si prenda il caso di Saviano, ritenuto bugiardo persino dai giudici,
considerato una sòla letteraria persino da Aldo Busi, eppure
ancora svettante lassù nell’empireo degli Dei Saputi, dei venerati maestri di
cartapesta che infestano le lettere del nostro disgraziato Paese. Dai media
debenedettiani, ma anche da quelli agnelliani, bancointesi o vescovili, il
nostro Cardini è leccato senza requie alcuna, al punto da poter scrivere un
libro sui martiri suicidi islamici con Gad Lerner, nel cui frusto salotto di
cazzeggio catodico de L’Infedele - ora finalmente chiuso - al
dotto Franco piaceva pontificare, impettito e protetto tra i dentoni sorridenti
e le erre mosce dell’amico Gad - quello che, Oriana Fallaci definiva come colui
«che cambia ogni poco gabbana, ed ora lecca i piedi a Mao, ora li lecca a
Pol Pot, ora a Khomeini. Sicché se capitasse in un convento di monache
rischierebbe di uscirne vestito da suora»[1].
Su questa teoria dei leccamenti, l’Oriana ci aveva preso in pieno. Ecco, pur
non essendo suoi sostenitori in tutto e per tutto, non possiamo non notare
come la Fallaci - a cui il Creatore ha sottratto la visione del teatrino
filomaomettano di Lampedusa - è stata un’anima vera di Firenze, una grande
fiorentina destinata, a differenza di Cardini, a lasciare un segno perpetuo,
nella città e nel mondo intero.
Recentemente molti sono rimasti colpiti da un ultimo,
controverso intervento del Cardini, che è parso più scatenato che mai: neanche
una settimana fa, il medievista toscano è uscito con un lungo panegirico di
Bergoglio e del suo discorso barcaiolo, condendolo con varie incredibili perle
che ci danno la possibilità di iniziare a comprendere la putredine dell’humus
da cui muove il barbuto barone accademico.
«Un Papa giustizialista, un vescovo socialista… dove
andremo a finire?» è il titolo della ricca tirata in questione, uscita sul
sito personale di Cardini e poi rimbalzata in altri angoli della rete. Si
tratta, agli occhi dello scrivente, di una interessante summa della nuova
idolatria papale, unita a cascami odorosamente ammuffiti dell’antico culturame
neofascista: è una idolatria papal-fascista, una fasciolatria papista, una fascio-papolatria.
Vogliamo qui dedicarci a vederne vari passaggi per capire
quali sono le radici culturali - tossiche, e talvolta non prive di risvolti
pornografici e criminali - del Cardini-pensiero, convinti che questo possa
essere di qualche utilità per capire la tragedia dell’ideologia neodestra, che
è una malattia mostruosa che ammorba il Paese. Essa, di fatto, con le sue
fumisterie neopagane o euro-statolatriche, ha bloccato per più di mezzo secolo
la creazione di una vero movimento volto a riportare in Italia la legge del Dio
vivente. Personalmente, prego perché la Nazione Italiana abbia a liberarsi dai
dandy d’accademia, dalle loro indicibili attrazioni per la materia marxista o
per la magia nera, dalla loro sterile inconcludenza, dal loro fallimento culturale,
spirituale e generazionale. Ricordate, fuori dai testi scientifici, una sola
opera degna di nota di Cardini? Un testo-manifesto che vi abbia elettrizzato
davvero? Un programma che abbia dato forza al Cattolicesimo nazionale? Una
campagna per i valori cristiani ideata da Cardini? Una qualche cosa per cui
abbia lottato? Un qualche segno del suo passaggio per la direzione della RAI?
Una battuta simpatica? Un’analisi approfondita? Un atto memorabile?
No, davvero, di intellettuali castrati - tutti abbondantemente
nutriti al sereno riparo dal mercato dalla grande mammella dell’istruzione
statale- ne abbiamo avuti già abbastanza.
Il futuro ha bisogno di ben altri personaggi, ognuno a suo
modo con il dito pronto a tirare sul grilletto della Storia: servono sacerdoti
consci di poter distribuire il miracolo dell’Eucarestia, servono ragazzi che
offrano davvero il proprio cuore all’Intronazione di Cristo, servono operai che
ridiano prosperità alle nostre genti, servono donne che facciano almeno 4 o 5
figli, servono organizzazioni che portino a marciare contro l’aborto almeno
40.000 persone, servono credenti di fede incrollabile - di ciascuno di questi
cristiani, ora più che mai necessari, con mia fortuna conosco personalmente più
di un esempio.
Non abbiamo bisogno di untuosi e vanesi baroni, ma di
Cristiani che facciano quello che hanno fatto sin dal primo momento: si diano a
Cristo usque ad effusionem sanguinis.
L’alba lampedusana del guénonismo abortista e mondialista
«Papa Francesco è arrivato a Lampedusa esattamente
ventisei mesi dopo quell’8 maggio del 2011, la data del tragico naufragio di un
barcone di disperati la maggior parte dei quali incontrò la morte appunto in
vista delle coste dell’isola considerata la Porta d’Europa da tanti poveri
migranti. In ricordo di quelle povere vittime della loro sfortuna e della
violenza e dell’egoismo altrui (si parla ormai di circa 20.000 vittime), il
primo gesto del pontefice giunto pellegrino e penitente a rendere omaggio agli
“Ultimi della terra”» pare di leggere un qualche ciclostilato di una ONLUS
di protezione degli immigrati, invece l’incipit dell’articolessa del sedicente
cattolico serve a farci capire dove si andrà a parare: il nuovo fariseismo
immigrazionista, un tempo appannaggio delle beghine sinistre e del loro rigido
snobismo da maestrine mondialiste (chessò, ad esempio la Boldrinmeier,
come con simpatia chiama la Presidente della Camera Dagospia ricordando
la passione degli italiani per l’arcigna maestra francofortese di Heidi, che un
po’ in effetti somiglierebbe anche al nostro Cardini) , ora invece in evidente
tentativo di sdoganamento anche presso il mondo cattolico.
L’esaltazione per il fatto raggiunge vette bibliche: «La
scena dell’8 luglio, in quest’angolo di onde e di roccia al centro del
Mediterraneo, somigliava alla perfezione a quella di circa duemila anni fa,
quando le folle sulle rive del Mare di Galilea videro scendere da una barca Uno
venuto per sfamarli, per guarirli, per confortarli». Ma pennellata dopo
pennellata, questo quadretto di meraviglia evangelica non tarda ad mostrare la
sua vera natura: «Dinanzi all’altare, durante la celebrazione della messa,
il Papa si è rivolto direttamente ai rifugiati, nella totalità o quasi
musulmani: ha ricordato che appunto con l’8 luglio è cominciato il mese del
Ramadan, ha salutato i fedeli del Corano e ha assicurato che la Chiesa segue la
loro preghiera delle prossime settimane. Tra gli astanti, sotto il sole,
moltissimi non avevano né mangiato né bevuto dall’alba: e non lo avrebbero
fatto fino al tramonto». Il tono del Cardini è effettivamente vibrante,
eccitato, gli sembra di essere stato lì tra i flutti e non aver mangiato
nulla nemmeno lui per tutte le ore di luce (invece con probabilità è stato
seduto sulla sua comoda poltrona con la pancia bella piena). Un grande spot
papale per il ramadan, ha pensato qualcuno: e come dargli torto; di
fatto nella mente del mondo secolare oramai il digiuno è una esclusiva estiva
dei musulmani, e i poveri cristiani che come il sottoscritto tentano di
osservare il digiuno del venerdì vengono apostrofati, dai non-credenti, come
cripto-musulmani («non mangi oggi? sei ancora in ramadan?»): anche in questo,
Bergoglio si è solo accodato umilmente al mondo che non sa neppure più riconoscere
i tratti della religione di Cristo. Ma non è quel che dice il Papa che ci
interessa qui, preme invece analizzare la sudata eccitazione del Cardini. È qui
che si innesta la prima, triste nervatura del fallimento ideologico cardiniano.
Perché, se non lo si è capito, Cardini dall’Islam è emozionato, infiammato, didefault:
«I musulmani interrogati dai giornalisti hanno tutti dichiarato di essere
felici e commossi della visita del Santo Padre, anche se qualcuno ha aggiunto
che – com’era del resto suo diritto – non avrebbe assistito alla messa. Ma quel
che non sapremo mai, e sarebbe la cosa più interessante da sapere, è quanti di
loro sono restati profondamente scossi dall’incontro con Papa Francesco:
resteranno fedeli al Profeta (non è la conversione il pegno di tutto ciò), ma
cominceranno a porsi dei problemi nuovi o a considerare sotto una luce nuova
problemi che credevano vecchi». Sono pagine strappalacrime, queste dei
bravi musulmani che ascoltano il Papa pur restando fedeli a Maometto:
pensateci, un’utopia win-win di gioioso incontro di religioni, di oikuméne etnica,
di «dialogo» e via aggiungendo paroloni e concetti ultra-sputtanati che
farebbero felici le professoresse occhiute che leggono Repubblica.
Ebbene, a loro, e a tutto il pubblico di sinceri democratici che vogliono
spellarsi le mani con i loro applausi mondialisti, diamo questa notizia:
Cardini non lo fa perché crede nel «dialogo» o in altre porcherie issate dalla
neoreligione globalista del politicamente corretto. Lo fa perché vittima di una
ideologia giovanile fallita che, nonostante l’età, non è riuscito a digerire,
assimilare. Una ideologia, cari repubblicoidi, che può decisamente definirsi
«neofascista».
È il guénonismo, la grande vulgata neodestra per la quale
esiste una unità segreta di tutte le religioni, il vero motore della
geremiade cardinesca. René Guénon, il pensatore della Tradizione (mi
raccomando, T maiuscola) di fatto dopo averle provate tutte (cattolicesimo,
vedantismo, massonerie varie, etc.) si convertì all’Islam, vedendovi una purezza
«tradizionale» che altrove il mondo moderno non offriva: in questo universo
corrotto, meglio musulmano che cristiano. Il capolavoro di Guénon fu di
riuscire a far passare quello che un tempo si chiamava «apostasia» per un atto
di invidiabile rigore cavalleresco, destinato a segnare l’ammirazione di
generazioni di aspiranti cavalieri della neodestra. Allo stesso modo, la vena
di apostasia di Cardini è rivendicata - certo con il supporto delle mirabolanti
avventure nautiche di Bergoglio - come un grande esempio di Fede: «oh Signore,
come sono buono, io che penso agli immigrati!» - voilà servito
il nuovo fariseismo. Il pensiero che vi sia un disegno globale fatto con i
miliardi sauditi (ed ora anche qatarioti) dietro la guerra immigratoria
condotta tramite i gommoni islamici (tocca citare ancora la controversa
scrittrice fiorentina scomparsa, del resto un suo trafiletto vale l’opera
omnia cardinica) non sfiora minimamente l’augusta mente del colto
barone, altrove incline a vedere i loschi traffici geopolitici religiosi degli
sgherri della CIA, che peraltro - ricordiamolo per inciso - sono da tantissimi
anni i grandi soci dei wahabiti di Riyadh, della famiglia Al Thani di Doha e
ora, di nuovo, anche di Al Qaeda in Siria e in Libia. Niente di tutto questo, macché.
I nostri fratelli musulmani sono l’emergenza umanitaria - cristiana! - vera, ci
dice Cardini: guardateli sbarcare belli pronti e sodi, cresciuti e vivaci; sono
belli, fieri, retti - immaginiamo la fantasia dello storico che si perde
compiaciuto dentro a visioni salgariane di feroci Saladini sandokaniani,
di Sinbad il marinaio in versione barcone di extracomunitari, delle Mille e una
notte che si producono nelle corti dello spaccio della suburbia milanese.
Chiaramente separato dalla realtà nella sua fantasia di missino fallito e dal
ruolo di satrapo d’Accademia con lauto emolumento incorporato, il Cardini di
altre emergenze della nostra povera umanità non si cura per niente - che si
ricordi, non mi sembra abbia partecipato alla Marcia per la Vita. I 6 milioni
di innocenti frullati nel ventre materno sono meno importanti degli immigrati
annegati, certo: i bambini morti sarebbero potuti divenire al massimo dei
flaccidi cristiani, mentre ogni barcone musulmano che sgancia il suo carico
umano in mare è una bella spruzzata di sangue maomettanamente Tradizionale (T
maiuscola) iniettato nel nostro paese decadente.
No, l’aborto, per Cardini, non è una priorità, in nessun
modo, anzi, al contrario, sarebbe un diritto da estendere chimicamente: in un
articolo del 2010 attacca l’«ondata di prevedibile e comprensibile
entusiasmo presso molti cattolici ed alcuni esponenti dell’autorità ecclesiale»
nei confronti dei governatori di Veneto e Piemonte Luca Zaia e Roberto Cota per
aver bloccato nelle loro regioni la pillola RU486[2].
Le lotte per il crocifisso nei luoghi pubblici portate avanti dalla Lega Nord «che
ha bisogno di valori forti da spendere demagogicamente è il “conflitto di
civiltà”», ci informa il saggio fiorentino, non vanno per niente
bene: «Si semina cattolicesimo antiabortista perché si vuol raccogliere
pseudocattolicesimo xenofobo (...) i cattolici non debbono
lasciarsi ingannare. La lotta contro l’aborto si vince convincendo le donne a
non abortire e creando istituzioni e strutture sociali che consentano a tutte
loro di mettere al mondo e di crescere in pace un figlio: non inventandosi “rimedi”
illegali». Spero che ogni lettore si possa rendere conto della gravità
oscena, criminale, di questa contorta teoria assassina, degna del più abbietto
dei pensatori stragisti. Sì all’aborto per dire sì all’immigrazione, magari
musulmana. Proprio così, avete capito bene: sì al pesticida umano RU486,
altrimenti non ci mandano più stranieri sui barconi - specialmente i
maomettani! - che ci servono per ricostruire una società Tradizionale
(maiuscola). Ci chiediamo se mai qualcuno al divo Cardini di queste frasi
oscene ha mai chiesto conto. Probabilmente no, di fatto è ancora lassù issato
sulla sua cattedra, gonfio ed impunito, che pontifica sul tramonto
dell’Occidente.
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L’oscura attrazione per gli omoni, da Mazzini a Perón
Il lettore
deve capire qual’è l’origine di Cardini, che pure ripete di essere «cattolico»,
al punto da sembrare una excusatio non petita. Il Cardini militò da
ragazzo nella Jeune Europe, movimento destroide paneuropeista che tanti ragazzi
attirava tra gli anni Sessanta e Settanta - in Italia si contarono, oltre a
quello di Cardini, i nomi dell’ora eurodeputato leghista Mario Borghezio,
dell’iniziatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, del vignettista de Il
Giornale Alfio Krancic[3].
All’iniziatore della Jeune Europe, Jean Thiriart (detto, per la professione che
svolgeva con grande talento, «l’occhialaio di Bruxelles») dell’Europa cristiana
non doveva importare proprio nulla, se aveva come programmatico riferimento nel
nome la Giovine Europa ottocentesca, ossia la creatura di uno dei più grandi
nemici che il Cristo ha avuto in terra europea e in ispecie italiana negli
ultimi due secoli: Giuseppe Mazzini, di cui l’occhialaio era un aperto
ammiratore. Il fulcro dell’azione per Thiriart non è una prospettiva di Trionfo
di Cristo e del suo Regno, ma un mito mondano di dominio politico, l’ «Europa
nazione di quattrocento milioni di uomini», come da titolo di un’opera
dell’illustre ottico belga.
Non per nulla, l’esperienza thirartiana fu pivotale nella
costruzione del GRECE, l’assembramento della destra neopagana parigina che ci
ha regalato da poco una sua ultima oscenità con il sacrilegio di Notre Dame, il
suicidio idiota di Dominique Venner.
L’idea di base di Thiriart è lo sganciamento dell’Europa
dagli USA e dal patto atlantico, cui doveva seguire un’alleanza con ogni sorta
di tiranno autoritario presente sul bicontinente, in ispecie l’infoibatore
yugoslavo Tito, il genocida cinese Mao Zedong, il vampiro sessuale romeno
Ceausecu, il militare egiziano Nasser e il poco fortunato satrapo di Tikrit
Saddam Hussein. Questa idea «fusionale», dove estremi destri e sinistri si
toccano nel sogno di una autocrazia antiborghese dura e pura, non è certo una novità,
e reca con sé il più naturale deitic neofascisti: lo smodato ed
incondizionato culto dell’uomo forte.
Cardini, nonostante l’età, questo non è riuscito a
metabolizzarlo; ecco che quindi il sempiterno e malcelato desiderio
dell’omone che lo domini fa capolino anche nella sua apologia del Bergoglio
lampedusano: «tutti quelli che l’8 luglio hanno seguito la “diretta” di RAI
1 che, all’arrivo del Papa, una voce scandiva da un altoparlante, in perfetto
italiano ma forse con una lontana inflessione iberica, lo slogan “Si sente, si
sente, il Papa è qui presente!”(...) lo stesso slogan con il
quale, nel 1974, la folla di Buenos Aires aveva accompagnato all’estrema dimora
un altro argentino d’Italia, l’oriundo veneto Juan Domingo Perón: Se siente, se
siente, Perón está presente!». Eccoci, il tirannone è servito. Nella fattispecie,
ecco la transustaziazione di Bergoglio nella mummia connazionale del Presidente
Perón[4].
A sentire il nome del Presidente dei descamisados, ogni cattolico
dovrebbe farsi il segno della croce, e recitare la preghiera a San Michele
Arcangelo. Chi oggi non sa come Perón fosse una delle più alte, aperte
espressioni della massoneria internazionale. Cardini sicuramente finge di
dimenticare, in questa sua agiografia del presidente argentino, un’altra scena
di grande calore epico: 20 giugno 1973, il ritorno di Perón a Buenos
Aires, la memorabile discesa dalle scalette di quell’aero dove aveva viaggiato
anche Isabelita e il cadavere di Evita trafugato dal cimitero di Milano. Un
momento leggendario, propiziato da poteri di forza occulta ed immane: tutti
sappiamo che su quell’aeroplano viaggiavano anche Licio Gelli e Giancarlo Elia
Valori, autentici pesi massimi della massoneria globale. Ricordiamo brevemente
anche chi fosse il suo segretario particolare, più tardi ministro per lo
stato sociale: Juan Lopez Rega. Detto el brujo, lo stregone, perché
totalmente ossessionato dalla pratica esoterica - lo confessa persino Elia Valori
- era massone e oscuro ideatore della famigerata Tripla A, lo squadrone della
morte incaricato di produrre la Strategia della Tensione in Argentina.
Massoneria, terrorismo, magia nera: questo stava dietro a Perón, una figura
fatta di ombre sanguinarie che ora viene impunemente associata al Vicario di
Cristo.
Ma che importa a Cardini? Nulla. A lui, alla sua oscura
voglia dell’uomo forte (che vi siano dei risvolti psico-sessuali, come
suggeriva qualche scalcagnato psicoanalista francofortese che si occupò della
psicologia dei fascismi?) non preme che avere una grande figura da incensare e
da riverire, non importa se cristiano o musulmano, se massone o comunista,
assassino o mestatore. Mussolini, Genghis Kahn, Mao, Giulio Cesare,
l’Imperatore Federico, Stalin, Carlo Magno, Sadat, Pol Pot, Alessandro Magno,
Perón: tutto fa brodo, basta gratificarsi della visione dell’omone che ti
domina nerborutamente. È il sandokanismo metapolitico, la superstoria da Nembo
Kid - l’oppio fantastico che brucia nei decenni i neuroni dei neodestri,
lasciandoli nella loro catatonica inanità, a fluttuare tra gli onanismi delle
loro sterili biblioteche.
Darei un consiglio a Cardini: visto che si tratta idolatria
- un peccato del decalogo, ma che ci frega in fondo, la Bibbia è un libro fra
tanti! - la prossima volta per i suoi eccitamenti faccia un esperimento, provi
ad usare un altro idolo, invero più riuscito di quello di Perón: la
moglie Evita. Non sappiamo però se, essendo femmina, la figura di Evita
soddisfi i bisogni oscuri dei neodestri, sulla cui finocchieria latente troppo
poco si è scritto.
Cronache della disperazione antiamericanista
Prese le difese del clandestino purché musulmano come
insegna Guénon, commosso l’animo per l’arrivo dell’uomo forte come da cultura
neofascista, a Cardini rimane un altro grande punto della sua fallita ideologia
thiriartiana di gioventù, lo sparo alzo zero sugli Stati Uniti d’America, vera
fonte di ogni male presente su questo piano dimensionale.
L’antiamericanismo di Cardini è estremamente
particolareggiato, indefesso, esasperato, disperato.
«Questo Papa che ha commissariato lo IOR, (...), tra
qualche settimana incontrerà i giovani nel suo continente latinoamericano: un
altro continente-martire, al pari dell’Africa. Un paese dove la Chiesa cattolica
è attualmente messa a dura prova dall’offensiva delle sètte finanziate dai
centri di propaganda statunitense: le stesse che si fanno finanziare dalla
United Fruits e dai gorillas protetti dalla CIA (un nome per tutti: Rios Montt
in Guatemala)». Segue elogio della teologia della liberazione.
È chiaro - e un po’ abuso - il gioco di Cardini: vuole
gettare tutta la destra cattolica conservatrice nel calderone dei neocon.
I cattolici che non la pensano come lui, insomma, sono stupide pedine della
CIA, irretite tra le maglie mefitiche dei neoconservatori, con le loro
ultraliberiste catastrofi belliche: «Le resistenze delle razze di vipere e
dei sepolcri imbiancati che vorrebbero una Chiesa «anticomunista» (e per i
quali il “comunismo” inizia subito, non appena si abbandonano i beati lidi del
liberismo sognato da personaggi come Von Hayeck e Novak) e magari antimusulmana».
Ora, certo, al di là di questo molto sospetto attacco ad una Chiesa
anticomunista, bisogna pur ammettere che c’è senz’altro del vero nell’influenza
di Langley sulla sfera religiosa mondiale (sull’infiltrazione CIA dell’«americanismo»
nella dottrina cattolica sta scrivendo molto il gruppo di E. Michael Jones,
mettendo in risalto il ruolo del gruppo Time-Life del sospetto agente CIA Henry
Luce), ma va anche ribadito forte e chiaro che di tutta quella che fu
l’offensiva del KGB sulla Chiesa (in ispecie, sul Concilio...) e sulle Americhe
(e quindi sulla teologia della liberazione) non si sa quasi nulla, se non le
varie rivelazioni di Ion Pacepa, antica superspia ceauseschiana: da lui abbiamo
saputo che, ad esempio, il KGB istituì a Praga la Christian Peace Conference, «il
cui scopo è diffondere la teologia della liberazione in America latina»[5].
Pacepa è al momento la punta di un iceberg storiografico
ancora inabissato, da cui emergono queste sue dichiarazioni e forse i teoremi
di Jean Madiran sull’accordo di Metz, la tregua supposta tra Papato e Unione
Sovietica: altro, dell’attività di propaganda KGB (cioè, ci hanno assicurato
alcuni dissidenti come Yuri Bezmenov, l’85% dell’impiego delle sue risorse)
relativamente alla Chiesa, proprio non ci è dato sapere. Sospettiamo che, anche
se qualcos’altro filtrasse, a Cardini (vecchio fan dell’URSS, come da pulsione
thiriartiana) poco potrebbe importare. Con probabilità a lui l’Unione Sovietica
piaceva, anche visceralmente: andò a starci per un po’, gli piace ricordare
quando andava alla messa ortodossa con i Komsomol, e nel 1996 curò per
l’editore di estrema sinistra Teti un volume tratto dalla Storia Universale
dell’Enciclopedia dell’Accademia delle Scienze dell’URSS. Il Corriere titolò
un articoletto sulla sua uscita: «il “fascista” Cardini: “Viva l’URSS”!»[6].
Così, senza tanti infingimenti.
Essere filosovietici (bada bene: non filorussi), non può che
portare alla necessaria conseguenza dell’antiamericanismo con la bava alla
bocca, come era quello delle Feste dell’Unità tosco-emiliane dei bei tempi
andati. Il «cattolico» Cardini somiglia insomma più ad un Peppone demoniaco
sotto steroidi preparati dal KGB che non a un parrocchiano di Don Camillo.
Cardini ignora (o finge di ignorare) che forse una delle
poche, grandi speranze per il mondo risiede nella rinascenza - che è sotto gli
occhi di tutti! - del cattolicesimo americano. La conferenza episcopale
statunitense è l’unica voce possibile contro il mostro Obama, le conversioni di
membri altolocati della società sono molte. Basta dare un’occhiata all’enorme
seminario che la Fraternità San Pio X sta costruendo in Virginia, per rendersi
conto che l’America si sta candidando ad essere la vera terra di
riprogrammazione di mondo cattolico ormai dissanguato dal Niente europeo.
Infine, una parola sullo IOR: le lamentationes su
questa banchetta che non ha nemmeno il giro d’affari di una cassa di risparmio
di provincia, ma tanto eccita i giornali, hanno davvero rotto - solo i babbei
possono credere a una qualche effettiva importanza della riorganizzazione dello
IOR, la cui «sporcizia», certo, vi sarà anche, ma è proprio tramite questa che
- teniamolo bene a mente ogni volta che ne parliamo - è stata vinta la
battaglia del secolo scorso, permettendo a Giovanni Paolo di assestare un colpo
letale al sovietismo.
Ci si chiede se in quel memorabile Natale 1991, quando al
Cremlino venne ammainata per sempre la bandiera rossa, il Cardini invece che
gioire e inneggiare a Gesù bambino e alla Madonna di Fatima, abbia versato
qualche lacrimuccia. L’impero del Male se ne andava, e con esso ogni possibile
masturbazione a base di nerboruti superuomini non-atlantisti. Orfani del fantasy totalitario:
ecco una definizione per la masnada dei tristi neodestri.
Ma non è solo la nostalgica passione per il sovietismo ad
eccitare l’intellettuale. Non solo l’armata rossa e il KGB, il nostro ama il
comunismo anche nella sua orrenda incarnazione sindacale italiana. Possiamo
spiegarci solo così il peana al vescovo di Nola Beniamino Depalma «il quale,
portando la sua solidarietà agli operai direttamente ai cancelli della FIAT di
Pomigliano (...) Non passa neppure lontanamente per la testa
dei dirigenti FIAT che quando ci sono degli operai che rischiano il posto di
lavoro, anche se sono un’infima minoranza, è preciso dovere – morale prima che
sindacale – degli altri, anche se il loro posto non è in discussione né in
pericolo (anzi, a fortiori in questo caso), il mobilitarsi mantenendo l’unità
per difendere il posto di tutti». Seguono righe di epopea sindacale come
neanche in un film di Ken Loach. È il comunismo d’accatto, la rabbia
scioperata, roba che puzzava già cento anni fa, ma che il destroide Cardini
ripesca come fosse una primizia appena colta nella maravigliosa profondità del
suo animo guerriero. I problemi economici del Paese, l’impoverimento dovuto
alla de-industrializzazione, l’assenza di una politica di potenza, di crescita
totale non lo tangono affatto: l’importante sono i lavoratori che perdono il
posto, devono lavorare anche se per pagare loro - che peraltro possono trovarsi
anche un altro lavoro come tutti, no? - deve magari andare in malora. Ma no,
figuriamoci: la colpa è del «padrone delle Ferriere», che con
probabilità in questo caso ha pure anche molte colpe (la multinazionale vampira
marchionno-agnellica sarebbe da statalizzare immantinente, sì) ma che Cardini,
in un delirio ottocentesco da socialismo utopista, accusa per la sua stessa
essenza di entità padronale. Un ragazzino di dodici anni che si iscrive al
partito di Vendola forse riuscirebbe a vedere la cosa con più realismo.
Anche qui, vien da chiedersi se siamo in presenza di una
persona che vive nel mondo reale o è assuefatto a quello dei soldatini e dei
treni elettrici con i quali, tra mille effetti sonori di spari e bombe prodotti
con la bocca, giuoca sommerso dai volumi sua ricca biblioteca. Immaginiamo che
sia con questo stato mentale di minorenne incapace di discernere il ludico dal
reale, che Cardini abbia dichiarato a Panorama lo scorso febbraio il suo amore
per Nichi Vendola.
Ma sul serio? Il neodestroide voterebbe Vendola? Se avete
letto un po’ di quanto scritto sopra, la cosa proprio non fa una grinza.
La gnosi cardiniana, da Adelphi al Forteto
Se il
lettore è colpito dalla strana ambivalenza del personaggio - sedicente
cattolico ma abortista da RU486, “tradizionalista” ma indulgente con la
massoneria, missino ma ammiratore dei Soviet, destroide ma bardo di imprese
alla CGIL - non si preoccupi, diamo qualche altro ragguaglio per capirci
qualcosa.
Cardini non ha la fama del simpaticone. Don Gianni Baget
Bozzo ricordava come Cardini in pubblico si dicesse grande amico dello
scrittore e teologo fiorentino Attilio Mordini, mentre in privato poi lo
disprezzava pesantemente. Il primo giro di amici di Cardini fu quello: Mordini,
Silvano Panunzio, Adolfo Oxilia - personaggi della Firenze post-fascista e
lapiriana del tempo, presso i quali il nostro cominciò giovanissimo ad
accreditarsi.
Poi, con gli anni, il Franco cresce e vola in cerca di nuovi
sbocchi, di nuovi lidi dove poter vedere apprezzata la sua sterminata cultura
medievistica. Così, il nostro riesce ad accreditarsi anche presso un certo giro
milanese, e comincia a frequentare ben altre parrocchie, giri intarsiati da
maggiori sciccoserie, amici più potenti ed oscuri del giro dei suoi padri
fiorentini. I nuovi amici milanesi sono più inseriti, più possenti, finanche
più fascinosi. Quando furono attaccati, lui riuscì quasi a difenderli.
L’episodio è rivelatore, vale la pena di raccontare.
All’inizio degli anni Novanta uno strano libro scuote il
mondo cattolico italiano, e non solo quello. Si tratta de Gli Adelphi
della dissoluzione. Un testo sconvolgente, più emozionante di un thriller,
ma al contempo fatto di persone reali, tangibili, viventi, e scritto con la
verve inarrivabile di quella che è forse la penna più ispirata d’Italia, il
leggendario Maurizio Blondet. Il contenuto, in sintesi, è potentemente attuale:
dietro alla casa editrice Adelphi si nasconderebbe un ineffabile società
esoterica che interesserebbe uno spezzone molto importante del mondo bancario
milanese. I libri degli Adelphi sarebbero dei vettori di una mentalità magica,
neognostica, che nei programmi di questi potenti signori servirebbe a
traghettare una cultura imbevuta di materialismo marxista in una sorta di
materialismo stregonesco, demoniaco: non v’è infatti testo pubblicato dalla
casa milanese dove non compaia, da qualche parte, uno stupro mistico, un
assassinio gratuito, un’atmosfera esoterica, l’evocazione di uno spirito.
Persino negli apparenti ed innocui libri di viaggio di Chatwin, uno scrittore
che si acquista prima di andare in vacanza, compaiono improvvisamente
riferimenti a sette che iniziano gli adepti facendogli uccidere il loro
migliore amico o a vecchi sudanesi che sanno come si evoca un jinn.
In questo incredibile saggio del 1994, Blondet scrive pagine
superlative, in cui dimostra come l’interesse di un simile progetto - qui come
in mille altri contesti, dalla guerra all’ecologia - sia rendere l’uomo una
risorsa «spendibile». L’uomo non è un bene irripetibile come insegna la Chiesa;
è un accidente in balìa della crudeltà degli dèi, come è stato per millenni
prima che arrivasse sulla Terra il Cristo. Si tratta in pratica, della
diffusione di una filosofia magica che prepara l’umanità al suo sfruttamento
finale (economico, organico, sessuale) e finanche al suo genocidio.
Sul libro presto cala una cappa di silenzio totale. Chi
decide di attaccarlo, lo fa senza nominare direttamente Blondet, come Umberto
Eco sul Corriere: la RAI, in una trasmissione di misteri di qualche
anno dopo, arriverà a nominare l’autore, ma rifiuterà dichiaratamente di fare
il nome del libro. Si racconta anche di come le librerie rifiutassero di
tenerlo in negozio: i rappresentanti dei libri Adelphi avrebbero ricevuto
l’ordine di non dare un singolo libro delle edizioni color pastello a quei
librai che avessero in casa il capolavoro blondetiano. Eh sì che non era
mancato un precedente inquietante. Nel maggio 1993 l’editore di Adelphi Roberto
Calasso va in RAI a notte fonda, e confida a Corrado Augias che la «via più
diretta per avvicinarsi al divino sarebbe lo stupro e l' esperienza dell'
orribile»[7].
Un deputato dell’MSI presenta una interrogazione parlamentare, ma i giornali
non si appassionano alla cosa. Eppure nel testo si fanno nomi e cognomi
piuttosto succosi: Roberto Calasso, Elémire Zolla, Massimo Cacciari, Enrico
Cuccia, Raffaele Mattioli, Franco Battiato....
Niente da fare, il libro praticamente sparisce, anche se nel
mondo cattolico (per lo meno, quello più combattivo) se lo leggono in gran
segreto proprio tutti.
Il sedicente cattolico Cardini che fa? Più che difendere la
Chiesa contro la possibilità di un simile nemico diabolico, si preoccupa di
difendere i nuovi amichetti, che peraltro a Milano - per portafoglio e per
contatti, nell’editoria e nel mondo dei miliardi bancari - contano parecchio..
Così, in un articolo dell’Avvenire del 14 dicembre 1994 (ora
raccolto nell’irrinunciabile volumePer essere Franco. Le rabbie di uno che
non sta bene a nessuno, ovviamente in copertina un primo piano pensoso
dell’autore) il Cardini dedica un capitolo a questo spiacevole evento. «la
mia transculturalità mi è stata di nuovo contestata dai casi della vita.
L’amico Maurizio Blondet con il suo saggio Gli Adelphi della dissoluzione mette
a nudo un’altra delle mie contraddizioni e minaccia di spedire di infilata una
parte di me, e non la peggiore, in rotta di collisione con altri amici che amo,
che stimo e che ammiro: gente come Massimo Cacciari, Roberto Calasso e Sergio
Quinzio - ma estranei non sono neppure Franco Battiato, Elémire Zolla, Pietro
Citati -, che il Blondet accusa in blocco (...) di collaborare
ad un progetto iniziatico all’insegna della dissoluzione. Un progetto gnostico,
radici del quale (...) sarebbero mie vecchie care e vecchie
conoscenze (care a me “cattolico”, che Dio mi perdoni...) quali Nietzsche e
Guénon»[8].
Insomma, vanno difesi i propri amori di gioventù hitleriana - il pensatore del
superuomo e quello della super-Tradizione maiuscola sono letture inevitabili
per un cattolico, giusto? - ma soprattutto vanno difesi gli amiconi del
giro dell’Adelphi, «la mia casa editrice prediletta».
Si capisce quindi che non si tratta di un discorso di
cavalleria. Cardini non riesce a non ammettere quale sia in realtà il suo
pensiero: «mi era successo allora - e mi risuccede oggi - di chiedermi che
cosa mai saremmo noi cattolici (a cominciare dal Vangelo di Giovanni e da
Agostino) senza la gnosi». Confesso di aver riletto più volte la frase per
vedere se avevamo inteso bene: in pratica, la Chiesa Cattolica sarebbe un
risultato della gnosi? Il tono lascia intendere che della gnosi, così come del
comunismo e del sindacalismo scioperato, della Giovane Europa e di Ceausescu,
il Cardini potrebbe avere una immensa nostalgia.
Di più, ne ha rispetto: è possibile, che come si narra per
gli iniziati adelphici, la gnosi la abbia anche «vista»? Orge, stupri sacrifici
umani: tutto quello che viene descritto da quella letteratura, esiste davvero.
Certo che esiste. Adelphi è del resto solo un laboratorio
per il ritorno della Gnosi pagana: alcuni uomini sono più che pronti a farla
rivivere nei propri spazi.
Prendiamo,
ad esempio, il Forteto. Una comune fondata in terra Toscana, da tale
Rodolfo Fiesoli, nei programmi era una sorta di piccola capitale del
donmilanismo: grandi e piccini, tutti insieme secondo degli ideali di comunità
cristiana. Nato come centro di recupero per minori sotto gli auspici di
magistrati e politici locali, il Forteto divenne rapidamente un lager sessuale
i cui episodi vanno oltre l’immaginazione più belluina: i minori venivano
stuprati, vessati, obbligati a commettere atti di zoofilia. Il Forteto era un
gulag dove l’incesto, la pedofilia, la zoogamia erano praticate con regolarità
e violenza. Il giornale La Repubblica riporta le parole del
guru Fiesoli, l’uomo a cui magistratura e coop mandavano in quantità fondi e
carne fresca
«Tutti sono omosessuali, le donne sono tutte “maiale e
puttane” e gli uomini devono stare con gli uomini. Questi, secondo le
testimonianze di alcuni ragazzi andati al Forteto, erano i princìpi di Rodolfo
Fiesoli, (...) “Tutti dobbiamo liberarci della nostra materialità,
questo è affetto puro, vero amore (...) Non essere timido, ti
tolgo tutta la merda che hai subìto, ti do il bene”. Frasi riferite da alcuni
dei giovani che Fiesoli, secondo le accuse, portava nella sua camera,
palpeggiava, baciava e induceva a rapporti sessuali. (...) Una
ragazza entrata in comunità nel 1977 (...) ha detto che le fu
imposto di non avere figli naturali, “perché farli era un atto egoistico”. E con
il marito non doveva nemmeno incrociare lo sguardo»[9].
Siamo nel piano del cosiddetto antinomismo: il divino
toccato violando le leggi naturali una per una, scatenando una sessualità
bestiale, lo stupro, evitando in ogni modo la procreazione (antico segno
distintivo della setta gnostica dei Catari), negando incredibilmente a marito e
moglie di avere relazioni - è il mondo al contrario, il mondo di Satana, a cui
gli adepti, appunto, recitano il Pater Noster detto al
contrario.
Hanno
notato Stefano Borselli e Pier Angelo Vassallo che nel caso del Forteto «la
corrispondenza con la dottrina gnostica è impressionante: le sette gnostiche
adottarono la sessualità aberrante come tecnica ascetica: attraverso l'unione
erotica si elimina la sofferenza e la finitezza. I soggetti si riassorbono in un
omogeneo universale e disintegrandosi perdono la loro individualità».
Arrestato dal magistrato Carlo Casini - lui, ora eurodeputato UDC e Presidente
del Movimento per la Vita - nel 1979 Fiesoli viene subito scarcerato, e il
giorno stesso gli viene affidato dal tribunale dei minori un bambino down. Il
presidente del tribunale, Giampaolo Meucci, grande amico di don Milani e
profondo ammiratore della Cina di Mao, non crede all’indagine di Casini e
ritiene il Forteto una comunità «accogliente e idonea». La realtà è invece che si
tratta di un Laogai pedofilo dove si racconta di «minori che spesso
divenivano o continuavano a essere prede (...) col consenso
non solo collettivo, ma anche dei genitori affidatari (...) [di]abusi
sessuali sui ragazzi da parte dei genitori affidatari, siano essi uomini o
donne, e di un atteggiamento compiacente nei confronti delle “strane”
attenzioni del Fiesoli su ragazzi»
Fiesoli
sarebbe poi stato condannato definitivamente nel 1985, «per diversi capi
d’imputazione fra cui corruzione di minorenne e sottrazione consensuale di
minore, questo “dopo aver scardinato, ricorrendo a forme di convincimento
ossessive, aggressive e umilianti, ogni preesistente valore e le figure
parentali, in modo da renderli del tutto dipendenti da loro, costretti ad
accettare e a praticare il regime di vita da loro imposto e caratterizzato da
promiscuità assoluta tra persone della stesso sesso, pratica
dell’omosessualità, messa a disposizione della cooperativa di ogni risorsa»[10].
Se pensate che tutto questo immondo ammasso di orrori possa
aver in qualche modo fermato negli anni l’attività del Forteto vi sbagliate:
l’ideologia è più forte della verità giudiziaria. Il progetto Forteto, le
magnifiche sorti progressive del cattocomunismo gnostico-pedofilo, mica possono
arrestare la propria marcia inarrestabile verso il bene assoluto.
Così, nel 2003, esce per i tipi dell’editore Il Mulino
(esatto, quello legato a Romano Prodi) il libro La Strada stretta.
Storia del Forteto, di Nicola Casanova, dottore di ricerca in filosofia e
giornalista pubblicista. Indovinate di chi è la presentazione? Sì,
fuochino, di un fiorentino. Sì, fuocherello, di un cattolico con qualche idee
un po’ eterodossa. Sì, fuoco, di uno con gli amichetti gnosticoni. State
pensando a Franco Cardini? Bravi.
Bingo: il «cattolico» Cardini, ha il suo nome associato ad
una pubblicazione della comune di pedofili zoofili stupratori, eredi materiali
e concreti del culto maligno della Gnosi[11].
Se siete senza parole perché state vomitando, sappiate che siete in buona
compagnia.
Gran finale: l’apostasia degli altri
È stupendamente sintetico e borioso il finale del
capolavoro cardiniano che abbiamo fin qui discusso. Il dotto fiorentino tuona
in un tonitruante crescendo rossiniano: «quanto a voi, cari Fratelli in
Cristo per i quali il nucleo del messaggio del Salvatore e della Sua Chiesa sta
nella messa in latino, nella lotta contro aborto, eutanasia e matrimonio gay ma
che poi ve ne fregate dell’inquinamento e dello sfruttamento del mondo, della
mercificazione della guerra e della violenza e perfino dell’ “infanticidio
differito” del quale si rendono responsabili le multinazionali che condannano
continenti interi alla fame o all’AIDS; a voi che considerate certe battaglie
solo “criptocomuniste”; quel che vi auguro, cari Fratelli in Cristo, – oh,
Signùr, Signùr, dove andremo a finire… - sono dieci, cento, mille Depalma, la
depalmizzazione dell’intero Sacro Collegio e di tutta la Santa Romana Chiesa.
Nella speranza che, seguendo il luminoso esempio di Magdi Allam, anche voi
abbandoniate questa Chiesa cattolica criptocomunista e filomusulmana».
Posso dire, innanzittutto, che, al di là del delirio
dell’infanticidio differito (abbiamo capito che Cardini preferisce
l’infanticidio tout court della RU486) e del ridicolo, demente
pistolotto dell’inquinamento (come un Celentano fuori tempo massimo - a quando
un piagnisteo sul buco dell’ozono e la foca monaca?), queste sono parole che
offendono.
Lo scrivente, come tanti altri, ama la messa in latino ma
per lo più va a quelle in italiano, lotta con ogni fibra del suo essere per
distruggere l’aborto considerandolo il massimo peccato possibile sulla Terra,
non tollera che altri idoli o dèi (Allah, l’Europa Nazione, la pace) siano
sovrapposti all’Unico Vero Dio trinitario, e pure non si entusiasma davanti
alle bolse ingenuità del cattocomunismo di ritorno, che sia fatto di vescovi in
fabbrica o dell’Africa che muore di AIDS. Sì, questa potrebbe essere, in unione
al credo niceno, un modo in cui potrei descrivere - in parte - il mio essere
cristiano. Il quadretto sarcastico tratteggiato da Cardini potrebbe perfino ben
raffigurarmi.
In pratica a me - a noi, perché mica sono solo - il Cardini
chiede di fare apostasia, di lasciare la Chiesa. Lo trovo inaccettabile, lo
trovo perfino risibile, perché la tirata di Cardini è con evidenza frutto
di un vizio cognitivo che rende conto sempre meglio della sua figura di vecchio
bambinone. Si tratta di un frusto meccanismo mentale, in linea con la
psicologia egoico-infantile da barone universitario, chiuso nella torre
d’avorio delle sue certezze: apostati sono sempre gli altri. In psicoanalisi,
questo meccanismo si chiama «proiezione», che è un meccanismo di difesa per il
quale si spostano nell’altro tratti negativi che invece sono propri del
proiettante. Il proverbio di riferimento è quello del bue che dice cornuto
all’asino (peraltro Cardini con esseri cornuti, a quanto sembra, ci ha davvero
a che fare).
Quindi, dal nostro povero piano di cattolici inferiori, di
cristiani incolti, di animule che dovrebbero fare apostasia, osiamo
riproiettare, e dire al Cardini questa strana verità: apostata è lui, e lo è da
sempre.
Lo è quando difende l’introduzione della RU486, lo è quando
fa la sua squallida apologia dell’Islam immigratorio, lo è quando si eccita al
pensiero di presidenti massoni e di stati sovietici, lo è quando si
associa agli empi di Adelphi, lo è quando fa lingua in bocca con i pedofili del
Forteto, lo è perché tutta la sua vita parla di un cristianesimo piegato alle
esigenze della sua fantasia di neofascista fallito, di un cattolicesimo
immaginato secondo suoi onanistici castelli nell’aria a base di Nembo Kid
guénoniani.
Ha stupito molti il fatto che Papa Francesco, di cui Cardini
vuole diventare tardivo e artificioso idolatra, in questi suoi pochi mesi di
pontificato, spesso abbia parlato del diavolo.
Cardini ci pensi un attimo - il diavolo di suo sta in quel
luogo particolare che si chiama Inferno (dove peraltro Dante infilava
Maometto). Esso - un tempo la Chiesa lo spiegava davvero bene - è la
destinazione finale degli eretici, degli ignavi, dei superbi, degli assassini.
Può averlo letto in mille libri, ma al momento attuale non
crediamo che lo possa sentire come vero: la possibilità del castigo non può
toccare un uomo capace di scrivere simili cose. Un uomo che vive di queste
posizioni ideologiche, prive di realtà, prive di misericordia, per quanto mi è
dato di capire, non è considerabile «credente». Un uomo che non difende gli
ultimi degli ultimi (come li chiamava Madre Teresa, gli innocenti indifesi nel
grembo materno), un uomo che non sente questo richiamo del sangue e preferisce
il plauso del mondo, non è un cristiano; forse non è neppure un uomo, è
solo un bambino viziato invecchiato.
A differenza di quanto fa lui, non chiedo quindi a Cardini
di fare apostasia, al contrario: gli chiedo di convertirsi e credere nel
Vangelo. Glielo domando per il suo bene. Sta scritto: «Vi mostrerò invece
chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare
nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui» (Luca, 12, 5).
A meno che egli non preferisca davvero la compagnia eterna
dei diavoli; le frequentazioni di negromanti e pedofili potrebbero lasciarlo
pensare, così come l’incontinente eccitazione per i suoi idoli giovanili e
senili.
Se così invece non fosse, se mi fossi sbagliato a scrivere
quanto sopra, urge intimare a questo bimbone vecchio, onde non sparga
ulteriormente i suoi errori per l’Italia, un concreto rimedio: il pannolone. È
l’ora.
[3] Dell’epopea
della Jeune Europe in Italia parla molto approfonditamente Giovanni Tarantino,Da
Giovane Europa ai Campi Hobbit 1966-1986 Vent’anni di esperienze movimentiste
al di là della destra e della sinistra, Controcorrente, Napoli 2011. Libro
che per l’appunto ha la prefazione di Cardini.
[4] La
peronizzazione del vivace Papa argentino era del resto inevitabile. Ci casca
subito anche Tornielli, che paragona il Papa al politico massone argentino per
l’«obbligo quasi liturgico» della siesta pomeridiana. «Tra la gente, lontano
dal potere, così il Papa riconquista i fedeli», La Stampa, 14 luglio 2013.
[5] È
tornato a parlarne in occasione dell’uscita di un nuovo libro di Pacepa Giulio
Meotti,«Disinformatia», Il
Foglio 6 luglio 2013.
[8] Franco
Cardini, Per essere Franco. Le rabbie di uno che non sta bene a nessuno,
Guaraldi, Firenze 2003; p.61-63.
[9] «Il
Forteto Parte Seconda. La Dottrina. E qualche aggiornamento con l’arrivo dei
bolognesi» Il Covile, dicembre 2012.
[10] «Abusi
e pedofilia: viaggio a Forteto, la comunità lager dei cattocomunisti»,
Libero quotidiano 21 gennaio 2013.
[11] Il
contenuto del libro dedicato dal Mulino al Forteto è sintetizzato recentemente
da i compilatori di una lista di comunità di accoglienza Carla Chiappini e
Brunello Brunocore: «“strada stretta” è quella percorsa dalla quarantina di
ragazzi toscani che nel 1977 fondarono, con scarsissimi mezzi, una cooperativa
agricola diventata oggi fra le più importanti aziende private del Mugello.
Un'azienda di spicco nella produzione di pecorino toscano e carne chianina, ma
i cui soci hanno espresso sin dai primi anni una vocazione solidaristica,
accogliendo molti bambini, adolescenti ed adulti vittime di violenze e
abbandono. Il libro, presentato dallo storico fiorentino Franco Cardini, è suddiviso
in tre parti: la prima racconta la storia del Forteto dalla prospettiva di
Rodolfo Fiesoli, il suo inquieto patriarca. La seconda parte spiega le
originali soluzioni adottate fra le oltre venti famiglie che oggi vivono presso
la cooperativa, caratterizzate da fitte relazioni affettive, e sulla cui base è
stato possibile recuperare situazioni umane anche estremamente degradate. Due
storie emblematiche per la terza parte: quella di un ex-violinista e di una
bambina difficile, che hanno trovato al Forteto un terreno comune di
realizzazione personale. Nell'appendice di Alessandro Simoni viene ricostruita
e valutata la lunga vicenda giudiziaria che riguardò il Forteto nel corso degli
anni Ottanta». Carla Chiappini e Brunello Brunocore, Accoglienza
e sobrietà. Una ricerca sulle comunità invisibili, p.8.
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