ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 24 luglio 2013

Papa Francesco: primavera della Chiesa o abbaglio per cambio di stile?
Polvere negli occhi
di Olivier Bobineau*, sociologo
Sia che diminuisca la pompa pontificia, che ne semplifichi la gestualità, che desideri riformare la
Curia, papa Francesco si limita a tagliare del legno morto. Il tronco sarà sempre lo stesso: il
principio gerarchico pontificio. Oggi, la Chiesa è in crisi innanzitutto perché quel principio non è
adatto alle società moderne liberal.

Nel 1209, papa Innocenzo III diceva a Francesco d'Assisi: “Puoi cambiare tutto, salvo proporre di
modificare la struttura gerarchica della Chiesa e il posto delle donne” (1). Padre Congar constata
che la Chiesa è, nella sua costituzione, essenzialmente gerarchica. Il che significa che il papa,
vicario di Dio, è a capo, lo voglia o no, di un sistema politico e pastorale di cui detiene da solo il
potere supremo.
Papa Francesco può voler riformare e aprire la Chiesa alla modernità. Ma non può arrivare fino alla
uguaglianza tra preti e laici e, tra questi ultimi, tra uomini e donne. Cambiare questo significherebbe
rimettere in discussione 1500 anni di tradizione. La Chiesa cattolica romana non sarebbe più
romana, diventando una Chiesa protestante, ortodossa o cattolica, ma nel senso greco del termine.
Aver nominato un gruppo di cardinali che lo aiuteranno a ripensare la Curia, è solo polvere negli
occhi. Perché l'obiettivo è rendere ancora più efficace il principio gerarchico pontificio. Si
smusseranno gli angoli, si olierà la macchina perché funzioni meglio. La futura riforma, e la
collegialità introdotta, legittimeranno ancor di più il principio, per salvaguardarlo.
Giovanni XXIII, grande riformista, aveva voluto aprire la Chiesa su due punti: la gerarchia clerolaici, e il riconoscimento dei diritti delle donne. Il primo punto non ha avuto un esito positivo. Il
Vaticano II è chiaro: “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico...
differiscano essenzialmente e non solo di grado...” (Lumen Gentium, 10). E con Humanae Vitae
(1968) e la rinnovata proibizione della contraccezione chimica, Paolo VI ha rifiutato di riconoscere
alle donne la possibilità di realizzarsi diversamente che come riproduttrici.
Non penso che papa Francesco, per quanto gesuita, possa far meglio del santo d'Assisi o di
Giovanni XXIII. Non può segare il ramo su cui è seduto. Non aprirà una falla nella sua barca. Sulla
struttura gerarchica, così come sul posto delle donne, non ci possiamo aspettare nulla dal nuovo
papa.
Atti più che dottrine 
di Nicole Lemaître**, storica
Dal Medio Evo, il papa è stato un sovrano, un mediatore con il cielo terribile del Giudizio.
L'evoluzione verso l'assolutismo per rispondere alle eresie ha rafforzato il suo potere personale,
anche se si riconosceva “servo dei servi di Dio”.
Dal Vaticano II, i papi sono sembrati più vicini e più semplici, con grande gioia dei fedeli ed ira
della Curia. Ma hanno comunque coltivato certe forme di maestà, mantenendo al contempo
un'eredità di bonomia e l'arbitraggio internazionale.
Questo papa, bisogna ammetterlo, ci scompiglia. Ma fino a dove arriverà? Non bisogna farsi
illusioni. Roma non cambierà, o per lo meno non così in fretta come si potrebbe credere. Ora, papa
Francesco, è tutt'altro che ingenuo. Per procedere, ha costruito alcuni concetti che ci paiono costruire il futuro.
Abbandonando la maestà, il papa abbandona secoli di assolutismo, sfruttando al contempo il suo
potere per far evolvere il cattolicesimo e la curia stessa. È proprio la prima volta che si può lodare
un potere personale!
Tre segnali ci sembrano interessanti: l'appello a tutti i fedeli ad andare alle periferie, ad assumersi le
loro responsabilità ed anche a correre dei rischi per farsi comprendere. Strappa così i cattolici dalla
contemplazione cupa della decomposizione del loro mondo, dalla nostalgia: fare della Chiesa un
mezzo e non un fine, ecco la cosa nuova. In fondo, non così nuova, poiché è stato così che nel XIII
secolo si è potuta integrare la novità di san Francesco: oggi il servizio dei poveri resta il miglior
denominatore comune dei cristiani.
Questo papa crede al principio di sussidiarietà: per la prima volta, invita i vescovi italiani ad
eleggere il loro presidente. Il cattolicesimo futuro è in cammino in questa volontà di
decentralizzazione. Infatti è localmente che si risolveranno le temibili sfide dell'integrazione dei
laici e delle donne nei processi decisionali.
Ecco un papa che crede più agli atti che alle dottrine. Ha ragione, poiché, in questo mondo
pluralista, dissertare sul sesso degli angeli non ha più senso. La relazione personale con Cristo è la
sola regola, a tutti i livelli della gerarchia. La gerarchia deve diventare un servizio
dell'organizzazione e della comunione e non più una macchina per escludere.
Certo, c'è molta strada da fare, molte delusioni da superare (nessuna evoluzione in vista sulle
questioni che preoccupano, sia del matrimonio che della disciplina ministeriale e sacramentale...).
Ma, chissà? Tutto diventa possibile, poiché tutto diventa pensabile ed esprimibile.
Confidiamo, come questo papa, nello Spirito Santo che irrora tutti coloro che credono ancora che la
fede in Cristo è possibile.
*Olivier Bobineau, sociologo, ultimo libro pubblicato: L'empire des papes, ed. CNRS, 2013
** Nicole Lemaître, storica, professoressa emerita di storia moderna (Paris 1 - PanthéonSorbonne), specialista della prima modernità in Europa, del mondo rurale e delle religioni. Ha codiretto l'Histoire du christianisme.Pour mieux comprendre notre temps, ed. Seuil, 2007.
(1) André Vauchez, François d'Assise, ed. Fayard, 2009.

di Olivier Bobineau e Nicole Lemaître
in “www.temoignagechretien.fr” del 22 luglio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201307/130723bobineaulemaitre.pdf

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