ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 28 luglio 2013

Unde salus?


di Francesco Colafemmina

C'è chi mi ha chiesto in questi giorni un parere sulla GMG di Rio - al di là del palco mostruoso di Guaratiba - manco fossi chissà quale analista di fatti cattolici... Ecco, pur consapevole della limitatezza del mio giudizio, lasciatemi dire qualcosa non sul viaggio del Papa, ma sull'evento in sé. 

L'evento GMG è uno stanco show rivolto ad adolescenti visti con lo sguardo di anziani uomini che cercano di compiacerli o attrarli nella loro sfera culturale e morale, attraverso un processo fortemente mimetico. Il risultato di questa mimesi, a lungo andare, è costituito da una cristallizzazione temporale e culturale del concetto di "adolescente", di "giovane". Intendo dire che la categoria "giovani" è una categoria in continuo mutamento e al suo interno enormemente frastagliata, dunque ridurla ad un'unica dimensione significa inevitabilmente falsificarla.

Il problema principale in questo caso è costituito dalla questione essenziale della nostra epoca. Il "rischio educativo" come lo definiva don Giussani. Che è poi il problema della relazione fra genitori e figli, dell'idea di futuro e società che vogliamo trasmettere ai nostri figli, del modello educativo di riferimento, fondato sull'autorità o sull'orizzontalità. Sul passato o sul presente o, ancora peggio, sul culto del futuro.

Questa GMG ha visto la presenza di un Papa che sembra aver studiato sui manuali più recenti di leadeship strategy, quelli che puntano sulla "horizontal leadership". Il Papa viaggia in Fiat Idea, è "horizontal", e non importa se sia circondato da 5000 militari che si occupano della sua sicurezza, se davanti e dietro la sua mini Fiat Idea ci siano decine di auto del corteo. Non ci si concentra sulle altre auto, ma sulla sua. E questo genera consenso, accresce la sua leadership. E' una sorta di Cameron cattolico. David Cameron, attuale premier del Regno Unito, colui che salì all'onore delle cronache nel 2006, quando era una giovane promessa dei conservatori britannici, perché andava al lavoro in bici. E nessuno guardava la limousine che lo seguiva con le sue scartoffie. Nessuno pensava che fosse sempre il giovane rampollo aristocratico che aveva studiato ad Eaton, tutti si concentravano sul suo essere "alla mano" perché viaggiava in bici. 
E ancora Bloomberg, l'attuale sindaco di New York, reso famoso dalla sua scelta di non abitare nella tradizionale dimora dei sindaci di New York, Gracie Manson, ma nella sua dimora privata. E per la sua volontà di recarsi al lavoro in metropolitana. Che umiltà! Naturalmente questo essere "alla mano" e "horizontal" fa dimenticare a molti che Bloomberg sia fra i dieci uomini più ricchi degli Stati Uniti.

Ma qual è il segreto della "horizontal leadership"? Sta tutto nel suo obiettivo strategico. Ridare "autorevolezza" e "fiducia" al leader e all'autorità che rappresenta. La Chiesa nutrita di "vertical leadership" sotto Benedetto ha perso credibilità, ha perso autorevolezza e fiducia. Ora serve la collegialità, serve l'orizzontalità di Francesco per recuperare questi fondamentali fattori. 

Ma siamo certi che l'"horizontal leadership" costituisca una strategia adeguata per una istituzione divina e non per una mera istituzione umana come la Chiesa? E specie per una istituzione fondata sulla fede in Gesù Cristo, sull'annuncio della salvezza per l'anima immortale, sulla vita eterna?

Vedremo i risultati di questa devolution della Chiesa di Francesco solo fra qualche mese o qualche anno. Intanto guardiamo alla questione educativa, alla strategia autorappresentativa della Chiesa (ossia dei Vescovi, delle Conferenze Episcopali, non semplicemente del vertice) presso il mondo "giovanile". Ebbene, qui l'orizzontalità è diventata da tempo verticalità al contrario. Per attrarre i giovani non si cerca più di avvicinarli senza rinunciare all'autorità, senza rinunciare alla dimensione dell'adulto portatore di una tradizione, di un passato vissuto concretamente nel presente, ma ci si fa adolescenti. E il risultato è una completa relativizzazione dei ruoli. Chi fa cosa? Chi impara da chi? 

Diceva don Giussani nell'introduzione al suo saggio sul rischio educativo: "Per educare occorre proporre adeguatamente il passato. Senza questa proposta del passato, della conoscenza del passato, della tradizione, il giovane cresce cervellotico o scettico. Se niente propone di privilegiare un’ipotesi di lavoro, il giovane se la inventa, in modo cervellotico, oppure diviene scettico, molto più comodamente, perché non fa neanche la fatica di essere coerente all’ipotesi che si è presa. In Realtà e giovinezza. La sfida ho scritto: «È la tradizione consapevolmente abbracciata che offre una totalità di sguardo sulla realtà, offre una ipotesi di significato, un’immagine del destino ». Uno entra nel mondo con un’immagine del destino, con un’ipotesi di significato, che non è ancora svolta in libri: è il cuore, come dicevamo prima. «La tradizione, infatti — prosegue il testo —, è come un’ipotesi di lavoro con cui la natura butta l’uomo nel paragone con tutte le cose»."


Ora, quando vediamo invece vescovi anziani e meno anziani agitarsi sul palco dell GMG a Copacabana in un puerile nonché demenziale flash mob dedicato a Papa Francesco ("sii benvenuto fra noi"... "il tuo sorriso è tutto buono"... "che cosa bella udire la tua voce"...) comprendiamo perfettamente come il rischio educativo si stia trasformando inevitabilmente in tragedia, anzi in commedia, forse sarebbe meglio dire in circo.

Ed è patetico vedere quei vescovi che dovrebbero parlare ai giovani di matrimonio, di impegno, di responsabilità, di fede, che dovrebbero condannare la società mondialista che li vuole asserviti alle leggi del mercato, che li vuole pacificamente silenti e disarmati pur nella disperazione, agitarsi scompostamente con dei sorrisini un po' ebeti, ebbri di puerile giovanilismo, tornati improvvisamente adolescenti, sculettanti come effemminati cabarettisti. Tutto ciò è inaccettabile. E non perché sia un intervallo fra due cose serie - come Platone definiva il gioco, il divertimento - ma perché questo è uno dei modi più mediaticamente efficaci con i quali la Chiesa vuole rappresentare se stessa presso il mondo giovanile. E il guaio è che in questo caso si va esattamente nella direzione opposta rispetto a quanto sintetizzato sempre da don Giussani in questa definizione: "Noi vogliamo — e questo è il nostro scopo — liberare i giovani: liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente degli altri."
Questo flash mob non differisce molto sotto il profilo mediatico dai raduni nazionalsocialisti organizzati da Albert Speer o dalle coreografie in onore del Caro Leader in Corea del Nord (coreografie di gran lunga meno demenziali). Stessi palchi, stessi giochi di colori, stessi spettacoli di massa. Metodi con i quali istituzioni politiche fondate sulla leadership - e tendenzialmente arretrate - offrono una immagine mediatica di sé e del loro rapporto con le masse. Il tutto naturalmente sempre all'insegna della sobrietà e dell'umiltà. 

Va da sé che quando questi Vescovi trasformatisi in showmen si permetteranno di tuonare contro l'aborto o il matrimonio fra persone omossessuali, di parlare di inferno, di castigo eterno, di aldilà e di anime... gli si potrà rispondere legittimamente con delle sonore pernacchie. 

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