Il tramonto della politica del progressismo ecclesiastico. Ideologia gender, quote rosa, teologia liberale e sempre meno fedeli: ovvero, la lezione protestante americana su come non si gestisce una chiesa
di Nicola Bocola
Dove sta andando la Chiesa Cattolica? Sebbene sia un interrogativo troppo ambizioso a cui rispondere, perlomeno in modo ragionevole, è una domanda che si presenta piuttosto spesso, specialmente in certi ambienti nostalgici. Meno frequente, ma decisamente più sensato è invece chiedersi dove è diretto e che fine sta facendo il cristianesimo progressista? Ecco, su questo invece, cifre alla mano, una mezza idea ce la si può fare.
Per anni, -e tutt’oggi- il cavallo di battaglia dei modernisti cattolici e degli esponenti del cristianesimo liberale (infine, né uno né l’altro, diceva qualcuno) in generale, contro la crisi della Chiesa (e chiese), è stato rappresentato dalla ricetta unica del Progressismo. Un Happy Meal completo di teologia e politica sociale ed ecclesiale liberal, volta a “riavvicinare la chiesa alle genti”, per poter arginare il calo di fedeli, che, a parte qualche eccezione, colpisce la totalità delle chiese in Occidente. Tale pacchetto, consistente in relativismo etico, lassismo morale e, ove possibile, “degerarchizzazione” e “sdogmatizzazione”, non ha prodotto che il plauso della stampa di sinistra nel breve periodo e una emorragia ancora peggiore nel lungo. E la Chiesa Presbiteriana statunitense, ad esempio, come anche i luterani americani ne sanno qualcosa.
Il caso presbiteriano: “Fuori da Cristo c’è salvezza”
Recentemente, i presbiteriani hanno pubblicato il ‘Religious and Demographic Profile of Presbyterians1‘, relazione che ha coinvolto più di 6000 individui per un lasso di tempo di tre anni – delineando uno scenario che lascia poco spazio all’ottimismo. Qualcuno, commentando i risultati della ricerca parla già di «imminente collasso». E non proprio a torto. L’ultima volta che fu registrato un dato positivo, era esattamente la metà degli anni ’602, e da allora la chiesa di Reagan non ha mai smesso di perdere fedeli. Certo, si potrebbe tentare di minimizzare, come ha fatto il reverendo Parsons, tra i pezzi grossi di quella confessione, citando la ricerca del Pew Forum on Religion and Public Life3, che ha registrato un declino generale delle denominazioni della ‘mainline’, il protestantesimo storico, se vogliamo (tra cui rientrano i presbiteriani), – assieme ad un contestuale aumento dei “non-affiliati”. Una sorta di mal comune mezzo gaudio, che però non rende meno valide le ragioni sottese al loro declino.
Tornando ai risultati della relazione di cui sopra, al di là di un disastro demografico in cui risulta un’età media tra membri di 63 anni, questa confessione religiosa incontra più di qualche problema di tipo teologico-dottrinale. Dei nostri amici presbiteriani, un quarto dei membri -come anche degli ‘anziani’- sostengono la validità della sola scriptura, mentre i rimanenti credono nella necessità d’interpretazione alla luce del contesto storico o del “magistero” (quale, non è dato saperlo). Ma questo è il meno. In modo poco incoraggiante, circa metà dei membri sostiene inoltre che “un individuo dovrebbe raggiungere da sé un proprio credo religioso, senza l’aiuto di alcuna chiesa”, mentre circa la metà dei pastori ritiene che “c’è salvezza anche fuori da Cristo”. Quello che è evidente, è che se c’è salvezza fuori da Cristo, a che pro diffondere il Suo Vangelo? E se non c’è evangelizzazione, che senso d’esistere ha una chiesa che voglia dirsi “cristiana”? Poiché nell’attimo stesso in cui decide che Cristo è superfluo, non trova come migliore sostituto funzionale, una qualsiasi associazione di promozione sociale? Emerge dunque che né affiliati, né gli stessi pastori prendono più sul serio la propria religione e chiesa… cosa che difficilmente farà qualcun’altro per loro.
La Chiesa Presbiteriana statunitense quindi – senza nascondersi dietro le cifre dell’aumento dei ‘non-affiliati’, che da causa è verosimilmente conseguenza –, sta mietendo l’amaro raccolto di quaranta anni di progressismo. Mentre i fedeli continuano a calare ed anche i pastori disertano verso denominazioni più conservatrici, banalmente, si trova a seguire il declino di una qualsiasi onlus di dubbia efficienza. O volendo, di una “Ong pietosa”, come disse il Sommo Pontefice, quando, appena salito alla Cattedra di Pietro, ammonì dallo smettere di proclamare Gesù Cristo. Chissà che in quel momento non abbia pensato proprio a loro.
L’esempio luterano. Quando raschiare il fondo non è abbastanza
C’era un periodo, in cui anche il povero Lutero, se dal sesto cerchio dantesco avesse potuto vedere, si sarebbe rallegrato. In quegli anni, a sbancare il panorama religioso americano non erano i mormoni o i testimoni di Geova ma gli insospettabili luterani. Grandi speranze venivano poste sulle spalle della denominazione, che avrebbe “rinnovato” l’intera galassia ecclesiale americana. O almeno così si diceva, ma l’età dell’oro luterana non era destinata a durare.
Non diversamente dalla maggior parte delle denominazioni protestanti statunitensi, negli anni ’60 la chiesa protestante per eccellenza cresceva – pure meglio e più delle altre, guadagnando influenza e fedeli e rafforzandosi con acquisizioni strategiche di numerose denominazioni minori. Questo fino a costituire, nel ’88, l’Evangelical Lutheran Church in America (Elca), la più grande chiesa luterana su suolo americano, indicando la via a chiese e chiesette che costellano l’ambiente statunitense. Lo spirito che pervadeva la nuova entità era di completo rinnovamento. “Questa non è la chiesa che conoscevano i tuoi genitori”, urlavano gli slogan. Alla base di questa volontà di cambiamento, le ragioni erano sempre le medesime. I gruppi progressisti all’interno dell’Elca adducevano alla necessità di una modernizzazione, per non rimanere indietro rispetto alla società, cosa che, a loro dire, avrebbe irreparabilmente pregiudicato la denominazione. Nell’immediato, furono introdotte quote rosa e di ogni tipo, all’interno degli organi di governo e non; ci volle molto, prima che, nel 2009, arrivasse il supporto ufficiale al clero gay, seguito dal nullaosta al cd. matrimonio omosessuale.
Superfluo dirlo, ma la luna di miele del progressismo non poteva andare avanti all’infinito. Il National Council of Churches ha recentemente rilevato che nell’intera mainline, l’Elca ha “il più drastico calo di fedeli”, con un declino medio annuo del 6%. Più di 500mila persone e 1000 congregazioni dal 2009, hanno preso baracca e burattini e si sono rivolti altrove, perlopiù ad ingrossare le fila della neonata North American Lutheran Church (Nalc). E mentre qualche mese fa, quelli dell’Elca eleggevano il primo ‘vescovo’ apertamente gay, il loro più grande seminario ha rischiato la bancarotta per il crollo verticale delle donazioni. Roba da far sembrare quella presbiteriana, una chiesa in salute.
Sotto le macerie di Sodoma…
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